Il 25 dicembre 2021, mentre il mondo celebrava il Natale, il James Webb Space Telescope partiva dallo spazioporto europeo di Kourou, in Guyana Francese, a bordo di un vettore Ariane V dell’ESA, e iniziava il suo viaggio verso il punto di Lagrange L2 del sistema Terra-Sole. Con i suoi 6.5 metri di specchio dorato e il suo scudo termico grande quanto un campo da tennis, il Webb prometteva di ridefinire la nostra visione dell’Universo.
Tre anni dopo, è evidente che quella promessa non solo è stata mantenuta, ma superata. Dal Sistema Solare alle galassie più lontane, il Webb ha svelato dettagli che hanno sorpreso gli scienziati e messo in discussione molte delle attuali teorie. Ha fotografato pianeti, individuato galassie formatesi appena 300 milioni di anni dopo il Big Bang e analizzato le atmosfere di esopianeti, cercando firme di vita.
In questo approfondimento, abbiamo raccolto i principali risultati di Webb nei suoi primi tre anni di attività, seguendo un percorso che va dal nostro vicinato cosmico fino agli angoli più remoti dell’Universo.
Sul Sistema Solare
Osservazioni di Giove e delle sue lune
Il James Webb ha osservato in dettaglio le lune galileiane e l’atmosfera di Giove, utilizzando le sue avanzate capacità nell’infrarosso. Ha scoperto per esempio una nuova corrente ad alta velocità nell’atmosfera di Giove, offrendo dati cruciali sulla complessa dinamica atmosferica del pianeta. Inoltre ha fornito nuove informazioni sulla Grande Macchia Rossa, un fenomeno atmosferico iconico, permettendo di studiarne la composizione e le variazioni nel tempo. Webb ha poi analizzato le lune ghiacciate come Europa e Ganimede, rivelando la presenza di tracce d’acqua e dettagli sulla possibile abitabilità di queste lune.
Qui sotto, la prima foto di Giove, dei suoi anelli e di alcune lune visti nell’infrarosso da Webb, pubblicata il 22 agosto 2022. Credits: NASA, ESA, CSA, Jupiter ERS Team
Per approfondire:
- Il James Webb ha osservato le lune gioviane nell’infrarosso, scoprendone nuovi dettagli
- Il James Webb ha trovato una nuova corrente ad alta velocità nell’atmosfera di Giove
- Nuove informazioni sulla Grande Macchia Rossa di Giove, grazie al James Webb
Anelli di Nettuno
Con una precisione senza precedenti, il James Webb ha osservato gli anelli di Nettuno, rendendo visibili dettagli non rilevati dai tempi del Voyager 2. Le immagini infrarosse hanno messo in evidenza la composizione e la struttura degli anelli, rivelando particelle di ghiaccio e polveri che riflettono la luce del Sole. Queste osservazioni hanno permesso di studiare l’origine e l’evoluzione di un sistema planetario ancora poco conosciuto, migliorando la comprensione del ciclo di vita degli anelli planetari.
Analisi delle comete e degli asteroidi
Il James Webb ha studiato in dettaglio diversi corpi minori del Sistema Solare, fornendo informazioni fondamentali sulla loro composizione e storia. Ha confermato la presenza di acqua su una cometa della Fascia Principale, dimostrando che anche questi oggetti, situati tra Marte e Giove, possono contenere riserve di ghiaccio, cruciali per comprendere l’origine dell’acqua terrestre. Inoltre, ha osservato nuovi getti di gas prodotti dal centauro 29P/Schwassmann-Wachmann, un oggetto ghiacciato con un’attività insolita che suggerisce processi in corso simili a quelli delle comete attive. Webb ha anche fornito indizi sui planetesimi del Sistema Solare primordiale, rivelando come la loro composizione possa variare in base alla distanza dal Sole, offrendo nuove prospettive sulla formazione e distribuzione dei materiali durante i primi stadi della storia del Sistema Solare.
