All’inizio erano grandi razzi per grandi satelliti. Poi piccoli satelliti per piccoli razzi. Sta ora arrivando il momento dei grandi razzi per piccoli satelliti? Questa settimana SpaceX ha inaugurato il suo programma rideshare, un servizio con il quale vengono ospitati piccoli satelliti a bordo di lanci con payload più grandi che costituiscono il prime contractor. SpaceX ha inaugurato questo programma in un lancio Starlink e sembra che sarà così anche per altri lanci. In questo modo l’azienda di Musk è in grado di offrire un prezzo veramente basso per il lancio di questi satelliti ospiti.
Facciamo un passo indietro. Cos’è il ridesharing? Il termine è nato per le applicazioni di condivisione delle auto. Da alcuni anni sono molto comuni e una delle evoluzioni più note è sicuramente Uber. Questo termine viene anche usato per indicare la presenza di più satelliti all’interno di un singolo razzo. Questi satelliti sono però divisi da una ben chiara “gerarchia”. C’è un prime contractror, cioè un’azienda che ha pagato gran parte del prezzo di lancio e occupa la maggior parte dello spazio disponibile. Quest’azienda decide la data di lancio (insieme all’azienda che gestisce il vettore) e l’orbita di destinazione. In base a quest’orbita il razzo avrà determinate caratteristiche strutturali e di design di missione. Una volta in orbita i piccoli satelliti ospiti potranno essere rilasciati prima o dopo (solitamente prima) del satellite principale.
Vantaggi e svantaggi del rideshare.
Qual è il vantaggio di questo programma? Il costo. Stando a quanto dichiarato sul sito di SpaceX, portare 200 kg di carico con il programma rideshare in un’orbita SSO (Sun Synchronous Orbit) di 500 km costa all’incirca 1 milione di dollari. Per rendere meglio l’idea, il razzo Electron di Rocket Lab (azienda su cui ritorneremo a breve), costa all’incirca 5 milioni di dollari e trasporta un carico di 200 kg in orbita SSO. Oltre a questo vantaggio economico ci sono però anche alcuni svantaggi.
Per prima cosa la data di lancio è vincolata al satellite più grande. Se l’azienda che lo produce subisce un ritardo, per forza di cose viene rinviato tutto il lancio. SpaceX potrebbe risolvere questo disagio con i lanci Starlink che essendo tutti uguali e prodotti in grandi quantità garantiscono una fornitura costante e affidabile. La frequenza di lancio (a giugno ci saranno almeno 3 lanci) garantisce anche una grande affidabilità sulla data. Ovviamente è difficile che SpaceX possa spostare da una missione all’altra questi payload ospiti ma può comunque offrire una griglia di date di partenza più fitta di qualsiasi altro grande lanciatore sul mercato.
L’altro grande svantaggio di un programma di rideshare è l’orbita di destinazione. Come dicevamo all’inizio questa è vincolata alle esigenze del satellite principale, ma anche in questo si stanno trovando delle soluzioni. La gran parte dei satelliti sono dotati di sistemi propulsivi autonomi. Questi servono per piccoli cambi di orbita di poche centinaia di metri, utili per variare l’utilizzo del satellite o per correggere eventuali decadimenti dell’altitudine. Complice il problema dei detriti spaziali ormai quasi tutti i satelliti sono inoltre dotati di propulsori per spostarsi in caso di pericolo di collisione. In più, per evitare di peggiorare la situazione dei rifiuti, sempre più leggi vengono create per garantire vite più corte dei satelliti e la garanzia che rientrino in atmosfera invece di rimanere inerti in orbita alla fine della loro attività.
Insieme a tutto questo lo spostamento di orbita autonomo una volta lasciato l’ultimo stadio di un razzo è un’applicazione che si rende sempre più necessaria. Questo sicuramente riduce la vita del satellite stesso che utilizza gran parte del suo carburante per questa prima operazione; in più questi spostamenti di orbita sono spesso e ancora, limitati a poche decine di km.
Le soluzioni.
