Decine di satelliti realizzate da altrettante aziende hanno raggiunto l’orbita bassa terrestre, condividendo il medesimo Falcon 9 del programma Rideshare. Oggi SpaceX ha portato a termine con successo la missione Transporter-5. Alle 20:27 del 25 maggio il Falcon 9 ha portato in orbita 59 satelliti, partendo dal complesso di lancio numero 40 di Cape Canaveral.
Come suggerisce il nome, si tratta della quinta missione rideshare, in cui molte piccole aziende e start up possono lanciare i propri satelliti a costi ridotti. Ciò è possibile perché la spesa per il vettore di SpaceX viene suddivisa tra tutti i partecipanti. Inoltre, l’azienda di Musk mette a disposizione i suoi Falcon 9 riutilizzati, abbassando ulteriormente i prezzi. A causa dell’inflazione però, l’azienda di Musk ha aumentato recentemente i costi di lancio del 10%.
Tutti a bordo del Falcon 9
Con Transporter-5 ritroviamo sul Falcon 9 diversi satelliti già presenti durante le precedenti missioni. Diverse aziende infatti, stanno sviluppando costellazioni satellitari con l’obbiettivo di monitorare la Terra. I satelliti Hawk, dell’azienda Hawkeye 360, oppure i ÑuSat, dell’argentina Satellogic S.A., hanno l’obbiettivo di monitorare il nostro pianeta mediante sistemi ottici tradizionali.
Vi sono però anche satelliti che utilizzano radar ad apertura sintetica (SAR). La tecnologia SAR permette di ottenere immagini del nostro pianeta sfruttando le onde radio, quindi non necessitano d’illuminazione solare. Inoltre i satelliti SAR possono monitorare il terreno anche attraversando le nuvole. Fanno parte di questa categoria i satelliti di Capella Space e di Umbra Lab. Si tratta di un mercato che negli ultimi anni è aumentato molto. Tra i diversi satelliti portati in orbita da SpaceX ci sono però anche molti dimostratori tecnologici.
Primi selfie nello spazio con il SelfieSat
Realizzato da Orbit NTNU, un’organizzazione studentesca situata in Norvegia, SelfieSat sarà uno dei primi satelliti con l’unico scopo di scattarsi dei selfie. Con una massa di 1,8 kg e le dimensioni di 10x10x20cm, una volta arrivato in orbita estenderà un piccolo braccio sulla cui sommità è presente una fotocamera. Questa sarà puntata direttamente verso il satellite, dotato di un piccolo pannello LCD che mostrerà diverse immagini. Le foto così scattate ritrarranno il satellite e lo schermo con le immagini, e la Terra a fare da sfondo.

SelfieSat è equipaggiato con altre tre fotocamere, per monitorare anche visivamente la posizione del satellite e una per osservare la sua antenna. Per gestire i diversi sistemi Orbit NTNU ha dotato il suo cubesat di un Raspberry Pi.
È la prima volta che uno schermo LCD viene esposto in questo modo nell’ambiente spaziale, quindi si tratta anche di un esperimento per testarne il comportamento. Sono diversi i satelliti che proponevano soluzioni di questo tipo ma SelfieSat è il primo arrivato nello spazio. Tecnologie come questa potrebbero essere utilizzate anche a scopi pubblicitari, da aziende che semplicemente potrebbero voler mostrare i propri loghi nello spazio.
Esperimenti di fresatura nello spazio
A inizio 2020 Nanorack aveva annunciato di essere al lavoro su un sistema in grado di riconvertire gli stadi superiori dei lanciatori in moduli abitabili. Per fare ciò è necessario avere strumenti in grado di tagliare i metalli e i diversi materiali compositi di cui sono composti i vettori. A bordo del Falcon 9 era presente Outpost Mars Demonstration 1 (OMD-1) un esperimento che vede la collaborazione di Nanorack e Maxar Technologies, che ha sviluppato il suo braccio robotico. L’obbiettivo è quello di riuscire a tagliare tre diverse lastre di acciaio inossidabile CRES 316, lo stesso utilizzato per costruire il Centaur, il secondo stadio dell’Atlas V e del razzo SLS. Il tutto deve essere fatto senza creare detriti.
Per fare ciò il braccio robotico di Maxar ha una fresa e una fotocamera per monitorare il tutto. La fresa opera con elevati giri, andando quindi a scaldare per attrito la parte che viene tagliata. Il calore generato fa in modo che il materiale esportato venga subito saldato alla struttura, evitando la creazione di piccoli frammenti liberi di vagare per lo spazio.