![Rappresentazione artistica della distribuzione degli oggetti trans-nettuniani nel disco planetesimale, con sovrapposti spettri rappresentativi di ciascun gruppo composizionale che evidenziano le molecole dominanti sulle loro superfici. Credits: Grafica di William D. González Sierra per il Florida Space Institute, University of Central Florida](https://www.ucf.edu/wp-content/blogs.dir/20/files/2024/12/tno-resized33.jpg)
Per approfondire:
- Webb conferma la presenza di acqua in una cometa della Fascia Principale di asteroidi
- Il James Webb ha rilevato nuovi getti di gas prodotti dal centauro 29P/Schwassmann-Wachmann
- Il James Webb ha fornito nuovi indizi sui planetesimi del Sistema Solare primordiale
Sulla Via Lattea
Il cuore della Galassia
Il James Webb ha fotografato con dettagli senza precedenti il cuore della Via Lattea, concentrandosi sulla regione di Sagittarius C, situata a circa 300 anni luce da Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia. Questa zona, caratterizzata da intensa formazione stellare, ospita oltre 500.000 stelle, tra cui un ammasso di protostelle in formazione. Le immagini nell’infrarosso hanno permesso di penetrare le dense nubi di polvere, rivelando strutture e fenomeni precedentemente nascosti, e offrendo nuove prospettive sulla nascita e l’evoluzione delle stelle nel nucleo galattico.
![Porzione di 50 anni luce del centro denso della Via Lattea, nella regione del Sagittario C, fotografata dalla NIRCam del James Webb nell'infrarosso. Credits: NASA, ESA, CSA, STScI, S. Crowe (UVA)](https://www.astrospace.it/wp-content/uploads/2023/11/Sagittarius-C.jpg)
La formazione stellare nella periferia galattica
Utilizzando gli strumenti NIRCam e MIRI, il JWST ha osservato la periferia della Via Lattea, in una regione denominata Extreme Outer Galaxy, situata a oltre 58mila anni luce dal centro galattico. In particolare, ha studiato le nubi molecolari Digel Cloud 1 e Digel Cloud 2, ottenendo immagini dettagliate di ammassi stellari caratterizzati da intensi processi di formazione stellare. Queste regioni, povere di elementi pesanti, presentano una composizione simile a quella delle galassie primordiali, fornendo un’opportunità unica per comprendere i processi di formazione stellare in ambienti con bassa metallicità.
Ecco una sintesi delle principali scoperte del James Webb Space Telescope (JWST) sugli esopianeti, basata esclusivamente su fonti di Astrospace.it:
Conferma del primo esopianeta: LHS 475 b
Il James Webb ha confermato la presenza del suo primo esopianeta, LHS 475 b, un pianeta roccioso delle dimensioni della Terra. Questa scoperta è stata possibile grazie allo spettrografo nel vicino infrarosso NIRSpec, che ha rilevato il pianeta osservando due transiti davanti alla sua stella madre. LHS 475 b orbita attorno a una nana rossa a una distanza molto ravvicinata, completando un’orbita in soli due giorni terrestri.
Rilevazione di metano e anidride carbonica su K2-18 b
Il JWST ha individuato metano e anidride carbonica nell’atmosfera dell’esopianeta K2-18 b, un sub-Nettuno situato nella zona abitabile della sua stella. Questa scoperta suggerisce la possibile presenza di un oceano sotto un’atmosfera ricca di idrogeno, caratteristica dei cosiddetti pianeti “Hycean”. L’analisi spettroscopica ha escluso la presenza di ammoniaca, rafforzando l’ipotesi di un ambiente potenzialmente favorevole alla vita. Tuttavia, la rilevazione di metano e anidride carbonica non è di per sé indicativa di attività biologica, ma fornisce importanti informazioni sulla composizione chimica e le condizioni atmosferiche di K2-18 b.