Una soluzione potrebbe arrivare dai cosiddetti dispenser di satelliti. Uno degli esempi più interessanti è sicuramente il prodotto ION di D-Orbit, azienda italiana che lancerà questo dispositivo per la prima volta a bordo del razzo Vega in partenza a breve dalla Guiana francese. Questo dispenser è in grado di staccarsi dall’ultimo stadio di un razzo e trasportare decine di Cubesat (piccoli satelliti di dimensioni standardizzate) nelle loro orbite operative e rilasciarli uno alla volta. Una soluzione che sposta il problema delle ultime fasi propulsive prima dal razzo al satellite, e poi dal satellite al dispenser. L’azienda italiana ha in mente di arrivare a lanciare uno di questi ION ogni due-tre mesi e una sua versione migliorata volerà anche in un Falcon 9 alla fine del 2020.
Abbiamo allora visto che il programma rideshare, in particolare quello di SpaceX, ha un grande vantaggio: il costo, e alcuni svantaggi. Per questi ultimi però ci sono delle soluzioni, alcune delle quali potrebbero già essere tranquillamente in mano di SpaceX. Quindi siamo già di fronte alla fine del mercato dei piccoli lanciatori? Decisamente no.
Un altro monopolio?
Torniamo a parlare di Rocket Lab. L’azienda si sta muovendo attivamente per ampliare la sua offerta concentrandosi proprio su quei “svantaggi” che comporta inserirsi in una missione di un razzo più grande. Per prima cosa anche l’azienda Neozelandese dispone di un programma di rideshare, con il quale piccoli Cubesat di qualche decina di Kg possono dividersi i 200 kg a bordo dell’Electron. Questo abbassa di molto il prezzo di lancio per ognuno. Inoltre, la produzione e preparazione al lancio di piccoli lanciatori è molto più snella e veloce di quella di grandi razzi.
Rocket Lab ha lanciato 13 missioni nei primi due anni circa e punta già a far volare un electron a distanza di pochi giorni dal successivo. Per fare questo è in costruzione una seconda rampa nello spazioporto in Nuova Zelanda e l’azienda ha iniziato ad inizio 2020 a gestirne un’altra in Virginia. Con tre rampe è possibile garantire un rate di lancio più alto e quindi garantire ancora più flessibilità al cliente nella scelta della data. L’obiettivo, dichiarato da Peter Beck, fondatore dell’azienda, è arrivare a lanciare due Electron nello stesso giorno.
Oltre a questo, si sta testando un sistema di recupero del primo stadio attraverso l’uso di un paracadute e un elicottero in grado di agganciarlo. Il riutilizzo del primo stadio in futuro abbasserà ulteriormente il prezzo.
Un’altra soluzione arriva anche dall’Europa. Attualmente è in attesa di meteo favorevole il razzo Vega, il quale avrà a bordo ben 53 satelliti per un totale di circa 750 kg. Questa missione è la prima del programma SSMS dell’ESA, attraverso il quale è stato costruito un particolare dispenser e organizzatore di satelliti appositamente per il lanciatore Vega (nell’immagine poco sopra). Questo dispositivo permette di gestire ed inserire all’interno del razzo decine di satelliti diversi, i quali vengono poi rilasciati al momento opportuno per ciascuno di essi. La grande particolarità di questo sistema di rideshare europeo è che i 53 satelliti sono tutti molto diversi, sia per orbite di destinazione, che per dimensioni e obiettivi. In questo caso appartengono a ben 12 nazioni differenti.
In questo particolare e importante settore dei piccoli satelliti questo nuovo sistema di gestione multi-satellite sicuramente non basterà per rimanere competitivi. Il lanciatore Vega può trasportare circa 1500 kg in orbita SSO ad un prezzo di circa 44 milioni di dollari. Troppo se paragonato ai 18000 kg del Falcon 9 per soli 62 milioni di dollari o ai 200 kg per 5 milioni di Rocket Lab.
Recentemente Stella Guillen, vicepresidente delle vendite in ArianeSpace ha dichiarato a CNBC che entro il 2022 l’obiettivo è di lanciare almeno 5/6 Vega all’anno, il doppio dei 2/3 attuali, per poi aumentare ancora. Arrivare a lanciare 10 Vega all’anno, divisi fra la versione base e il nuovo Vega C, è l’obiettivo minimo per rimanere competitivi.
Questo articolo è comparso per la prima volta nella Newsletter di Astrospace.it del 20 giugno 2020 alla quale ci si può iscrivere direttamente inserendo l’email qui: