Le prime stelle dell’Universo devono essersi formate dal materiale della sua composizione primordiale. Secondo il modello cosmologico standard del Big Bang, finora il più accreditato, questa composizione era principalmente di Idrogeno ed Elio. Trovare queste stelle, comunemente soprannominate “le prime stelle” o “stelle di popolazione III”, è un’importante verifica del modello del Big Bang. Così come della successiva nascita ed evoluzione di strutture cosmiche più grandi, le prime galassie.
Questa è proprio una delle sfide a cui il James Webb verrà sottoposto. Il Webb potrebbe però non essere in grado di rilevare singole stelle dall’inizio dell’Universo, ma potrà rilevare alcune delle prime galassie contenenti queste stelle. E per farlo userà la spettroscopia.
I primi minuti dopo il Big Bang: la nucleosintesi primordiale
Definiamo nucleosintesi primordiale (Big Bang Nucleosynthesis in inglese) la fase dell’evoluzione cosmica durante la quale si formano i nuclei di alcuni elementi leggeri, come Deuterio, Elio e Litio. Questi processi di formazione avvengono nei primi minuti di vita dell’Universo, nello specifico dai 3 ai 20 minuti dopo il Big Bang.
Il modello che include la nucleosintesi primordiale prevede che l’Universo ai suoi primi stadi fosse composto per la maggior parte da Idrogeno ed Elio. E poi tracce di elementi più pesanti, che si sono formati più tardi nelle stelle. Queste previsioni sono compatibili con le osservazioni e sono in effetti una delle prove chiave a sostegno del modello del Big Bang.
La metallicità delle prime galassie
Un modo per confermare se stiamo trovando le prime stelle è misurare con precisione le metallicità di galassie molto distanti. La metallicità, in astronomia, è la misura della quantità di elementi chimici più pesanti di idrogeno ed elio. Quindi, osservare una galassia a bassa metallicità vorrebbe dire osservare una galassia composta da stelle di popolazione III.
Gli oggetti che si sono formati in un passato così lontano da noi ci appaiono più rossi di quanto non siano realmente. Questo fenomeno è detto redshift cosmologico ed è dovuto alla continua espansione dell’Universo. Essa modifica la lunghezza d’onda dei fotoni che stanno viaggiando nello spazio, rendendoli appunto più rossi.
La spettroscopia per modellare l’Universo primordiale
Per esempio, la galassia dell’Universo primordiale MACS1149-JD1 è confermata essere a redshift 9.1, cioè la luce che vediamo è stata emessa quando l’Universo aveva solo 600 milioni di anni. Essa ha percorso un lunghissimo tratto di Universo ed è giunta fino a noi. Per comprenderla, i ricercatori utilizzano la spettroscopia: lo studio degli spettri elettromagnetici delle galassie.
“Per misurare la metallicità di MACS1149-JD1 è necessario misurare il rapporto tra le intensità di due linee spettroscopiche emesse da ioni ossigeno” dichiara Massimo Stiavelli, capo del Webb Mission Office presso lo Space Telescope Science Institute.
Queste linee originariamente vengono emesse nel viola-blu e blu-verde. Per il redshift cosmologico, tuttavia, esse sono rilevabili alle lunghezze d’onda dell’infrarosso, che il Webb può vedere. Il rapporto delle intensità di due linee dello stesso ione fornisce una misura accurata della temperatura del gas in questa galassia. Dalla temperatura si ricava una misura attendibile della sua metallicità.
“La sfida è che una di queste linee è solitamente estremamente debole” spiega Stiavelli. “Tuttavia questa linea tende a rafforzarsi a metallicità molto basse. Se non riuscissimo a rilevare la linea e misurare la metallicità per MACS1149-JD1, ciò significherebbe probabilmente che la galassia è già stata arricchita dagli elementi più pesanti.”
Spettroscopia con lo strumento NIRspec sul Webb
Dovremmo quindi guardare verso un Universo più profondo per trovare stelle a basse metallicità. Il Webb dovrebbe essere ingrado di trovarle, fornendoci la chiave per comprendere come si sono formate le prime stelle nell’Universo.
NIRSpec è uno dei quattro strumenti scientifici del JWST. Esso fornirà osservazioni spettroscopiche a bassa, media e alta risoluzione nel vicino infrarosso (da 0,6 a 5,0 micron). Nella sua modalità di spettroscopia di campo integrale consentirà agli astronomi di studiare la struttura dettagliata di oggetti estesi.
Lo strumento include una matrice di microshutter di un quarto di milione di finestre mobili in miniatura, ciascuna di dimensioni 0,1 x 0,2 millimetri. L’array di microshutter consente agli scienziati di mirare a galassie specifiche, chiudendo le finestre che acquisiscono luce dallo sfondo o da altri oggetti che contaminerebbero gli spettri.
Per informazioni più dettagliate, è possibile consultare la nostra guida completa al James Webb Space Telescope.
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