![Grafico degli spettri di K2-18 b ottenuti con gli strumenti NIRISS e NIRSpec. I valori rilevati sono tracciati come punti con brevi linee verticali attraverso, con il modello più adatto mostrato come una linea frastagliata blu. Sono presenti colonne verticali viola, verdi e rosse di vario spessore sparse nel diagramma che indicano dove lo spettro rilevato rappresenta rispettivamente la presenza di metano, anidride carbonica e dimetilsolfuro. Credits: NASA, CSA, ESA, J. Olmstead (STScI), N. Madhusudhan (Università di Cambridge)](https://cdn.esawebb.org/archives/images/screen/weic2321b.jpg)
Scoperta di acido solfidrico su WASP-18 b
Il James Webb ha rilevato per la prima volta acido solfidrico (H₂S) nell’atmosfera dell’esopianeta WASP-18 b, un gioviano caldo situato a circa 400 anni luce dalla Terra. Oltre all’acido solfidrico, sono stati identificati anche acqua, anidride carbonica e monossido di carbonio. La presenza di H₂S, già osservata su Giove, era stata ipotizzata per gli esopianeti giganti gassosi, ma finora non confermata. Questa scoperta offre nuove opportunità per comprendere la chimica atmosferica e i processi di formazione di tali pianeti, ampliando la nostra conoscenza delle atmosfere planetarie al di fuori del Sistema Solare.
Per approfondire:
- Il James Webb ha scoperto il suo primo esopianeta
- Il James Webb ha scoperto metano e anidride carbonica nell’atmosfera di un esopianeta
- Il James Webb ha trovato per la prima volta acido solfidrico nell’atmosfera di un esopianeta
Sulle galassie e l’Universo
Le galassie più lontane mai osservate
Il JWST ha identificato cinque galassie candidate con un redshift compreso tra 16 e 18, corrispondenti a un’epoca compresa tra 150 e 300 milioni di anni dopo il Big Bang. Queste galassie, se confermate, rappresenterebbero gli oggetti più distanti mai osservati.
Una galassia primordiale in formazione
Il JWST ha rilevato e analizzato una galassia soprannominata “Firefly Sparkle”, risalente a circa 600 milioni di anni dopo il Big Bang. Con una massa simile a quella della giovane Via Lattea, questa galassia presenta dieci ammassi stellari brillanti. L’osservazione fornisce una visione dettagliata delle prime fasi di assemblaggio galattico, contribuendo alla comprensione dei processi di formazione ed evoluzione delle galassie nell’Universo primordiale.
La galassia quiescente più antica mai osservata
Il JWST ha individuato JADES-GS-z7-01-QU, una galassia che ha cessato la formazione stellare circa 700 milioni di anni dopo il Big Bang. Con una massa paragonabile a quella della Piccola Nube di Magellano, questa galassia rappresenta la più antica galassia quiescente conosciuta. La scoperta offre importanti indizi sui processi che portano all’arresto della formazione stellare nelle galassie primordiali, arricchendo la comprensione dell’evoluzione galattica nelle prime fasi dell’Universo.
![Zoom sulla galassia soprannominata Firefly Sparkle individuata dal James Webb nell’Universo primordiale, con 10 distinti ammassi stellari visti grazie all’effetto di lente gravitazionale. Credits: NASA, ESA, CSA, STScI, C. Willott (NRC-Canada), L. Mowla (Wellesley College), K. Iyer (Columbia)](https://cdn.esawebb.org/archives/images/screen/weic2429b.jpg)
Un buco nero supermassiccio dormiente nell’Universo primordiale
Il James Webb ha individuato un buco nero supermassiccio dormiente, con una massa pari a 400 milioni di volte quella del Sole, all’interno della galassia GN-1001830, risalente a circa 570 milioni di anni dopo il Big Bang. Questo buco nero rappresenta circa il 40% della massa totale della sua galassia ospite, una proporzione significativamente superiore rispetto ai buchi neri nell’Universo locale, che solitamente costituiscono circa lo 0,1% della massa della loro galassia. La scoperta sfida i modelli teorici esistenti sulla formazione e crescita dei buchi neri nelle prime fasi dell’Universo.
