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Nuove misure dello spazio interstellare confermano i dati della Voyager 2 del 2001

Stefano Piccin di Stefano Piccin
Novembre 1, 2020
in Agenzie Spaziali, Astronomia e astrofisica, Esplorazione spaziale, NASA, News, Scienza, Sistema solare
Hubble Ultra Deep Field (HUDF)

Questa foto è stata realizzata unendo scatti eseguiti dal 2002 al 2012 con Advanced Camera for Surveys e Wide Field Camera 3 del telescopio Hubble. Rappresenta una delle immagini più dettagliate del Hubble Ultra Deep Field (HUDF).

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Lo spazio interstellare è formalmente definito come la zona esterna all’eliopausa del Sole. L’Eliopausa ha sua volta rappresenta quella zona in cui il vento solare della nostra stella viene fermato dal mezzo interstellare. Per ora solamente due sonde costruite dall’uomo sono entrate nell’eliopausa, la Voyager 1 e la Voyager 2. Superata questa zona ci si ritrova nel vero spazio interstellare, in cui le particelle emesse da miliardi di stelle nella nostra galassia si mischiano, formando il vero spazio interstellare.

Spazio interstellare New Horizon
Animazione di come l’eliopausa protegge il sistema solare dal mezzo interstellare (In giallo).

Una nuova ricerca, pubblicata il 31 ottobre su Astrophysical Journal, ha fornito nuove misure sulla densità di questa zona dello spazio. In particolare si è osservata una quantità di idrogeno superiore al 40% rispetto alle misure precedenti. Una delle particolarità maggiori di questa nuova ricerca sta nel fatto che si basa su misure effettuate con la sonda New Horizon, che si trova ancora all’interno del sistema solare. Com’è stato possibile allora misurare l’idrogeno dello spazio interstellare stando ancora all’interno dello scudo dell’eliopausa?

Una misura indiretta

L’eliosfera del Sole, respinge la maggior parte delle particelle che provengono dall’esterno, ma non tutte. In particolare respinge le particelle cariche, lasciando penetrare quelle neutre, cioè tutti quegli atomo con ugual numero di protoni ed elettroni. Questi atomi penetrano l’eliosfera e vengono “raccolti” dal nostro sistema solare. Eric Christian, fisico spaziale presso il Goddard Space Flight Center della NASA, ha paragonato questa “raccolta” ad una corsa nella nebbia.

“È come se stessi correndo attraverso una nebbia pesante, raccogliendo acqua. Mentre corri, i vestiti diventano tutti inzuppati e ti rallentano.”

Una volta che queste particelle penetrano nel nostro sistema solare vengono però colpite dalle radiazioni del Sole. In questo modo alcune di queste perdono degli elettroni, diventando degli “pickup ions”. In questo modo possono essere rivelate con maggiore facilità, ed è proprio quello che ha fatto la sonda New Horizon. Facendolo in una zona remota del sistema solare, ha avuto occasione di incontrare questi ioni nella prima parte del loro percorso all’interno del Sistema Solare.  Questo ha ovviamente aumentato la precisione della misura.

Plutone e Caronte
Plutone e Caronte, i TNO più famosi, in collage di foto scattate dalla sonda New Horizon.

La misura di New Horizon

New Horizon è stata lanciata nel 2006, con l’obbiettivo primario di studiare Plutone, e il suo satellite principale, Caronte. Il flyby, avvenuto nel 2015, ci ha fornito le prime foto ravvicinate del sistema, insieme a tantissime informazioni scientifiche. La sonda ha poi eseguito un altro flyby, con un oggetto della fascia di Kuiper: Arrokoth. Ora si trova in viaggio verso l’esterno di questa fascia, con l’obbiettivo di diventare la terza sonda ad entrare nell’eliopausa.

La ricerca pubblicata ieri, è stata effettuata grazie alle misurazioni di uno strumento chiamato Solar Wind Around Pluto, o SWAP. Proprio come un corridore diventa più umido maggiore è la densità della nebbia, più ioni vengono catturati da SWAP, più dev’essere denso lo spazio interstellare all’esterno. La misura finale è stata di 0.127 atomi di idrogeno per centimetro cubo. Qui arriva allora la parte interessante della ricerca. Questa misura sembra aver confermato un’altra osservazione fatta nel 2001, ma smentisce misure più recenti.

Voyager
Schema della posizione approssimativa delle due sonde Voyager.

Smentite e conferme

Nel 2001, osservando quanto il vento solare era rallentato nella posizione in cui si trovava la sonda Voyager 2, si era dedotta una densità di 0.120 atomi per centimetro cubo. Una misura molto simile. Osservazioni più recenti, effettuate con la sonda Ulisse della NASA avevano trovato una misura di 0.085 atomi per centimetro cubo. Questa misura era stata effettuata ad una distanza dal Sole poco minore di quella di Giove. La quantità di 0.085 era però stata confermata da una analisi dei dati più precisa e da un confronto con altre misure di Voyager 2.

Ora New Horizon si trova però in una posizione definitivamente migliore di quella di Ulisse e le sue osservazioni sono soggette a milioni di km di filtraggio in meno. A tutto questo si aggiunge un importante conferma delle prime misure effettuate nel 2001, fatte con un metodo molto più semplice, ma in definitiva corretto.

Passare da 0.085 atomi per centimetro cubo a 0.12 può sembrare un miglioramento di poco conto ma in realtà non è così. La misura della densità dello spazio interstellare è infatti un valore che viene usato in moltissime altre ricerche e analisi. Per la prima volta abbiamo a disposizione un valore degli ioni interstellari misurato dai bordi del nostro sistema solare, e più New Horizon si allontanerà, più questo valore diventerà preciso.

La ricerca completa: Density of Neutral Hydrogen in the Sun’s Interstellar Neighborhood

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Tags: New HorizonPlutoneSpazio interstellareVoyager

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