L’OMD-1 è stato collocato in cima al secondo stadio, con il braccio robotico e le lastre racchiuse all’interno del payload. In questo modo non hanno messo a rischio la missione e gli altri satelliti. L’esperimento è iniziato dopo circa 9 minuti dal decollo del Falcon 9 ed è durato una decina di minuti. Concluse le operazioni di taglio, la fase successiva consiste nello scaricare i dati ottenuti per poterli analizzare.
Il sistema di posizionamento privato di Xona
Gli attuali sistemi di navigazione come il GPS e il Galileo, sono gestiti dalle diverse agenzie nazionali. Xona Space System vuole cambiare questo paradigma, sviluppando il proprio sistema di navigazione satellitare e cronometraggio. Il satellite si chiama Huginn ed è il primo utilizzato per testare le tecnologie che successivamente confluiranno nella costellazione Pulsar.
A differenza dei tradizionali satelliti GPS, i satelliti di Xona saranno posizionati in orbita terrestre bassa, diminuendo drasticamente il tempo di ricezione del segnale. Huginn è il primo di due missioni dimostrative che serviranno per lo sviluppo del progetto. Xona ha affidato il rilascio del proprio satellite a Spaceflight Inc e al suo trasportatore Sherpa.
Grande partecipazione di Terran Orbital
Terran Orbital è un’azienda americana che si occupa della creazione di bus satellitari. Si tratta cioè di satelliti al cui interno altre aziende o agenzie spaziali possono inserire i propri strumenti o esperimenti. Del gruppo Terran Orbital fa parte anche Tyvak, azienda italiana con sede a Torino.
A bordo del Falcon 9 vi erano ben 5 diversi satelliti di Terran, di cui due utilizzati per effettuare test per conto della NASA. Il primo è il Pathfinder Technology Demonstrator 3 (PTD-3) con l’esperimento TeraByte InfraRed Delivery (TBIRD). L’obbiettivo è quello di dimostrare la capacità di trasferimento di un elevato volume di dati in poco tempo utilizzando la comunicazione laser. La NASA ha sviluppato TBIRD in modo che fosse in grado d’inviare dati fino a 200 gigabit al secondo. Il satellite dovrà puntare in maniera precisa la stazione di terra situata in California.

Il secondo esperimento si chiama CubeSat Proximity Operations Demonstration (CPOD). I cubesat coinvolti in questo caso sono due, che dovranno effettuare manovre per il mantenimento di posizioni ben precise e di avvicinamento tra loro.
Il culmine del test sarà il docking tra i due piccoli satelliti, dimostrando la possibilità di effettuare attracchi anche tra piccoli satelliti. Questo dimostrerà la possibilità di realizzare strutture complesse lanciando diversi cubesat in orbita, abbassando così i costi. Oltre ai cubesat per la NASA, Terran Orbital ha realizzato anche i Centauri per conto della Fleet Space Technologies, che vuole sviluppare una costellazione per l’Internet of Things, e due CICERO. Questi ultimi sono sviluppati dalla ESA Earth Observation e avranno il compito di ricavare dati meteo.
I “rimorchiatori” spaziali
Come spesso accade per le missioni rideshare, il rilascio dei satelliti non è affidato esclusivamente al vettore ma ci sono anche “rimorchiatori” che hanno proprio il compito di trasportare i cubesat fino alla loro orbita operativa.
Con la missione Transporter-5 ha fatto il suo ritorno lo Sherpa di Spaceflight. Si tratta di una nuova versione denominata Sherpa-AC, ovvero Attitude Control. Nei mesi scorsi vi erano stati contrasti tra SpaceX e Spaceflight proprio a causa degli Sherpa. Durante un test erano emersi problemi al sistema propulsivo di questi dispenser, che ne avrebbe potuto procurare altri durante la missione. Lo Sherpa-AC invece, non possiede un sistema propulsivo ma è dotato solamente di sistemi di navigazione per il controllo del satellite.
Fa il suo debutto anche Vigoride, realizzato da Momentus. Trattandosi della sua prima missione, uno degli obbiettivi è quello di collaudare i diversi sistemi del satellite, soprattutto quelli legati alla propulsione. Vigoride infatti ha un particolare motore elettrico che utilizza come propellente l’acqua. Si chiama MET (Microwave Electrothermal Thrusters) che sfrutta le microonde per scaldare l’acqua, che passa in stato gassoso a temperatura molto elevata e che poi viene espulso generando una spinta.
A bordo del Falcon 9 era presente anche ION, dell’italiana D-Orbit. Si tratta della sesta missione nello spazio per l’azienda italiana. Questa volta l’ION è stato chiamato Thrilling Thomas e la missione Infinite Blue.
Rientro sulla terraferma per il B1061
Grazie al peso non eccessivo del carico trasportato in orbita, il Falcon 9 ha potuto conservare abbastanza carburante per rientrare direttamente sulla terraferma. Il booster, con numero di serie B1061, atterra così per la prima volta sulla Landing Zone numero 1 di Cape Canaveral.
Per effettuare questo rientro il B1061 ha eseguito tre diverse accensioni dei motori Merlin. La prima è servita per invertire il senso di marcia e indirizzare il primo stadio verso la zona di atterraggio. La seconda invece era necessaria per rallentare la discesa e infine l’ultima, eseguita con il solo motore centrale, ha permesso l’atterraggio del B1061. Si tratta dell’ottavo atterraggio di successo per questo Falcon 9 e il numero 122 in totale.
Continua a seguire Astrospace.it sul canale Telegram, sulla pagina Facebook e sul nostro canale Youtube. Non perderti nessuno dei nostri articoli e aggiornamenti sul settore aerospaziale e dell’esplorazione dello spazio.