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Trovato il responsabile della reionizzazione dell’Universo. Cronache dal James Webb

Mariasole Maglione di Mariasole Maglione
Marzo 2, 2024
in Agenzie Spaziali, Approfondimento, Astronomia e astrofisica, Astrospace Orbit, Cronache dal James Webb, ESA, NASA, News, Rubriche, Scienza
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Delle prime centinaia di milioni di anni dell’Universo sappiamo davvero poco. In particolare sull’era della reionizzazione, il periodo di oscurità senza stelle o galassie caratterizzato da una fitta nebbia di idrogeno gassoso, prima che le prime stelle lo ionizzassero e la luce cominciasse a viaggiarvi attraverso.

Da decenni gli astronomi cercano di identificare le fonti in grado di emettere una radiazione abbastanza potente da eliminare gradualmente la nebbia d’idrogeno. Ora, grazie all’altissima sensibilità del James Webb, potrebberlo averle trovate: si tratterebbe delle galassie nane.

Inoltre, di recente il Webb ha permesso di confermare la presenza di una stella di neutroni al centro del resto della supernova SN 1987A, di studiare alcune nebulose e di trovare prove di attività geotermica all’interno dei pianeti nani ghiacciati Eris e Makemake del nostro Sistema Solare.

Tutto questo e molto altro è raccontato in questo nuovo approfondimento della rubrica “Cronache dal James Webb“.

Dall’Universo primordiale

Il programma UNCOVER (Ultradeep NIRSpec e NIRCam ObserVations before the Epoch of Reionization) sfrutta la NIRCam e lo strumento NIRSpec di Webb nel vicino infrarosso per effettuare osservazioni sia di imaging che spettroscopiche che consentano di studiare l’epoca della reionizzazione dell’Universo.

Un team di ricerca ha utilizzato come target l’Ammasso di Pandora, o Abell 2744, un grande ammasso di galassie conosciuto per il suo potente effetto di lensing gravitazionale. La sua massa, infatti, deforma lo spaziotempo circostante e devia la luce di sorgenti molto più lontane, che arriva a noi arrossata e amplificata, permettendoci così di osservare oggetti appartenenti all’infanzia del cosmo.

Grazie alle osservazioni, sono state trovate otto galassie nane debolissime, precedentemente invisibili anche agli occhi di Webb. Esse sembrano essere produttrici di un’intensa quantità di radiazione ultravioletta, a livelli quattro volte maggiori rispetto a quanto ipotizzato in precedenza. La maggior parte dei fotoni che hanno reionizzato l’Universo nelle epoche buie, quindi, probabilmente provenivano proprio da queste galassie.

In quest'immagine, che in primo piano presenta l'Ammasso di pandora o Abell 2744, gli astronomi stimano ci siano almeno 50mila sorgenti, appartenenti all'Universo vicino, lontano e lontanissimo, molte delle quali visibili solo grazie all'effetto di lente gravitazionale. Credits: NASA, ESA, CSA, I. Labbe (Swinburne University of Technology), R. Bezanson (University of Pittsburgh), A. Pagan (STScI)
In quest’immagine, che in primo piano presenta l’Ammasso di pandora o Abell 2744, gli astronomi stimano ci siano almeno 50mila sorgenti, appartenenti all’Universo vicino, lontano e lontanissimo, molte delle quali visibili solo grazie all’effetto di lente gravitazionale. Credits: NASA, ESA, CSA, I. Labbe (Swinburne University of Technology), R. Bezanson (University of Pittsburgh), A. Pagan (STScI)

In un futuro programma di osservazione con Webb, denominato GLIMPSE (Gravitational Lensing & NIRCam IMaging to Probe early galaxy formation and Sources of rEionization), gli scienziati otterranno le osservazioni più sensibili mai effettuate utili proprio a comprendere l’epoca della reionizzazione, concentrandosi sull’ammasso di galassie, Abell S1063.

Nell’Universo primordiale, di recente JWST ha scoperto una galassia di massa così elevata da mettere in discussione il modello standard della cosmologia. Denominata ZF-UDS-7329, questa galassia contiene un numero di stelle superiore a quello attualmente presente nella Via Lattea, nonostante si sia formata solamente 800 milioni di anni dopo il Big Bang.

Questa scoperta suggerisce che le stelle di tale galassia si siano formate senza l’ausilio della materia oscura, che non avrebbe infatti potuto formarsi in tempi così brevi, contrariamente a quanto previsto dal modello standard di formazione delle galassie. Resta un mistero il modo in cui questo possa essere accaduto: attualmente il modello cosmologico non è in grado di spiegare osservazioni simili.

Dalla Galassia, e oltre

La supernova SN 1987A, esplosione provocata dalla morte di una stella massiccia, è stata oggetto di studio fin dalla sua osservazione ad occhio nudo nel 1987. Nonostante ciò, cosa fosse rimasto in seguito alla morta stellare era ancora un enigma, fino a un paio di settimane fa. La teoria, infatti, prevedeva la presenza di una stella di neutroni o un buco nero, e osservazioni indirette avevano precedentemente suggerito la presenza di una stella di neutroni.

