- Utilizzando la spettroscopia a infrarossi è stata scoperta e caratterizzata una nuova classe di asteroidi.
- Questi asteroidi appartengono alla Fascia Principale, sono molto porosi e ricchi di diversi minerali, e probabilmente si sono originati da interazioni con l’acqua liquida.
- Lo studio suggerisce che questi corpi si siano formati per la prima volta in una regione fredda ai margini del nostro Sistema Solare e siano poi migrati nella Fascia Principale.
Un gruppo di geologi e fisici dell’Università di Heidelberg è riuscito a caratterizzare una nuova classe di asteroidi, utilizzando la spettroscopia ad infrarossi. Si trovano nella Fascia Principale, situata tra Marte e Giove, e sono ricchi di acqua, come il pianeta nano Cerere. Secondo i modelli computerizzati, complessi processi dinamici hanno spostato questi asteroidi dalle regioni esterne del nostro Sistema Solare all’odierna cintura di asteroidi poco dopo la loro creazione.
Gli asteroidi, detti anche pianeti minori, sono resti rocciosi della prima formazione del nostro sistema solare circa 4.5 miliardi di anni fa. L’attuale numero di asteroidi confermati e schedati è 1.266.738 ma le stime sono ben più alte. La maggior parte dei essi orbita tra Marte e Giove, nella Main Asteroid Belt (fascia principale di asteroidi).
Gli asteroidi della Fascia Principale
Le dimensioni degli corpi rocciosi nella Fascia Principale variano da Vesta, il più grande, con un diametro di circa 530 chilometri, a oggetti di diametro inferiore a 10 metri. In particolare, si stima che essa contenga tra 1.1 e 1.9 milioni di asteroidi di diametro superiore a 1 chilometro, e milioni di più piccoli.
La maggior parte degli asteroidi ha una forma irregolare, anche se alcuni sono quasi sferici e spesso bucati o ricoperti di crateri. Mentre ruotano attorno al Sole in orbite ellittiche, anche gli asteroidi ruotano. A volte lo fanno in modo piuttosto irregolare, “rotolando” mentre procedono. Si sa che più di 150 asteroidi hanno una piccola luna compagna (alcuni hanno due lune). Esistono anche asteroidi binari, due corpi rocciosi di dimensioni approssimativamente uguali che orbitano l’uno intorno all’altro, così come sistemi di asteroidi tripli.
Il grande numero di corpi all’interno di questa fascia si deve all’inizio della storia del Sistema Solare. Allora la gravità di Giove, appena formato, pose fine alla formazione di corpi planetari in questa regione e fece collidere quelli più piccoli tra loro. Gli impatti portarono alla frammentazione di tali oggetti e alla successiva formazione degli asteroidi che vediamo noi oggi. Il professore Mario Trieloff dell’Istituto di Scienze della Terra dell’Università di Heidelberg afferma:
Essi sono i resti dei materiali da costruzione da cui sono stati creati i pianeti del nostro Sistema Solare quattro miliardi e mezzo di anni fa. In questi piccoli corpi e nei loro frammenti, i meteoriti, troviamo numerose reliquie che indicano direttamente il processo di formazione dei pianeti.
La formazione e migrazione della nuova classe di asteroidi
L’attuale studio dimostra che i piccoli corpi astronomici che risiedono nella Fascia Principale provengono da tutte le regioni del Sistema Solare primordiale. Secondo Trieloff, che ha condotto la ricerca, i pianeti e i corpi minori del Sistema Solare interno un tempo erano completamente aridi. È stato poi, grazie alla migrazione di alcuni corpi dal Sistema Solare esterno, che l’acqua ha raggiunto le orbite più piccole e anche la nostra Terra quando era ancora in formazione. A cosa è dovuta questa traslazione dei corpi minori?
Già da diverso tempo gli astronomi avevano dato una risposta a questa domanda. I nuovi dati spettroscopici sembrano dare una conferma della precedente teoria. I nuovi spettri infrarossi sono stati misurati dal dottor Driss Takir presso l’Osservatorio Mauna Kea alle Hawaii (USA). Tali misurazioni astronomiche hanno consentito l’identificazione di asteroidi simili a Cerere con un diametro attorno ai 100 chilometri.
Questi corpi rocciosi sono attualmente situati in una regione ristretta tra Marte e Giove, vicino all’orbita dello stesso Cerere. Sempre dagli stessi dati si è poi scoperto che i nuovi asteroidi hanno una superficie ricca di diversi minerali: si sarebbero quindi originati da un’interazione con l’acqua liquida. Infine, questi piccoli corpi astronomici appaiono piuttosto porosi.
La presenza di minerali e l’elevata porosità sono altre caratteristiche condivise con il pianeta nano Cerere e rappresentano una chiara indicazione del fatto che il materiale roccioso non abbia subito grandi modifiche dalla formazione del Sistema Solare ad oggi.
Veduta del pianeta nano Cerere, prodotta dal German Aerospace Center di Berlino. Credits: NASA
Corpi senza mutazioni
L’importanza dei corpi minori sta proprio nel fatto che essi non abbiano subito mutazioni, al contrario dei pianeti. Questi ultimi, a causa delle dimensioni che hanno raggiunto, sono diventati sede di processi geologici endogeni che ne hanno modificato la composizione e la struttura interna ed esterna. Gli asteroidi invece, hanno la stessa composizione che avevano 4.5 miliardi di anni fa.
“Poco dopo la formazione degli asteroidi, le temperature non erano abbastanza alte da convertirli in una struttura rocciosa compatta. Essi hanno mantenuto il carattere poroso e primitivo tipico dei pianeti di ghiaccio esterni, situati lontano dal Sole” spiega il dott. Wladimir Neumann, membro del team di Trieloff.
A Neumann si deve la modellazione computerizzata dello sviluppo termico dei piccoli corpi. Le proprietà di questi oggetti simili a Cerere e la loro presenza in una zona relativamente ristretta della fascia esterna degli asteroidi suggeriscono che questi corpi si siano formati per la prima volta in una regione fredda ai margini del nostro Sistema Solare.
La presenza dei campi gravitazionali di Giove e Saturno ha poi cambiato la traiettoria di questi asteroidi in modo tale che gli oggetti si siano spostati nell’odierna cintura di asteroidi. Ciò è stato dimostrato attraverso calcoli numerici eseguiti dai ricercatori sugli sviluppi della traiettoria nel Sistema Solare primordiale, ed è ben chiaro nell’immagine proposta sopra.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Astronomy e disponibili qui.
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