Il primo esopianeta fu scoperto nel 1992 da Aleksander Wolszczan e Dale Frail attorno a una pulsar. Nel 1995 Michel Mayor e Didier Queloz, due astronomi svizzeri, scoprirono il primo esopianeta orbitante attorno a una stella simile al sole. Il professore e il suo dottorando trovarono attorno a 51 Pegasi un corpo di massa simile a quella gioviana, con un’orbita ancora più piccola di quella di Mercurio rispetto al nostro Sole. Con la scoperta di questo esopianeta, che nulla aveva in comune con quelli del nostro sistema solare, venne messo in discussione il Modello Standard di formazione dei pianeti, secondo cui corpi di massa gioviana hanno sede solo oltre la frost line (la distanza da una stella entro la quale i composti contenenti idrogeno riescono a solidificarsi).
Da quel momento in poi nacque un enorme interesse verso l’esopianetologia, tanto che, dal 1995 ad oggi, sono stati confermati almeno 3223 sistemi planetari con 4360 pianeti e 713 sistemi con più di un solo pianeta, ma questi numeri evolvono giorno per giorno grazie alle nuove tecniche che si sono sviluppate negli anni e grazie anche alla loro risoluzione sempre migliore.
I metodi di scoperta degli esopianeti
L’immagine seguente mostra tutti i metodi di scoperta degli esopianeti tuttora in uso, definiti dalle linee continue. Come si può notare, sono davvero moltissimi e sfruttano le più svariate tecniche di esplorazione spaziale, dalla fotometria alla spettroscopia. Le linee tratteggiate rappresentano progetti futuri, per lo sviluppo di nuovi metodi di scoperta, ad indicare che quello degli esopianeti è un ambito di ricerca in continua evoluzione.
Le tecniche di rilevamento degli esopianeti si distinguono in dirette e indirette. La tecnica diretta consiste nell’osservazione vera e propria del pianeta, ma le più utilizzane sono le tecniche indirette perché, come è facile immaginare, l’imaging diretto non risulta essere molto efficace a causa della forte luce della stella che rende difficile visualizzare i pianeti. I metodi più efficaci per la scoperta degli esopianeti, attualmente sono:
- Metodo delle velocità radiali
- Metodo del Transito
- Microlensing gravitazionale
- Osservazione diretta
- Astrometria
Metodo delle velocità radiali
Il metodo delle velocità radiali, detto anche metodo del doppler redshift, è basato sul movimento della stella attorno al baricentro del sistema stella-pianeta. Questo movimento può essere percepito come uno spostamento della stella lungo la linea di vista ed è percepibile dagli spettrometri grazie allo spostamento delle linee di assorbimento rispetto a quelle di una sorgente equivalente in quiete. Quando la stella si avvicina verso la Terra, la frequenza aumenta (spostamento verso il blu), mentre diminuisce quando la stella si allontana (spostamento verso il rosso). Quello che risulta è una oscillazione tra infrarosso e ultravioletto delle righe di assorbimento delle stelle. Dall’oscillazione si può dedurre la velocità radiale della stella al variare del tempo e stabilire se attorno ad essa orbita un pianeta.
Il vantaggio di questa tecnica sta nel fatto che da essa possono essere ricavati diversi parametri fisici dell’esopianeta. Infatti, inserendo in un grafico la velocità radiale della stella in funzione del tempo, dal suo andamento periodico è possibile derivare il semiasse maggiore dell’orbita dell’esopianeta grazie alla terza legge di Keplero:
dove T è il periodo, M è la massa della stella ed m è la massa del pianeta. Dall’equazione delle forze può anche essere derivata la velocità del pianeta v e dalla conservazione del momento angolare la sua massa, uno dei parametri fisici più importanti.
Purtroppo, la massa così calcolata, può contenere un errore sistematico dovuto all’inclinazione del sistema osservato. Infatti, nel caso in cui osservassimo un pianeta rotante attorno ad una stella, completamente di taglio, misureremmo effettivamente la velocità radiale della stella; se invece l’orbita del pianeta fosse inclinata di un certo angolo, ciò che misureremmo sarebbe la proiezione della velocità lungo la linea di vista, e questo ci porterebbe a sottostimare il valore di massa del pianeta. Tuttavia, grazie al cosiddetto effetto di Rossiter-McClaughlin, in base alla forma della sinusoide che definisce la velocità radiale in funzione del tempo, possiamo determinare la direzione del transito del pianeta.
Se osserviamo la figura 2.4, possiamo dedurre come un transito “di taglio” del pianeta, di fronte alla stella dia una determinata forma al grafico della velocità radiale, diversa da quelle che forniscono i due transiti obliqui. Dunque, identificato la traiettoria del transito, l’errore sistematico sulla massa di cui parlavamo sopra, diventa accettabile.
Metodo del transito
Il metodo del transito consiste nella misurazione del calo della luminosità di un stella, che si verifica al passaggio di un esopianeta davanti ad essa, dove la diminuzione della curva di luce è legata alla dimensione della stella, alla dimensione del pianeta e alla dimensione della sua orbita. Questo metodo ha trovato largo impiego negli ultimi anni, in quanto permette di derivare numerose grandezze fisiche da semplici osservazioni fotometriche.
Sicuramente il primo parametro fisico deducibile da questo metodo è il periodo dell’orbita del pianeta attorno alla sua stella, derivato dalla distanza temporale tra due minimi di luminosità. Dal periodo si calcola poi il semiasse maggiore dell’orbita, da cui si deriva anche la sua inclinazione.
