Alle ore 18:40 italiane, la capsula Orion della missione Artemis 1 è rientrata nell’Oceano Pacifico, al largo della California. Artemis 1 ha raggiunto con successo diversi importanti obiettivi, tra cui il funzionamento del razzo SLS, le manovre in orbita lunare e un nuovo metodo per il rientro in atmosfera terrestre. Quest’ultimo non era mai stato tentato con un mezzo per il trasporto umano, ma solo da missioni robotiche, come la cinese Chang’e-5.
Nel corso della prima storica missione del programma, la Orion ha visitato l’orbita lunare e superato il record di massima distanza dalla Terra per una capsula di trasporto umano in grado anche di ritornare sulla Terra. Il primato era precedentemente detenuto dalla celebre Apollo 13.
Tra gli obiettivi conseguiti con successo, oggi c’è la validazione di tutti i sistemi per il rientro, tra cui i paracadute, scudo termico e il sistema di supporto vitale per citare i principali. Tutti questi elementi sono di massima importanza per il trasporto di astronauti, e anche solo un malfunzionamento avrebbe potuto ritardare il programma della NASA per anni.
Il successo del rientro di Orion avviene dopo 8 anni dal primo volo di test orbitale, svoltosi però in orbita bassa terrestre, senza un modulo di servizio e con il lancio effettuato da un razzo Delta IV Heavy.
Cosa è successo durante il rientro?
La Orion ha iniziato il rientro in atmosfera con una velocità di circa 11 km/s, in un profilo di rientro noto come Lunar Skip Entry che consiste nell’entrare in atmosfera per poi “rimbalzare” nuovamente verso lo spazio, per poi scendere una seconda volta verso l’Oceano Pacifico. Tale manovra non è nuova, ma non era mai stata utilizzata con veicoli per il trasporto di equipaggio. Recentemente, è stata impiegata dalla missione cinese Chang’e 5, che nel 2020 ha riportato dei campioni di suolo lunare sulla Terra.
L’utilizzo della Skip Return Entry ha permesso di avere un migliore controllo sul punto di ammaraggio: si può mantenere fissa la zona di splashdown, e al tempo stesso mantenere grande flessibilità sul punto in cui la capsula inizia il suo rientro in atmosfera. Un ulteriore vantaggio di questa tecnica è che la decelerazione della capsula sarà divisa in due parti. Rispetto ad un rientro diretto, la capsula Orion ha subito delle decelerazioni meno violente, circa 4g contro i 6/7g che si potevano raggiungere in alcune fasi del rientro dell’Apollo.

L’ammaraggio e il recupero
Dopo la fase di rientro in atmosfera, la Orion ha testato con successo anche il sistema composto da 11 paracadute. I primi 3 sono stati rilasciati a circa 8 km di quota, quando la capsula viaggiava ancora a circa 500 km/h, per separare la copertura posteriore dal resto della capsula.
Pochi secondi dopo sono stati gonfiati altri 2 paracadute, che hanno il compito di stabilizzare e rallentare la capsula da 500 km/h a circa 210 km/h. Nelle fasi finali del rientro, a circa 3 km di quota, 3 paracadute pilota hanno permesso il dispiegamento dei 3 paracadute principali (i più grandi in diametro), che hanno decelerato ulteriormente la Orion fino ai circa 30 Km/h prima di posarsi sulla superficie dell’oceano.
La Orion è infine stata recuperata dalla nave della marina americana USS Portland, una mezzo di assalto anfibio di oltre 200 m in lunghezza.
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