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Un telescopio per fotografare gli esopianeti sfruttando la gravità

Un recente studio ha dimostrato l'efficacia di un telescopio spaziale che sfrutta la gravità del Sole per ottenere un'immagine diretta degli esopianeti. Le sfide per la sua realizzazione però sono ancora molte.

Chiara De Piccoli di Chiara De Piccoli
Maggio 8, 2022
in Astronomia e astrofisica, Divulgazione, News, Scienza
Un telescopio per fotografare gli esopianeti sfruttando la gravità

Digramma che mostra un esempio di imaging che utilizza il campo gravitazionale del Sole per ingrandire la luce degli esopianeti. Questo metodo consentirebbe la ricostruzione avanzata dell'aspetto degli esopianeti. Crediti: Alexander Madurowicz

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Una delle tecniche per scovare esopianeti nell’Universo è l’imaging diretto. Questo metodo prevede di osservare direttamente l’esistenza di un pianeta, come un piccolo puntino luminoso nel disco circumstellare della stella attorno a cui orbita. La luminosità di quest’ultima, tuttavia, complica l’individuazione di questi mondi, rendendo l’imaging una delle tecniche meno proficue per questo tipo di ricerca.

Ma se esistesse un telescopio abbastanza potente da permetterci di guardare gli esopianeti in maniera diretta e molto più da vicino? Le implicazioni di queste osservazioni sarebbero straordinarie. Potremmo studiarne l’atmosfera, individuare aree verdi e aree oceaniche, stabilire se realmente in quel pianeta possa esserci vita. Un gruppo di ricercatori della Stanford University ha teorizzato un telescopio simile, che sfrutta la gravità del Sole per osservare gli esopianeti. Tuttavia, prima di definire ad un modello completo e passare alla sua realizzazione, le sfide da vincere sono ancora molte.

Il Sole come lente gravitazionale

Fin dall’inizio dell’avventura del JWST, la comunità scientifica non ha mai smesso di lavorare ad altri telescopi in grado di contribuire in maniera altrettanto straordinaria alla scoperta dell’Universo. In un articolo pubblicato sul The Astrophysical Journal è stato descritto un possibile telescopio spaziale per studiare gli esopianeti attraverso la tecnica dell’imaging diretto. La precisione di questo strumento sarebbe 1000 volte maggiore rispetto a quella degli odierni telescopi che utilizzano lo stesso metodo d’indagine. Questo è reso possibile sfruttando la gravità del Sole, che ricopre il ruolo di lente gravitazionale.

La tecnica della lente gravitazionale, oggi ampiamente usata nello studio dell’evoluzione dell’Universo, permette infatti di osservare anche i pianeti al di fuori del Sistema Solare. Bruce Macintosh, uno degli autori della ricerca, afferma:

“Vogliamo scattare fotografie dei pianeti in orbita ad altre stelle che siano buone quanto le immagini che possiamo fare ai pianeti del nostro Sistema Solare. Con questa tecnologia, speriamo di ottenere una fotografia di un pianeta a 100 anni luce di distanza che abbia lo stesso impatto di quella della Terra scattata da Apollo 8.”

L’ambizione di questo progetto è sicuramente alta e i problemi da affrontare nella realizzazione di un telescopio simile sono tutt’altro che semplici.

La costruzione dell’immagine di un esopianeta

Fu Einstein a teorizzare che la gravità di un oggetto, descritta come deformazione dello spazio-tempo, potesse deviare la luce. Questo effetto venne osservato nel 1919, durante un’eclissi di Sole, in cui alcune stelle apparvero sfalsate rispetto alla loro posizione nota. Con lente gravitazionale si intende un oggetto in grado di deformare la luce, e, in questo caso, si tratta del Sole. Uno dei fenomeni più particolari che si possono osservare attraverso questa lente è il cosiddetto anello di Einstein. Questo si verifica quando la sorgente luminosa e la lente gravitazionale si trovano sulla stessa linea di osservazione dell’osservatore.

Anello di Einstein
Nell’animazione si può osservare l’anello di Einstein prodotto dal passaggio di una galassia sullo sfondo di un buco nero, la lente gravitazionale che deforma la luce.

Alexander Madurowicz, dottorando presso il KIPAC, ha sviluppato un metodo di ricostruzione della superficie del pianeta a partire proprio dall’anello di luce che si forma attorno al Sole, osservato da questo ipotetico telescopio spaziale. L’algoritmo di Madurowicz è in grado di ripiegare l’anello fino a ottenere l’immagine di un pianeta. L’efficacia di questo modello è stata dimostrata attraverso la ricostruzione della Terra.