Inoltre, viene derivato il raggio del pianeta e, in questo senso, il metodo del transito può essere considerato complementare a quello delle velocità radiali, in quanto da uno deduciamo il raggio, e dall’altro la massa del pianeta, due parametri tra i più importanti.
Infine, questa tecnica ci fornisce anche informazione riguardo la composizione atmosferica del pianeta e la sua temperatura. Infatti, quando un esopianeta orbita di fronte a una stella, parte della luce della stella penetra nella sua atmosfera, generando linee di assorbimento nello spettro. Gli scienziati, analizzando questi spettri, sono in grado di determinare la presenza di metano, vapore acqueo e altri composti. Il metodo dei transiti è ideale per pianeti che orbitano molto vicino alla loro stella madre, sia perché in tal caso essi possono essere osservati anche se la loro orbita è molto inclinata, sia perché hanno periodi di rotazione brevi ed è così possibile osservare il transito più frequentemente. L’importanza di questo metodo è che è in grado di rivelare anche pianeti molto piccoli.
Microlensing gravitazionale
Il microlensing gravitazionale non è il modo più semplice per scoprire un esopianeta e lo sviluppo di questa tecnica ha richiesto 30 anni di sforzi da parte della comunità scientifica. Ad oggi, grazie a questo metodo, sono stati scoperti 131 pianeti in 117 diversi sistemi planetari.
Questo metodo è basato sulla teoria della relatività generale di Einstein, secondo cui il campo gravitazionale generato da corpi particolarmente massivi è in grado di distorcere lo spaziotempo, e questo può tradursi nella deflessione del percorso di una radiazione elettromagnetica. Per esempio, nel caso in figura 2.6 la luce proveniente dalla stella sorgente (gialla) è deflessa dal campo gravitazionale della stella davanti (bianca), detta lente. Nel microlensing planetario, però, questo effetto è amplificato dalla presenza del pianeta e la stella e il pianeta sono considerati come un sistema di lenti multiple.
Il grande vantaggio di questo metodo sta nel fatto che l’unico effetto misurato dal microlensing è la luce della stella sorgente deflessa dalla gravità e, quindi, non è necessario misurare la luminosità della stella-lente. Per questo motivo, la tecnica permette l’esplorazione di sistemi planetari che orbitano attorno a stelle poco luminose o addirittura invisibili, come le nane brune, oppure di sistemi molto lontani.
Osservazione diretta
Questo metodo consiste in un’osservazione diretta del pianeta ed è estremamente valido nel caso di sistemi stella-pianeta molto giovani. In questa fase, la caratterizzazione di esopianeti con metodi indiretti è molto complicata a causa della variabilità della stella; tuttavia i pianeti giovani si distinguono dagli altri per la cosiddetta luminosità di Lorentz, irradiata a causa delle continue contrazioni di questi corpi.
Dunque, oscurando la stella madre, così che non saturi il telescopio, è possibile vedere direttamente un esopianeta che ci orbita attorno. Di recente, gli astronomi hanno sviluppato una serie di strumenti chiamati ottiche adattative, capaci di ottenere immagini di oggetti di massa gioviana entro un raggio di 30 UA.
- Da questo metodo possono essere derivati diversi parametri fisici:
- Il semi asse maggiore dell’orbita, da cui si calcolala massa del pianeta tramite la terza legge di Keplero;
- L’albedo del pianeta e, dallo spettro, la temperatura e la composizione chimica del pianeta;
- Il raggio, dalla luminosità e dalla temperatura del pianeta;
- Informazioni sull’atmosfera.
Per questo metodo è conveniente che i pianeti in esame abbiano orbite molto ampie.
Astrometria
Nei sistemi planetari, come abbiamo già visto nel caso delle velocità radiali, non sono i pianeti a muoversi attorno alla stella, ma sono i pianeti e la stella a muoversi attorno al baricentro del sistema. Il movimento della stella è dato dalla combinazione lineare dei moti dei diversi pianeti sulle loro orbite, con scala proporzionale alle loro masse.
Quindi, il moto di una stella proiettato nel piano del cielo è la combinazione di tre moti apparenti:
- Moto di parallasse: è un moto apparente dovuto al cambio di prospettiva dell’osservatore,
- Moto proprio: moto della stella e del suo sistema planetario nella Galassia,
- Riflesso: moto dovuto alla presenza dei pianeti.
La determinazione di un’orbita precisa può quindi rivelare la presenza di pianeti con masse diverse.
Gli esopianeti scoperti finora
In generale, la maggior parte dei sistemi planetari che sono stati scoperti fino ad ora, presenta caratteristiche molto diverse da quelle del Sistema Solare. Infatti, pare che in alcuni di essi i pianeti siano molto più vicini tra loro. Sembra inoltre che alcuni siano compressi in una zona del disco planetario vicina alla stella, ancora più di quanto non sia Mercurio per il Sole. La scoperta di questi sistemi, dunque, ci ha permesso di capire che molti dei processi del nostro Sistema Solare non sono caratteristici di ogni sistema planetario ma, al contrario, derivano da meccaniche raffinate e per nulla scontate.
Ogni stella attorno alla quale vengono scoperti uno o più pianeti, può essere un trampolino di lancio per la deduzione di nuove leggi che descrivono le logiche di formazione ed evoluzione di questi sistemi. I metodi di caratterizzazione degli esopianeti, in questo senso, non vengono mai utilizzati singolarmente. Un esopianeta candidato deve essere indagato per mezzo di più tecniche, prima di essere catalogato con tutte le sue caratteristiche. In questo modo gli astronomi riescono a dedurre le logiche esatte che regolano la loro nascita e il loro sviluppo.
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