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Tutto quello che dovete sapere sul Dream Chaser, lo Spazioplano d’America

Giuseppe Chiapparino di Giuseppe Chiapparino
Settembre 2, 2021
in Agenzie Spaziali, Approfondimento, Le guide di Astrospace, NASA, Space economy
Dream Chaser

Prototipo di un Dream Chaser nella sua versione adattata per il trasporto umano. Credits: Sierra Nevada Corporation

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Si avvicina a grandi passi la data del debutto dello “Spazioplano d’America”, l’erede spirituale dello Space Shuttle progettato da Sierra Nevada Corporation (SNC) per portare rifornimenti, e potenzialmente astronauti, in orbita bassa terrestre. Il Dream Chaser sarà un sistema di trasporto riutilizzabile caratterizzato da un’elevata flessibilità nel suo profilo di missione e da costi operativi ridotti.

Le tappe del progetto Dream Chaser

Annunciato nel settembre del 2004 dalla società SpaceDev, il progetto Dream Chaser venne rilevato insieme alla compagnia stessa da SNC nel 2008. A partire dal 2010 il Dream Chaser rientrò all’interno del programma Commercial Crew Developement (CCDev) della NASA. L’obbiettivo di tale programma era lo sviluppo, da parte di aziende private, di un mezzo in grado di portare un equipaggio in orbita bassa, ad esempio verso la ISS, a costi contenuti. SNC ricevette quindi ingenti finanziamenti durante le varie fasi del programma, 362.1 milioni di dollari in 5 anni, per continuare lo sviluppo del proprio spazioplano.

Tuttavia, a fine 2014, il Dream Chaser non venne selezionato per l’ultima fase del programma, non vedendosi riconosciuta la possibilità di trasportarein orbita un equipaggio umano (Commercial Crew Transportation Capability). In confronto ai suoi diretti concorrenti, i veicoli SpaceX Dragon 2 (SpaceX) e CST-100 Starliner (Boeing), il Dream Chaser fu giudicato come il progetto tecnicamente meno maturo dei tre.

Dream Chaser Vulcan
Render del Dream Chaser inserito nel fairing del vettore Vulcan. Credits: Sierra Nevada Corporation

SNC però, non rinunciò all’idea di far volare il suo spazioplano e nel 2016 fu selezionata dalla NASA per la seconda fase del Commercial Resupply Services (CRS-2): il Dream Chaser fu dunque riadattato in versione cargo per poter operare un minimo di sei missioni di rifornimento verso la ISS. La costruzione del primo Dream Chaser Cargo System, rinominato “Tenacity”, è dunque ufficialmente iniziata nell’ottobre 2019, con la consegna della struttura principale della navicella, realizzata dalla Lockheed Martin. Nei mesi successivi sono stati consegnati lo Shooting Star Cargo System (novembre 2019), le ali della navetta (aprile 2020) e il sistema di protezione termica (giugno 2020). La prima missione dimostrativa, denominata “SNC Demo-1”, è prevista per l’autunno 2021, quando la navetta verrà lanciata a bordo del nuovo razzo vettore sviluppato dalla compagnia United Launch Alliance, il Vulcan Centaur.

Lo spazioplano d’America

Il Dream Chaser è uno spazioplano, ovvero un veicolo in grado di manovrare tanto nel vuoto spaziale quanto in atmosfera. Sarà effettivamente il quarto spazioplano a volare in orbita, dopo lo Space Shuttle, il Buran e l’X-37 (o il quinto se si include anche il nuovo spazioplano cinese segreto). Per raggiungere l’orbita è necessario l’utilizzo di un razzo vettore: nel caso del Dream Chaser, la navetta sarà contenuta all’interno del fairing del razzo Vulcan Centaur. In modo da entrare nell’ogiva del razzo, le ali del Dream Chaser dovranno essere ripiegate.

Come nel caso dell’X-37, proteggere lo spazioplano con un fairing permette di mantenere una buona efficienza aerodinamica ed evita problemi di instabilità del razzo durante la fase di lancio. Una volta conclusa la missione in orbita, lo spazioplano dovrà affrontare la fase di rientro in atmosfera: particolare attenzione sarà dunque rivolta alla progettazione del sistema di protezione termica (TPS), che dovrà resistere alle condizioni estreme tipiche di questa fase. A differenza di quanto avviene per una capsula come la Crew Dragon 2, uno spazioplano genera una notevole quantità di portanza durante la fase di rientro (motivo per cui non si può parlare di rientro “balistico”).

La portanza permette al veicolo, una volta raggiunta la bassa atmosfera, di planare verso la pista di atterraggio. Mentre le appendici aerodinamiche garantiscono la manovrabilità del velivolo, la maggior parte della portanza è prodotta del corpo della navetta anzichè dalle ali. Il Dream Chaser appartiene infatti alla classe dei velivoli “lifting body”, nata negli anni 60 con il primo prototipo M2-F1 della NASA, soprannominato “vasca da bagno volante”.

Utilizzare il corpo del velivolo per generare portanza permette di minimizzare l’attrito e la superficie esposta ai flussi ad alta temperatura durante la fase di rientro. Dall’altro lato, la ridotta estensione delle superfici aerodinamiche di controllo può portare a limitazioni nell’inviluppo di volo del veicolo, ovvero una limitazione sul tipo di manovre che si possono effettuare durante la planata in atmosfera.