La supernova H0pe e la tensione di Hubble
Il James Webb ha osservato la supernova H0pe, una supernova di tipo Ia situata a circa 3,5 miliardi di anni luce dalla Terra, inizialmente rilevata come tre punti luminosi nell’immagine dell’ammasso PLCK G165.7+67.0. Questa osservazione offre un approccio innovativo per misurare la costante di Hubble, contribuendo a comprendere meglio la cosiddetta “tensione di Hubble”, ovvero la discrepanza tra le diverse misurazioni del tasso di espansione dell’Universo. Nonostante i nuovi dati, la tensione persiste, suggerendo la possibile necessità di una revisione dei modelli cosmologici attuali o l’esistenza di nuova fisica oltre il modello standard.
![Immagine della NIRCam del James Webb che mostra l’ammasso di galassie PLCK G165.7+67.0, noto anche come G165. Sulla sinistra, l’effetto di ingrandimento che un ammasso in primo piano può avere sull’Universo distante con il fenomeno in lente gravitazionale. A destra, la regione ingrandita mostra la supernova H0pe, triplicata dall’effetto lente. Credits: NASA, ESA, CSA, STScI, Brenda Frye (Università dell’Arizona), Rogier Windhorst (ASU), S. Cohen (ASU), Jordan CJ D’Silva (UWA), Anton M. Koekemoer (STScI), Jake Summers (ASU )](https://stsci-opo.org/STScI-01J3DQ871E3XV9G93CDEV1GNP1.png)
Per approfondire:
- Il James Webb potrebbe aver scoperto le galassie più antiche mai osservate nell’Universo
- Il James Webb ha osservato i dettagli di una galassia in formazione nell’Universo primordiale
- Il James Webb ha trovato la più antica galassia quiescente mai osservata
- Scoperto un buco nero supermassiccio dormiente nell’Universo primordiale che sfida i modelli teorici
- La tensione di Hubble è stata ri-confermata da nuove osservazioni del James Webb
Ed è solo l’inizio…
In soli tre anni, il James Webb Space Telescope ha trasformato profondamente la nostra comprensione dell’Universo, affrontando sfide tecniche complesse e superando le aspettative iniziali. Dal Sistema Solare agli esopianeti, dalle galassie primordiali ai buchi neri supermassicci, ogni osservazione ha aggiunto tasselli fondamentali al mosaico della conoscenza cosmica. Le sue capacità di osservazione nell’infrarosso hanno permesso di penetrare regioni di spazio e tempo mai esplorate prima, aprendo nuove strade per lo studio dell’evoluzione delle galassie, dell’abitabilità planetaria e della fisica fondamentale.
Tuttavia, questo è solo l’inizio. I prossimi anni vedranno il Webb impegnato in programmi di osservazione ancora più ambiziosi, tra cui studi dettagliati su sistemi esoplanetari promettenti, la mappatura delle prime galassie nell’Universo e la ricerca di segnali chimici di vita. Parallelamente, collaborazioni con altri osservatori, come l’Extremely Large Telescope e il futuro Nancy Grace Roman Telescope, promettono di integrare le scoperte del Webb con dati complementari, ampliando ulteriormente il nostro orizzonte scientifico.
Con una durata operativa stimata di almeno 20 anni, il James Webb continuerà a essere un punto di riferimento per l’astronomia e la cosmologia moderna. Le sue osservazioni non solo risponderanno a domande chiave sulla nostra origine e sul nostro posto nell’universo, ma, come ogni grande missione scientifica, solleveranno nuove questioni, alimentando la ricerca e l’innovazione per generazioni a venire.