Ora, il James Webb ha rivelato segni tangibili di emissioni ad alta energia prodotte da una stella di neutroni. I risultati, ottenuti con MIRI e NIRSpec nel vicino e medio infrarosso, rivelano le firme di argon altamente ionizzato, che indica l’attività di una stella di neutroni al centro del resto di supernova. Questo risultato apre nuove prospettive per comprendere le supernovae e potrebbe portare a modelli più dettagliati di queste esplosioni stellari.

Qui per approfondire.

A sinistra: immagine NIRCam della SN1987A, rilasciata nel 2023. <yoastmark class=

Osservando con il James Webb il disco protoplanetario d203-506 nella nebulosa di Orione, i ricercatori hanno misurato in modo preciso la temperatura e la densità del gas nel disco nella banda infrarossa, con NIRSpec e NIRCam.

I risultati hanno rivelato che i potenti venti delle stelle massicce del vicino ammasso del Trapezio disperdono rapidamente la materia di questo disco, processo che rende impossibile la formazione di pianeti giganti come Giove. Una scoperta che sottolinea il ruolo cruciale delle stelle massicce nella modellazione dei sistemi planetari, offrendo nuove prospettive sulla formazione planetaria nel resto della Galassia oltre che dell’Universo. Per essersi formato un pianeta come Giove nel nostro Sistema Solare, quindi, evidentemente era minore l’influenza di stelle massicce nei dintorni del Sole.

Nel frattempo, è stato analizzato uno degli ammassi globulari più famosi della Via Lattea, 47 Tucanae. Gli ammassi globulari sono densissimi ammassi di stelle molto vecchie, utilizzati dagli astronomi come dei veri e propri laboratori per studiare l’evoluzione stellare.

Uno studio dell’INAF di Padova ha utilizzato le profonde immagini di Webb per rivelare quelle stelle che finora era quasi impossibile riuscire a osservare: quelle di massa piccolissima, e in particolar modo le stelle “mancate” ovvero le nane brune, che non hanno mai innescato reazioni di fusione nucleare.

A sinistra, immagine di una porzione del campo di vista osservato dal James Webb. A destra, immagini monocromatiche nel vicino e lontano infrarosso per la regione indicata dal riquadro in giallo nel pannello di sinistra. I cerchi blu e rosso indicano due nane brune. Credits: A. F. Marino et al. 2024
A sinistra, immagine di una porzione del campo di vista osservato dal James Webb. A destra, immagini monocromatiche nel vicino e lontano infrarosso per la regione indicata dal riquadro in giallo nel pannello di sinistra. I cerchi blu e rosso indicano due nane brune. Credits: A. F. Marino et al. 2024

Per la prima volta, i dati Webb hanno permesso di studiare la sequenza delle nane brune, essenziale per implementare i modelli di evoluzione stellare. Si tratta delle stelle più deboli per le quali sono disponibili dati spettroscopici in ammassi globulari.

Questa scoperta è fondamentale per una comprensione sempre maggiore degli ammassi globulari, fossili stellari formatisi nelle prime fasi di vita dell’Universo, che potrebbero esser stati i mattoni che hanno permesso la nascita della nostra Via Lattea.

Dal Sistema Solare

Nella Fascia di Kuiper, oltre l’orbita di Nettuno, si trovano i pianeti nani ghiacciati Makemake e Eris. Nonostante la loro lontananza dal Sole, recenti osservazioni del Webb hanno rivelato i segni di un’inattesa attività interna, indicata dalla presenza di metano sulle loro superfici.

L’analisi isotopica ha rivelato dei valori che suggeriscono un nucleo roccioso caldo all’interno di entrambi i pianeti nani. Questa scoperta, oltre a indicare la possibilità che ci sia effettivamente attività geotermica al di sotto della crosta ghiacciata di Eris e Makemake, solleva anche la possibilità della presenza di oceani sotterranei d’acqua liquida.

Se questi ci fossero, Eris e Makemake diverrebbero parte di quella classe di lune ghiacciate come Encelado, Europa e di recente anche Mimas, che ospitano nuclei caldi e oceani globali in profondità.

Qui per approfondire.

Il James Webb, due anni fa

Tra febbraio e marzo del 2022, si stava ultimando la fase di messa in servizio del telescopio spaziale prima di iniziare i primi test sulla strumentazione del Webb, lanciato il 25 dicembre 2021.

In particolare, nell’ultima settimana di febbraio 2022 erano state eseguite due diverse fasi, quella di allineamento dei 18 segmenti dello specchio primario e quella Image Stacking, durante la quale le immagini dei singoli segmenti sono state spostate in modo tale da cadere esattamente al centro del campo per produrre un’immagine unificata.

Il risultato della fase di Image Staking di Webb. Credits: NASA/STScI
Il risultato della fase di Image Staking di Webb. Credits: NASA/STScI

Qui sopra vediamo l’immagine della stella HD 84406 al completamento dell’Image Stacking, rilasciata dalla nasa il 25 febbraio 2022. Nelle settimane successive, sono state invece testate le ottiche della NIRCam, che si sono rivelate ancora più sensibili di quanto ci si aspettasse. Sono state quindi prodotte alcune immagini per completare l’allineamento dello specchio primario di Webb, che hanno rivelato quanto straordinarie fossero le capacità di questo osservatorio spaziale.

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Tags: buco nerogalassiegalassie naneJames WebbJames Webb Space Telescopeuniverso

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