Il piccolo razzo di Rocket Lab si chiama Electron e non è un nome scelto a caso. Rocket Lab è una delle piccole aziende aerospaziali nate negli ultimi 15 anni in quella che ormai sempre di più viene riconosciuta come una seconda corsa allo spazio. La corsa di aziende ed enti privati. Nel primo approfondimento dedicato a questa azienda c’è la sua nascita e la storia del suo particolare fondatore e tuttora CEO Peter Beck. Qui invece sarà proprio Electron il nostro protagonista.
Electron è sospinto da nove Rutherford, questo il nome che è stato dato ai motori progettati e prodotti internamente dall’azienda. Questo particolare nome è un omaggio al fisico neozelandese Ernest Rutherford, padre della fisica nucleare. Grazie a questi nove motori il razzo di Rocket Lab è in grado di portare in orbita eliosincrona dai 150 ai 225 Kg. L’orbita eliosincrona è la preferita per il tipo di microsatelliti che lancia solitamente questo razzo. Questa è un orbita di circa 500 Km di altitudine in cui il satellite sorvola punti diversi della Terra ma sempre alla stessa ora locale. In questo modo si ottengono foto di zone diverse ma con sempre la stessa illuminazione.
Le innovazioni che rendono l’Electron interessante risiedono proprio nel motore Rutherford che alimenta anche il secondo stadio. Questo è singolo e parzialmente modificato per funzionare nel vuoto. Entrambe le versioni hanno una spinta di circa 24 KN, quello per il vuoto ha però delle prestazioni di efficacia e durata della spinta leggermente diverse. Data la poca massa dei carichi dell’Electron è facile immaginare quanto piccolo possa essere questo motore, considerando anche il fatto che l’Electron ne ha 9.
Tenere di piccole dimensioni il motore non è stata una scelta casuale dell’azienda. Questo ha permesso a Rocket Lab di tenere bassi i costi e i tempi di produzione di ogni motore. Attualmente riescono a produrne uno in circa 24 ore. Il Rutherford inoltre è uno dei pochi motori al mondo ad avere delle componenti stampate in 3d. La camera di combustione, gli iniettori, le pompe e le valvole del propellente sono stampate in 3d direttamente da Rocket Lab. Tutto questo ha permesso all’azienda di mantenere piuttosto basso anche il prezzo di produzione e quindi di lancio.
Come scritto all’inizio Electron non è un nome a caso. In un motore per razzi uno dei componenti chiave è la pompa che immette il propellente alle pressioni opportune in camera di combustione. Questa pompa nell’Electron è mantenuta in funzione da due motori motori elettrici. Questi ultimi sono alimentati da delle batterie ai polimeri di Litio.
Questa particolare soluzione è unica nell’industria aerospaziale. Il fatto che queste pompe siano alimentate elettricamente aumenta il rendimento del ciclo di pompaggio dal 50% ca di un razzo normale al 90% dell’Electron. Questo vantaggio non è ovviamente del tutto regalato. A scapito del rendimento maggiore c’è infatti un peso maggiore.
Oltre agli incredibili miglioramenti della tecnologia dei motori elettrici e delle batterie, questa soluzione è permessa dalle piccole dimensioni dell’Electron.
Un razzo che cambia colore
Una delle cose più interessanti che caratterizza questo piccolo razzo è il suo colore nero. Questo è un fatto parzialmente casuale ma anche abbastanza ricercato. La scocca dell’electron, costruita in fibra di carbonio è naturalmente di colore scuro. Solitamente i razzi vengono però completamente verniciati di colore bianco per aumentarne la resistenza termica. Rocket Lab ha deciso che il prezzo e il peso della vernice non sarebbero stati sufficientemente convenienti e quindi lo ha lasciato scuro.
Lasciandolo nero ha lasciato all’Electron la possibilità di cambiare colore. Se avete visto un suo lancio avreste notato che poche ore prima della partenza diventa improvvisamente bianco. Questo cambiamento in realtà avviene su tutti i razzi ed è dovuto alla condensa e al ghiaccio che si forma sulla superficie esterna.
Questo si forma in particolare nelle zone intermedie e in quella superiore dove sono presenti i serbatoi di ossigeno liquido. Questo è mantenuto a temperature molto basse, che si avvicinano ai -200 C° provocando quindi il congelamento e appunto la condensazione del vapore acqueo presente nell’aria.
Rocket Lab tenterà delle prime misurazioni su come recuperare il primo stadio del loro Electron il 6 Dicembre 2019. I primi test veri e proprio avvereranno nei primi mesi del 2020. Il riutilizzo dell’Electron porterà altri enormi tagli di prezzo al listino di Rocket Lab. Questi potrebbero essere non indifferenti dato il possibile riutilizzo delle batterie.
Nel prossimo approfondimento su questa piccola ed incredibilmente innovativa azienda discuteremo di Photon, il microsatellite prodotto e progettato direttamente da Rocket Lab.