Scienza
| On 2 anni ago

Scoperto un piccolo buco nero in un giovane ammasso stellare

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Talvolta riuscire a svelare i segreti del cosmo si rivela una vera e propria caccia. E’ una caccia, per esempio, quella ai buchi neri all’interno degli ammassi stellari, gruppi molto densi di stelle tutte più o meno della stessa età che possono aiutarci a comprendere molte cose riguardanti la loro evoluzione e la storia dell’Universo.

Di recente utilizzando il Very Large Telescope di cui l’ESO è partner, i ricercatori hanno studiato l’ammasso stellare NGC 1580. Si tratta di un ammasso di circa 100 milioni di anni, costituito da migliaia di stelle a circa 160.000 anni luce di distanza da noi, nella Grande Nube di Magellano, galassia satellite della Via Lattea. Le osservazioni hanno rilevato la presenza di un piccolo buco nero che sta influenzando il moto di una stella nelle sue vicinanze.

Si tratta della prima volta in cui un buco nero fuori dalla nostra galassia viene trovato con un metodo di rilevamento simile, e non sfruttando la radiazione X che emette. La prova che questo metodo funziona ci suggerisce un modo per dare la caccia ai buchi neri nella nostra galassia e in quelle vicine.

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NGC 1850, ammasso di migliaia di stelle a circa 160.000 anni luce di distanza nella Grande Nube di Magellano. Si ritiene che i filamenti rossastri che circondano l’ammasso, composti da vaste nubi di idrogeno, siano i resti di esplosioni di supernova. L’immagine è una sovrapposizione di osservazioni condotte in luce visibile con il VLT dell’ESO e Hubble. Credits: ESO, NASA/ESA, M. Romaniello

Lo spettrografo a campo integrale MUSE colpisce ancora

La ricerca del buco nero nascosto in NGC 1580 è stata effettuato sfruttando i dati raccolti dallo strumento MUSE. Acronimo di Multi Unit Spectroscopic Explorer, si tratta di uno spettrografo a campo integrale installato sul VLT, telescopio dell’ESO nel deserto di Atacama. Il coautore dello studio Sebastian Kamann, esperto MUSE, spiega:

MUSE ci ha permesso di osservare aree molto affollate, come le regioni più interne degli ammassi stellari, analizzando la luce di ogni singola stella nelle vicinanze. Il risultato netto sono informazioni su migliaia di stelle in un colpo solo, almeno 10 volte di più rispetto a qualsiasi altro strumento.

Utilizzando MUSE, il team di ricercatori ha potuto individuare e risolvere la stella il cui moto appariva deviato, modificato. E da chi, se non da un piccolo buco nero nelle vicinanze?

Alla caccia del buco nero

La presenza del buco nero nascosto all’interno di NGC 1850 è stato confermata dai dati dell’Hubble Space Telescope. Con essi, i ricercatori sono riusciti anche a stimare la massa del buco nero, circa 11 volte quella del Sole.

Sara Saracino dell’Astrophysics Research Institute della Liverpool John Moores University, autrice principale, afferma: “Il risultato è solo uno dei “criminali” cercati” riferendosi ai buchi neri. “Ma quando ne hai trovato uno, sai di essere sulla buona strada per scoprirne molti altri, in diversi ammassi”.

La prova della presenza del buco nero è stata l’azione della sua forte influenza gravitazionale sull’ambiente circostante. Precisamente, sul moto di una stella di circa cinque masse solari nelle sue vicinanze, che è stata risucchiata dalla gravità e costretta ad orbitare attorno al buco nero.

Rappresentazione artistica che mostra un buco nero compatto 11 volte più massiccio del Sole e la stella di cinque masse solari che vi orbita attorno. I due oggetti si trovano nell’ammasso stellare NGC 1850, a circa 160.000 anni luce di distanza nella Grande Nube di Magellano, galassia satellite della Via Lattea. La distorsione della forma della stella è dovuta alla forte forza gravitazionale esercitata dal buco nero. Credits: ESO/M. Kornmesser

Come cerchiamo i buchi neri stellari?

Quello scoperto in NGC 1580 è un buco nero detto buco nero di massa stellare, perché ha una massa ancora comparabile con quella del Sole. Molto diverso quindi dal caso dei buchi neri supermassicci presenti al centro della maggior parte delle galassie.

Buchi neri così piccoli solitamente sono individuabili:

  • tramite il bagliore nella lunghezza d’onda dei raggi X che emettono mentre fagocitano il materiale che li circonda;
  • rilevando la presenza di onde gravitazionali generate dalla fusione o collisione di due buchi neri o stelle di neutroni.

La maggior parte di questi buchi neri stellari, però, non è semplice da trovare sfruttando la sola radiazione X. Per questo, dopo questa ulteriore conferma, i ricercatori ritengono che gli studi dinamici dell’ambiente circostante possano essere un ottimo metodo per rilevare la presenza di piccoli mostri celesti.

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“Quando formano un sistema insieme con una stella, ne influenzano il moto in modo sottile ma rilevabile, quindi possiamo trovarli con strumenti sofisticati” spiega Stefan Dreizler, membro dell’equipe proveniente dall’Università di Göttingen.

Il primo buco nero in un ammasso giovane

A proposito di dinamica, il metodo utilizzato da Saracino e dal suo team è sicuramente interessante da applicare ancora in futuro. E ogni futura scoperta aiuterà a comprendere ancora più a fondo gli ammassi stellari e i buchi neri che ospitano.

Tra l’altro, il buco nero in NGC 1580 è il primo trovato in un ammasso così giovane.

Mappatura della costellazione meridionale del Dorado e altre stelle in quella regione del cielo, la maggior parte delle quali può essere vista ad occhio nudo in una notte limpida e buia. L’ammasso NGC 1850 è contrassegnato da un cerchio rosso. Credits: ESO, IAU, Sky & Telescope

ELT alla ricerca di altri buchi neri nascosti

Il metodo assodato dal team di ricercatori potrebbe permettere anche il confronto futuro con buchi neri più grandi e ammassi stellari meno giovani. Questo darebbe importanti informazioni sulla crescita ed evoluzione di questi affascinanti oggetti cosmici, sorgenti delle tanto acclamate onde gravitazionali.

In futuro, sarà l’Extremely Large Telescope dell’ESO in Cile ad affiancare uno strumento già particolarmente produttivo come il VLT, nella caccia ad altri buchi neri nascosti. L’ELT riuscirà ad individuare stelli con luminosità molto inferiore, cosa che si spera possa aiutare a scovare la presenza di buchi neri in ammassi stellari anche particolarmente lontani, come gli ammassi globulari.

Lo studio completo è disponibile qui.

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