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Il Webb ha trovato una galassia chimicamente molto ricca, dietro un “anello di Einstein”

Mila Racca di Mila Racca
Marzo 2, 2023
in Agenzie Spaziali, Astronomia e astrofisica, ESA, NASA, News, Scienza
Anello di Einstein con ALMA

Immagine ALMA della galassia molto distante SPT0418, distorta in un anello a causa della gravità di una galassia in primo piano. Credits: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Rizzo et al.

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Grazie ai dati del James Webb, gli astronomi della Cornell University hanno scoperto SPT0418-SE, una galassia lontana ricca di elementi chimici. Gli scienziati stavano osservando le immagini di Webb della galassia SPT0418-47, una delle galassie ricche di polvere più luminose e attive nella formazione stellare dell’Universo primordiale.

La luce di questo oggetto è stata piegata e amplificata dalla gravità di un’altra galassia in primo piano, tramite il processo della lente gravitazionale. Tale meccanismo ha fatto in modo che la radiazione proveniente dalla galassia lontana fosse distribuita lungo un “anello”, detto anello di Einsten, come si vede bene nel video sottostante.

Lungo i bordi di questo cerchio, frutto della gravità distorta, gli astronomi hanno scovato un punto luminoso e analizzandone i dati nell’infrarosso, hanno scoperto che si trattava di un oggetto esterno a SPT0418-47. Pare trattarsi di una galassia di 1.4 miliardi di anni che, nonostante la sua giovane età, sembra aver già ospitato più generazioni di stelle. È stata chiamata SPT0418-SE.

Gli indizi sulla presenza di questo oggetto c’erano già nelle precedenti immagini dell’anello di Einstein catturate dall’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) in Cile. Ma non potevano essere interpretati come qualcosa di più di un rumore casuale. Oggi, grazie alla sensibilità del James Webb, sappiamo che questa galassia esiste e che è chimicamente molto ricca. Ancora una volta, JWST trova nuovi luoghi per studiare come si sono formate le stelle e le galassie nell’Universo primordiale.

Cosa capiamo su una galassia dalla spettroscopia?

Indagando sui dati spettrali incorporati in ogni pixel delle immagini dallo strumento NIRSpec di Webb, Peng, autore principale della ricerca, ha identificato una seconda nuova fonte di luce all’interno dell’anello. Ha stabilito che le due fonti rappresentavano le immagini di una galassia a parte, la cui luce era stata deviata e moltiplicata dalla stessa galassia in primo piano, responsabile della creazione dell’anello. A testimonianza del potere della visione a infrarossi di JWST, va sottolineato che le due fonti individuate all’interno dell’anello erano da 8 a 16 volte più deboli della luce dell’anello.

Poiché la luce di oggetti celesti lontani viene “arrossata” dal processo di astronomical redshift, il JWST è stato costruito appositamente per vedere nella banda infrarossa dello spettro elettromagnetico. Grazie alla spettroscopia astronomica, siamo in grado di definire la distanza di una sorgente, misurando di quanto le sue linee spettrali si siano spostate a lunghezze d’onda maggiori, ovvero più rosse.

L’analisi sulla composizione chimica della luce proveniente da SPT0418-SE e da SPT0418-47 ha confermato che le forti righe di emissione degli atomi di idrogeno, azoto e zolfo mostravano spostamenti verso il rosso simili. Questo risultato ha permesso di stimare che le due galassie si trovano all’incirca alla stessa distanza dalla Terra, calcolata come uno spostamento verso il rosso (redshift) pari a 4.2.

 

Esempio dell'effetto del redshift cosmologico su una galassia. Le linee di emissione spettrali, sono spostate a lunghezze d'onda maggiori (più rosse). Credit: mosdef.astro.berkeley.edu
Esempio dell’effetto del redshift su una galassia. Le linee di emissione spettrali, sono spostate a lunghezze d’onda maggiori (più rosse). Credits: Berkeley Lab.

La (fortuita) scoperta di SPT0418-SE

La tecnica spettroscopica appena spiegata è stata utilizzata per verificare la scoperta di una compagna di SPT0418-47. I ricercatori hanno trovato, nelle precedenti osservazioni di ALMA, una linea di emissione di carbonio ionizzato che corrispondeva strettamente ai redshift osservati da JWST.

“È la prova inconfutabile” ha detto Amit Vishwas, ricercatore al Cornell Center for Astrophysics and Planetary Sciences e coautore della ricerca. “Poiché abbiamo diverse linee di emissione spostate esattamente della stessa quantità, non c’è dubbio che questa nuova galassia sia dove pensiamo che sia”.

Il team ha stimato che la galassia compagna SPT0418-SE si trovasse entro 5 kiloparsec dall’anello. Per riferimento, le Nubi di Magellano, satelliti della Via Lattea, distano circa 50 kiloparsec dalla nostra Galassia. Le due galassie hanno inoltre una massa modesta rispetto alle galassie dell’Universo primordiale.

SPT0418-SE è relativamente più piccola e meno ricca di polvere rispetto alla compagna, caratteristiche che la fanno apparire più blu del resto dell’anello. Sulla base di immagini di galassie vicine con colori simili, i ricercatori suggeriscono che SPT0418-SE potrebbe risiedere “in un enorme alone di materia oscura con vicini ancora da scoprire”.

Galassie molto metalliche

La cosa più sorprendente di queste galassie, considerando la loro età e massa, è la metallicità matura. Con metallicità si intende la quantità di elementi più pesanti dell’elio e dell’idrogeno, come carbonio, ossigeno e azoto.

Il team guidato da Peng ha stimato che la metallicità di SPT0418-SE sia simile a quella del nostro Sole. Il che è sorprendente, visto che stiamo osservando queste galassie in un momento in cui l’Universo aveva meno di 1.5 miliardi di anni: dovrebbero essere molto più povere di elementi pesanti! A questo proposito, Vishwas ha spiegato:

Stiamo vedendo gli avanzi di almeno un paio di generazioni di stelle che sono vissute e morte entro il primo miliardo di anni di esistenza dell’Universo, che non è ciò che vediamo di solito. Per questo motivo, ipotizziamo che il processo di formazione delle stelle in queste galassie sia stato molto efficiente e iniziato molto presto. In particolare per spiegare l’abbondanza misurata di azoto rispetto all’ossigeno. Tale rapporto è infatti una misura affidabile di quante generazioni di stelle sono vissute e sono morte.

I ricercatori dello studio ora hanno presentato una proposta per il tempo di osservazione JWST. Sperano di poter continuare la ricerca, oltre che conciliare le potenziali differenze osservate tra lo spettro ottico e quello del lontano infrarosso. “Stiamo ancora lavorando su questa galassia” ha detto Peng. “C’è altro da esplorare in questi dati.”

Lo studio, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, è disponibile qui.

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Tags: galassieJames WebbJWSTmetallicitàSpettroscopiauniverso primordiale

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