Un team di ricercatori guidato dalla Durham University, nel Regno Unito, ha di recente scoperto un buco nero ultramassiccio con quasi 33 miliardi di volte la massa del nostro Sole.
Per lo studio è stato sfruttato il fenomeno di gravitational lensing, o lente gravitazionale, per il quale una galassia massiccia in primo piano devia la luce proveniente da una sorgente più distante. A partire da questo effetto di gravità che curva la luce, gli scienziati hanno effettuato alcune simulazioni con il supercomputer della struttura, il DiRAC HPC.
Grazie ai modelli, il team ha esaminato da vicino come viene deviata la luce da un buco nero all’interno di una galassia a centinaia di milioni di anni luce dalla Terra. Un buco nero così gigantesco, da estendersi su una scala vista raramente dagli astronomi, e da essere uno dei più grandi mai rilevati.
La gravità che piega la luce
Una lente gravitazionale si verifica quando il campo gravitazionale di una galassia vicina devia la luce di una sorgente lontana. Come fa una vera lente, la sorgente lontana appare ingrandita, cosa che consente agli scienziati di studiarla nel dettaglio.
Per trovare questo enorme buco nero, il team ha simulato la luce che viaggia attraverso l’Universo centinaia di migliaia di volte. Ogni simulazione includeva un buco nero di massa diversa, che modifica l’andamento della luce di una sorgente lontana verso la Terra.
Quando i ricercatori hanno incluso un buco nero ultramassiccio in una delle loro simulazioni, il percorso intrapreso dalla luce dalla galassia distante per raggiungerci corrispondeva al percorso visto nelle immagini reali catturate dal telescopio spaziale Hubble. Ecco quindi che in quella posizione c’era effettivamente un buco nero ultramassiccio, 32,7 miliardi di volte il nostro Sole.
La storia di una scoperta da record
Nel 2004 il professor Alastair Edge, della Durham University, ha notato un arco di luce molto vasto durante la revisione delle immagini di una survey galattica. Un arco che senz’altro era causato dal fenomeno di lente gravitazionale.
Rispetto alla maggior parte delle lenti cosmiche, quel particolare arco era piuttosto insolito. Studi successivi hanno messo in evidenza quanto fosse necessaria un’elevata ellitticità nella deviazione della luce, per adattarsi alla forma dell’arco; ovvero, la lente responsabile dell’effetto ottico doveva essere piuttosto massiccia.
I dati spettroscopici a campo integrale hanno successivamente rivelato una debole contro-immagine all’arco principale, proiettata ancora più vicino al centro dell’obiettivo. Si trattava di un altro effetto ottico della gravità, che aveva moltiplicato la luce della sorgente lontana, oltre che distorcerne le fattezze.
Utilizzando un modello semplificato basato sulla posizione della configurazione della lente, un team di scienziati nel 2017 ha sostenuto che fosse necessaria una massa aggiuntiva di circa 1 miliardo di volte il Sole per riprodurre la contro-immagine osservata. Gli autori avevano quindi concluso che la lente centrale potesse essere un buco nero supermassiccio.
Ora, diciannove anni più tardi, con l’aiuto di alcune immagini ad altissima risoluzione di Hubble e delle strutture del supercomputer DiRAC COSMA8 presso la Durham University, James Nightingale e il suo team sono stati in grado di andare più a fondo alla scoperta di Edge.
Un buco nero gigantesco, ma inattivo
Nightingale e colleghi hanno analizzato le nuove immagini Hubble, provenienti dagli strumenti WFC3/UVIS, aventi una risoluzione spaziale più elevata e un maggiore rapporto segnale-rumore. Per l’analisi, il team ha utilizzato tecniche avanzate di modellazione delle lenti gravitazionali, per rivalutare le ipotesi precedenti di un buco nero supermassiccio. Nel video seguente, un recap della scoperta. Credits: Durham University
Sono state le simulazioni al supercomputer, infine, a permettere di raggiungere una stima precisa della massa del buco nero necessario a ricreare quell’arco di luce. Un buco nero straordinariamente inattivo. A tal proposito, Nightingale ha dichiarato:
La maggior parte dei più grandi buchi neri che conosciamo sono in uno stato attivo, in cui la materia attirata vicino al buco nero si riscalda e rilascia energia sotto forma di luce, raggi X e altre radiazioni. Tuttavia, la lente gravitazionale rende possibile studiare i buchi neri inattivi, qualcosa che attualmente non è possibile nelle galassie lontane . Questo approccio potrebbe permetterci di rilevare molti più buchi neri oltre il nostro Universo locale e rivelare come questi oggetti esotici si siano evoluti più indietro nel tempo cosmico.
Lo studio, che coinvolge anche ricercatori del Max Planck Institute, apre la possibilità che gli astronomi possano scoprire buchi neri molto più inattivi e ultramassicci di quanto si pensasse in precedenza, e indagare su come sono diventati così grandi.
Questo è il buco nero più grande mai trovato?
Questo mostruoso buco nero non è il più grande che conosciamo nel nostro Universo. Il primato spetta ancora a TON 618, situato al centro di una galassia distante da noi più di 10 miliardi di anni luce. Fu scoperto per la prima volta nel 1957 ed ha una massa stimata di circa 66 miliardi di volte quella del Sole.
La massa di TON 618 è superiore a quella di tutte le stelle presenti nella via Lattea, stimata di circa 64 miliardi di volte quella del Sole. È più di 15.000 volte più massiccio del buco nero supermassiccio Sagittarius A* che si trova al centro della nostra Galassia.
Nel prossimo decennio, le indagini cosmologiche con strumenti come Euclid e lo Square Kilometre Array potrebbero scoprire fino a centomila lenti gravitazionali, aumentando di tre ordini di grandezza i centinaia di sistemi attualmente conosciuti. Ciò porterà naturalmente alla scoperta di sistemi di lenti più esotici e peculiari, le cui rare configurazioni possono fornire indizi e vincoli su altri buchi neri supermassicci e ultramassicci.
I risultati, pubblicati sulla rivista Monthly Notice della Royal Astronomical Society, sono reperibili qui.
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