Il James Webb ha individuato un quasar risalente a 11,5 miliardi di anni fa e chiamato SDSS J165202.64+172852.3. I quasar sono oggetti caratterizzati da getti molto energetici, determinati dalla caduta di gas caldo e materia all’interno di un buco nero, e si trovano all’interno dei cosiddetti Nuclei Galattici Attivi (AGN). Questi sono galassie al cui centro è presente un buco nero supermassiccio che, assorbendo il materiale attorno a sé, causa i getti.
Il quasar in questione è insolitamente rosso non solo per il suo colore intrinseco, ma anche perché la luce della galassia è stata “spostata verso il rosso” dalla sua vasta distanza. Questo accade a causa di un fenomeno cosmologico chiamato redshift, per cui i corpi celesti che sono più lontani da noi ci appaiono più rossi di quanto non siano. Poiché il JWST è dotato di una sensibilità senza precedenti nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso, si è rivelato perfettamente adatto per esaminare nel dettaglio questa galassia.
Gli strumenti utilizzati per osservare il quasar
Per studiare il movimento del gas, della polvere e del materiale stellare nella galassia, il team ha utilizzato il Near InfraRed Spectrometer (NIRSpec). Questo strumento usa la spettroscopia per osservare il movimento di vari deflussi e venti che circondano il quasar. NIRSpec può raccogliere simultaneamente spettri attraverso l’intero campo visivo del telescopio, invece che solo da un punto alla volta, consentendo a Webb di esaminare simultaneamente il quasar, la sua galassia e l’ambiente circostante. Utilizzando le osservazioni del NIRSpec, il team è stato in grado di confermare tre compagni galattici di questo quasar e mostrare come sono collegati.
“Il nostro primo sguardo ai dati ha rivelato rapidamente chiari segni d’importanti interazioni tra le galassie vicine” ha spiegato Andrey Vayner della Johns Hopkins University di Baltimora. “La sensibilità dello strumento NIRSpec è stata immediatamente evidente: siamo in una nuova era della spettroscopia a infrarossi”.
Le nuove scoperte sul quasar grazie al Webb
Precedenti studi condotti da Hubble e da altri osservatori avevano già osservato alcuni potenti flussi emergenti dal quasar. Per questo, gli studiosi avevano ipotizzato che la sua galassia ospite si stesse scontrando con un’altra. Quest’ultima però risultava invisibile agli “occhi” di Hubble e degli altri telescopi, costruiti per osservazioni nel visibile. Pertanto gli studiosi non potevano aspettarsi che lo scontro stesse avvenendo non con una, ma bensì con almeno tre galassie, vorticanti in una danza cosmica attorno alla prima. I dati d’archivio di Hubble suggeriscono che potrebbero essercene ancora di più.
Le immagini della Wide Field Camera 3 di Hubble avevano mostrato materiale esteso che circonda il quasar e la sua galassia, spingendo la sua selezione per questo studio sul suo deflusso e sugli effetti sulla sua galassia ospite. Ora, il team sospetta che avrebbero potuto osservare il nucleo di un intero ammasso di galassie, rivelato solo ora dalle nitide immagini di Webb.
Grazie agli spettri raccolti su un’ampia area, è stato possibile mappare i movimenti del materiale attorno al quasar, portando alla conclusione che il quasar rosso fosse in realtà parte di un denso nodo di formazione di galassie nell’Universo primordiale. L’astronoma Dominika Wylezalek dell’Università di Heidelberg in Germania, che ha guidato lo studio con Webb, ha spiegato:
Ci sono pochi ammassi di galassie conosciuti in questo primo momento della storia dell’Universo. È difficile trovarli e pochissimi hanno avuto il tempo di formarsi dopo il big bang. Questo potrebbe alla fine aiutarci a capire come si evolvono le galassie in ambienti densi.
II team sta pianificando osservazioni di follow-up in questo inaspettato proto-cluster di galassie, e spera di usarlo per capire come si formano ammassi di galassie densi e caotici come questo. E come è influenzato dal buco nero supermassiccio attivo nel suo cuore.
Nuove intuizioni anche sulla materia oscura
Le tre galassie confermate sono in orbita l’una intorno all’altra a velocità incredibilmente elevate. Questa danza indica che è presente una grande quantità di massa. Se sommiamo questa informazione dinamica con la forma che questo ammasso ha, la regione ci appare come una delle più dense dell’Universo primordiale. “Nemmeno un denso nodo di materia oscura è sufficiente per spiegarlo” afferma Wylezalek. “Pensiamo che potremmo vedere una regione in cui due enormi aloni di materia oscura si stanno fondendo insieme“.
La materia oscura è una componente invisibile dell’Universo che interagisce solo gravitazionalmente con la materia ordinaria, che invece compone gli oggetti celesti che conosciamo. Essa costruisce una ragnatela cosmica lungo la quale la normale materia è stata attratta per comporre le nebulose, le stelle, le galassie e gli ammassi di galassie. Ma si estende ben oltre tali strutture e forma aloni che circondano le galassie e gli ammassi ben oltre il loro raggio visibile.
Tuttavia, la materia oscura non è distribuita in maniera omogenea nell’Universo: ci sono luoghi in cui la densità è maggiore che in altri. Studi come questi ci possono aiutare a far luce sulla sua estensione e distribuzione nell’Universo.
Lo studio inerente la ricerca sarà pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.
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