Un team di ricercatori dell’Università della Florida Centrale ha utilizzato il telescopio spaziale James Webb per studiare gli oggetti transnettuniani (TNO), corpi celesti ghiacciati che orbitano oltre Nettuno e che rappresentano i resti più antichi e meno modificati del disco protoplanetario in cui si è formato il Sistema Solare.
Grazie alle osservazioni del Webb, è stato possibile ottenere un’analisi senza precedenti della composizione chimica di questi oggetti, rivelando nuove informazioni sulle condizioni presenti durante la formazione del nostro sistema planetario circa 4.6 miliardi di anni fa.
I dati confermano che i TNO si suddividono in tre gruppi distinti in base alla loro composizione chimica, influenzata dalla posizione in cui si sono formati nel disco protoplanetario. In particolare, i più lontani mostrano tracce di metanolo e composti organici complessi, mentre quelli più vicini alla regione dei pianeti giganti sono ricchi di ghiaccio d’acqua e silicati.
La diversità molecolare degli oggetti transnettuniani
I ricercatori hanno utilizzato il James Webb per misurare gli spettri di 54 diversi TNO, catturando modelli di luce dettagliati di questi oggetti. Analizzando questi spettri, i ricercatori hanno potuto identificare molecole specifiche sulla loro superficie. In questo modo, hanno ottenuto la migliore visione d’insieme finora sulla diversità molecolare delle superfici dei TNO con osservazioni nel vicino infrarosso, superando i limiti delle osservazioni terrestri e degli altri strumenti disponibili.
Utilizzando tecniche di clustering, i TNO sono stati categorizzati in tre gruppi distinti in base alle loro composizioni superficiali. I nomi sono stati dati a partire dalle forme dei loro modelli di assorbimento della luce.
- Bowl. Costituivano il 25% del campione ed erano caratterizzati da forti assorbimenti di ghiaccio d’acqua e da una superficie polverosa. Mostravano chiari segni di ghiaccio d’acqua cristallino e avevano una bassa riflettività, indicando la presenza di materiali scuri e refrattari.
- Double-dip. Rappresentavano il 43% del campione e mostravano forti bande di anidride carbonica (CO2) e alcuni segni di sostanze organiche complesse.
- Cliff. Costituivano il 32% del campione e presentavano forti tracce di composti organici complessi, metanolo e molecole contenenti azoto, ed erano quelli di colore più rosso.
Studiando la chimica del Sistema Solare primordiale
Queste composizioni sono direttamente collegate alla posizione di questi oggetti nel Sistema Solare. Ad esempio, quelli che si trovano oltre 30 unità astronomiche dal Sole, hanno una composizione dominata da ghiacci complessi e composti organici. Questi materiali sono essenziali per comprendere i processi chimici che hanno favorito la formazione di molecole prebiotiche, potenzialmente legate all’origine della vita.
Al contrario, i TNO che hanno origine più vicina ai pianeti giganti, come Urano e Nettuno, mostrano tracce di ghiaccio d’acqua e silicati, segno di un ambiente più caldo e dinamico. Questa variazione composizionale conferma che la chimica del disco protoplanetario è stata modellata da gradienti di temperatura e dai movimenti dei pianeti giganti.
Lo studio fa parte del progetto Discovering the Surface Composition of the trans-Neptunian Objects (DiSCo) per scoprire la composizione molecolare dei TNO, guidato da Noemí Pinilla-Alonso, professoressa all’Institute of Space Science and Technology in Asturias presso l’Universidad de Oviedo.
Implicazioni per la dinamica del Sistema Solare
L’importanza delle osservazioni del JWST non si limita alla composizione chimica dei TNO. Questi oggetti, in alcuni casi, possono migrare verso l’interno del Sistema Solare, trasformandosi in centauri o comete. Quando si avvicinano al Sole, la loro superficie ghiacciata subisce cambiamenti significativi a causa dell’aumento delle temperature e dell’esposizione alla radiazione solare, provocando la sublimazione dei ghiacci e la formazione di chiome e code caratteristiche.
Uno studio parallelo e indipendente, sempre basato sullo stesso programma di osservazioni di Webb, ha analizzato proprio gli spettri di cinque centauri (52872 Okyrhoe, 3253226 Thereus, 136204, 250112 e 310071). Ciò ha permesso agli scienziati di identificare le composizioni superficiali dei centauri, rivelando una notevole diversità nel campione osservato.
Questi processi dinamici offrono un’opportunità unica per studiare come i planetesimi si evolvono nel tempo. Confrontare le osservazioni sui TNO con quelle dei centauri aiuta gli scienziati a tracciare le connessioni tra le diverse popolazioni di corpi minori nel Sistema Solare. Il JWST, con le sue capacità spettroscopiche avanzate, consente di analizzare questi cambiamenti in dettaglio, fornendo nuove prospettive sull’evoluzione dei planetesimi e sulla chimica primordiale che caratterizzava il disco protoplanetario.
Gli studi a cui si fa riferimento nell’articolo sono:
- A JWST/DiSCo-TNOs portrait of the primordial Solar System through its trans-Neptunian objects, Nature Astronomy, Pinilla-Alonso et al. 2024
- Thermal evolution of trans-Neptunian objects through observations of Centaurs with JWST, Nature Astronomy, Licandro et al. 2024