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| On 1 anno ago

Sono quattro le principali tipologie di sistemi planetari. Il nostro Sistema Solare appartiene alla più rara

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Da quando hanno iniziato a scoprire esopianeti e interi sistemi planetari oltre al nostro, gli scienziati si sono resi conto che il Sistema Solare era piuttosto unico nel suo genere. Il suo ordine preciso di piccoli pianeti rocciosi e grandi pianeti gassosi non era rispettato nella maggior parte dei sistemi che i nostri telescopi osservavano, quindi era evidente che solo per una serie di equilibri ancora sconosciuti il nostro fosse risultato come lo conosciamo oggi.

Una ricerca recente del National Center of Competence in Research PlanetS, insieme alle Università di Berna e Ginevra, ha dimostrato che in effetti esistono quattro classi principali di sistemi planetari. E il nostro Sistema Solare apparterrebbe a quella più rara.

Per molto tempo non è stato possibile capire se questo risultato fosse dovuto a limitazioni particolari nel metodo di osservazione utilizzato. Per esempio, i ricercatori non riuscivano a determinare se i pianeti di ogni singolo sistema fossero abbastanza simili da rientrare in una particolare macro-sezione, o se la loro diversità fosse troppo eccessiva. Come nel nostro Sistema Solare, in fondo, che contiene corpi dalle caratteristiche anche molto diverse.

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Il team è riuscito a sviluppare un vero e proprio quadro di riferimento, che permette di caratterizzare e quantificare l’architettura di un sistema planetario nella sua interezza. In questo modo, è anche possibile determinare le differenze e le somiglianze tra pianeti appartenenti allo stesso sistema. L’obiettivo primario è quello di generare un metodo sistematico per studiare la disposizione delle varie presenze planetarie in un singolo sistema.

Quattro architetture di sistemi planetari

I ricercatori propongono che le architetture dei sistemi planetari si dividano in quattro classi, o “architetture”:

  1. Simile” se il sistema planetario contiene pianeti vicini di massa simile tra loro.
  2. Misto” se le masse variano notevolmente da un corpo all’altro.
  3. Anti-ordinato” se la massa dei pianeti diminuisce con la distanza dalla stella.
  4. Ordinato” se, al contrario, la massa tende ad aumentare con la distanza dalla stella ospite, come nel nostro Sistema Solare.

Questo schema può essere applicato anche a qualsiasi altra grandezza fisica, oltre alla massa. Per esempio raggio, densità, massa del nucleo planetario e frazione della massa d’acqua del nucleo. I risultati sollevano delle domande: quale classe è la più comune? Quali fattori controllano l’emergere di un certo tipo di architettura, e quali invece non hanno un ruolo rilevante?

Ad alcune di queste domande i ricercatori possono rispondere. Per esempio, si prevede che la maggior parte dei sistemi anti-ordinati sia ricca di pianeti umidi, mentre la maggior parte dei sistemi ordinati dovrebbe avere molti pianeti asciutti. In buon accordo con questa teoria, le osservazioni sono generalmente orientate verso la scoperta di sistemi le cui architetture di densità sono simili, miste o anti-ordinate. Ovvero, è molto più difficile scoprire sistemi planetari come il nostro, ordinati.

Rappresentazione artistica delle quattro classi di sistemi planetari individuate dagli scienziati. Credits: NCCR PlanetS, Tobias Stierli

Cosa porta a preferire un’architettura invece di un’altra?

Per comprendere il ruolo della natura e delle leggi fisiche nel plasmare un sistema planetario con una particolare architettura piuttosto che un’altra, i ricercatori hanno applicato il loro quadro di riferimento a sistemi planetari simulati. Hanno così scoperto che quasi tutti i sistemi planetari che emergono da dischi protoplanetari la cui massa solida iniziale era inferiore a 1 volta la massa di Giove, sono simili. I sistemi che emergono da dischi più pesanti possono diventare misti, anti-ordinati o ordinati.

L’aumento delle interazioni (tra i pianeti, o con il disco protoplanetario) tende a spostare l’architettura di un sistema da mista a antiordinata e poi a ordinata. Inoltre, esisterebbe una sorta di correlazione tra metallicità e architettura finale del sistema: sistemi simili hanno un’incidenza molto elevata attorno a stelle a bassa metallicità. La presenza di classi antiordinate e ordinate, invece, aumenta con l’aumentare della metallicità della stella centrale. La presenza di architetture miste prima aumenta e poi diminuisce con l’aumentare della metallicità.

Infine, sembrerebbe che le condizioni iniziali del sistema siano predeterminanti se l’architettura di un sistema diventa simile. Solo successivamente l’evoluzione influenza il fatto che un sistema diventi misto, anti-ordinato o ordinato. Riguardo a ciò, i risultati suggeriscono che:

  1. La struttura interna e la composizione dei pianeti mostra un forte legame con la loro architettura di sistema.
  2. La maggior parte dei sistemi ha una distribuzione di massa planetaria che dipende dalla quantità di massa al centro nella formazione del disco protoplanetario.
  3. Molti pianeti che si trovano all’interno della frost line (la regione oltre la quale i composti contenenti idrogeno possono essere trovati allo stato solido) si sono formati in situ, e si trovano in sistemi con un’architettura simile.

Un ponte di miliardi di anni

Un aspetto notevole dei risultati ottenuti da questa ricerca è che riesce a collegare condizioni iniziali della formazione planetaria e stellare a una proprietà misurabile: l’architettura del sistema. Miliardi di anni di evoluzione si trovano tra ciò che accade all’inizio, quando il sistema si forma a partire da un disco di gas e polveri attorno a una stella, a ciò che vediamo oggi, quando osserviamo sistemi planetari formati e molto diversi tra loro.

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Per la prima volta, è stato possibile colmare questo enorme divario temporale, e fare previsioni verificabili. Anche se lo studio apre le porte a nuove domande ancora senza risposta, oltre che sondare nuove soluzioni matematiche per comprendere la geometria architetturale e collegare teoria e osservazioni, un grande passo avanti è stato fatto.

Ora, studi futuri potrebbero utilizzare questa struttura di base identificata dagli scienziati non solo per direzionare la classificazione e lo studio dei singoli pianeti, ma anche l’architettura generale di interi sistemi planetari. E, chissà, magari per trovarne altri di simili al nostro.

Gli studi, pubblicati sulla rivista scientifica Astronomy & Astrophysics, sono reperibili qui e qui.

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