Le immagini iniziali sono state recuperate dal satellite DSCOVR, impegnato nel monitorare il meteo spaziale e localizzato tra Terra e Sole, nel punto lagrangiano L1. Da queste, dopo aver ottenuto l’anello di luce del nostro pianeta attraverso una simulazione al computer, l’algoritmo ha ricostruito l’immagine originale del nostro pianeta. Per poter sfruttare la stessa tecnica per gli esopianeti, il telescopio spaziale dovrà essere posizionato molto lontano dal Sole, oltre i confini del Sistema Solare.

Verso l’esterno del Sistema Solare

La più grande sfida da affrontare per poter osservare un pianeta distante centinaia di anni luce dalla Terra, è il posizionamento del telescopio in grado di compiere queste osservazioni. Il Sole, essendo la lente gravitazionale, dovrà trovarsi nel mezzo, tra target e strumento d’osservazione. Quest’ultimo però dovrà trovarsi almeno 14 volte più lontano dal Sole rispetto a Plutone, al di fuori del Sistema Solare. Questa distanza, sebbene enorme agli occhi dell’uomo, è solamente una piccola frazione della distanza tra il Sole e un esopianeta.

Come raggiungere tale distanza dipende da molti fattori, uno tra tutti la grandezza del telescopio. Infatti, se di piccole dimensioni, si può sfruttare la cosiddetta tecnica della vela solare. Si tratta di un metodo di propulsione che sfrutta la pressione di radiazione del Sole, inesauribile fino a che la stella splende ma che diminuisce man mano che ci si allontana da essa. Questo metodo è però in grado di accelerare pochi grammi di payload con vele di decine di metri quadrati.

vela solare IKAROS
Modello della sonda giapponese IKAROS, lancia nel 2010, che raggiunse Venere sfruttando le vele solari come propulsione.

Per un oggetto più grande, e quindi più massiccio, il metodo del flyby attorno al Sole è quello più promettente per spedirlo ai confini del sistema. Si sfrutta il cosiddetto effetto Oberth, secondo cui l’oggetto cadendo verso il Sole per effetto della gravità viene accelerato e ottiene una velocità aggiuntiva. Lo scudo termico del telescopio in questo caso dovrà essere in grado di resistere al calore del Sole. La manovra di Oberth, infatti, è efficace avvicinandosi a circa due o tre raggi solari dalla stella.

Sfruttando la tecnologia attuale per i viaggi nello spazio, il telescopio raggiungerebbe la posizione adatta in circa 100 anni. Ma grazie alle vele solari e ai flyby attorno al Sole, questo intervallo di tempo si può ridurre drasticamente, impiegandoci tra i 20 e 40 anni. 

La potenza dei telescopi che sfruttano la gravità

Attualmente, per osservare i dettagli della superficie di un esopianeta, sarebbe necessario costruire un telescopio grande 20 volte il raggio della Terra. L’impossibilità di questa realizzazione devia gli scienziati su nuove strade. Una di queste, sfrutta la gravità. Un telescopio delle dimensioni di Hubble che sfrutta il Sole come lente gravitazionale sarebbe in grado di osservare nel dettaglio questi mondi lontani.

Secondo Madurowicz, l’utilizzo della lente gravitazionale solare aprirebbe una nuova finestra per le osservazioni dell’Universo, rendendo possibili fotografie fino a ora inimmaginabili per pianeti così lontani da noi. Tuttavia le sfide da superare sono ancora molte, ma non insormontabili.

Con il loro lavoro, Madurowicz e Macintosh, hanno voluto dimostrare che la strategia che studia gli anelli di Einstein che si formano attorno al Sole ha un potenziale mai visto fino a ora. Sebbene la realizzazione di un telescopio simile, sia a oggi ancora complessa, Macintosh afferma

“Questo è uno degli ultimi passi per scoprire se c’è vita su altri pianeti. Scattando una foto di un altro pianeta, potresti guardarlo e vedere campioni verdi che sono foreste e  macchie blu che sono oceani. Con quello, sarebbe difficile sostenere che non abbia vita.”

Lo studio di Madurowicz e Macintosh, pubblicato su The Astrophysical Journal, è disponibile qui.

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Tags: AstrofisicaEsopianetiflybyLente gravitazionaleSistema solareSoleTelescopio spazialeVele solari

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