Un SUV per lo spazio

Il Dream Chaser deriva direttamente dal progetto HL-20 Personnel Launch System, concept di spazioplano studiato dalla NASA intorno al 1990. Lungo 9 metri, alto 2 e largo 5 nella configurazione con ali ripiegate per la fase di lancio, questo “SUV per lo spazio” potrà portare in orbita fino a 5500 kg di materiale, sia pressurizzato che non, secondo quanto riferito da SNC. La capacità di carico del Dream Chaser sarà dunque leggermente inferiore rispetto a quella della capsula Dragon 2 di SpaceX (che può trasportare fino a 6000 kg in orbita).

Dream Chaser payload
Il modulo Shoting Star (a forma di tronco di cono) aumenta la capacità di carico del Dream Chaser. Inoltre fornisce energia elettrica tramite pannlli solari e capacità di manovra grazie ad una serie di thrusters. Credits: SNC

Circa 1000 kg di payload saranno stivati nella struttura principale, che potrà essere usata anche per riportare del materiale a terra. I restanti 4500 kg di materiale saranno stoccati nel modulo Shooting Star. In orbita, tale modulo fornirà anche energia e manovrabilità alla navetta grazie ai pannelli solari e ai thrusters di cui è dotato. A fine missione, invece, verrà trasformato in una stella cadente e lasciato bruciare in atmosfera. In questo modo potrà anche essere utilizzato per lo smaltimento di eventuali rifiuti prodotti dalla Stazione Spaziale Internazionale. Al contrario, la fase di rientro atmosferico della navetta principale sarà particolarmente dolce, con decelerazioni inferiori ad 1.5g, in modo da poter riportare a terra materiale delicato, come esperimenti scientifici, o eventualmente astronauti feriti. Così come per l’atterraggio, la fase di rientro avverrà tramite pilota automatico.

La pista di atterraggio designata per le 6 missioni in programma è lo Shuttle Landing Facility del Johnson Space Center in Florida. Ad ogni modo, SNC ha affermato che il Dream Chaser può atterrare su ogni pista in grado di ricevere un Boeing 737, a dimostrazione della grande flessibilità del loro prodotto.

Shuttle Landing Facility
Il NASA Shuttle Landing Facility del Kennedy Space Center. Credits: NASA

Nuovi materiali e tecniche per ridurre il peso e aumentare l’efficienza

Il Dream Chaser fa uso delle più moderne tecnologie per ottimizzare il peso e ridurre i  costi di realizzazione, senza compromettere la resistenza strutturale e l’affidabilità della navetta. La struttura principale (la parte della carlinga pressurizzata) è realizzata in materiale composito (Carbon Fiber Reinforced Polymer, o CFRP) ed è la più grande e complessa finora costruita del suo genere in campo aerospaziale. L’uso di questo materiale al posto delle tradizionali leghe di alluminio e titanio porta vantaggi in termini di peso (la carlinga pesa solo 1000 kg) e di costi di produzione, considerando che si tratta di un pezzo con superfici aerodinamiche complesse.

Inoltre, i compositi richiedono una minore protezione termica rispetto ad una struttura in alluminio. Le mattonelle che compongono il TPS sono più grandi, resistenti e leggere rispetto a quelle dello Space Shuttle. Il ridotto numero di mattonelle usate consente inoltre di soddisfare i requisiti per la protezione della navetta da impatti con micro meteoriti e detriti spaziali (MMOD). Anche il sistema propulsivo del Dream Chaser, da usare per la propulsione durante la fase finale di ascesa verso l’orbita o per emergenze in fase di lancio, presenta delle particolarità. La navetta si servirà di un gruppo di endoreattori Vortex, prodotti dalla sussidiaria Orbitec.

Questi motori saranno usati come “upper stage engines”, ovvero, una volta che la navetta verrà rilasciata dal lanciatore,  spingeranno il Dream Chaser attraverso gli strati più esterni dell’atmosfera fino all’inserimento in orbita. I propulsori bruceranno propano ed ossido di diazoto (gas esilarante) e sfrutteranno la tecnologia detta “regenerative cooling” tramite un doppio vortice coassiale all’interno della camera di combustione. In un reattore spaziale, infatti, la reazione tra propellente e ossidante genera una grande quantità di calore. Questo calore risulta spesso eccessivo per la struttura del motore stesso, che rischierebbe di resistere solo pochi secondi prima di collassare. Dunque è necessario utilizzare un qualche sistema di raffreddamento ed una possibilità è l’utilizzo dell’ossidante stesso come fluido refrigerante. Questa tecnica porta anche il vantaggio di pre-riscaldare l’ossidante e migliorare l’efficienza della combustione con il propellente.

Endoreattore Vortex
Rappresentazione artistica della sezione del concept alla base del motore Vortex. L’ossidante (qui indicato con LOX, ma il Dream Chaser userà ossido di diazoto) è usato come fluido di raffreddamento direttamente nella camera di combustione. Credits: Orbitec

Come si vede dalla figura, nei motori Vortex l’ossidante è iniettato dalla base della camera (freccia viola) in modo da creare un vortice ascensionale freddo che riveste le pareti interne del motore. Raggiunta l’estremità superiore, l’ossidante ricade verso il basso in un secondo vortice al centro della camera. In questo secondo vortice viene iniettato il propellente: la fase di combustione risulta dunque confinata nel vortice interno (freccia rossa), che viene poi fatto espandere nell’ugello.

Il moto vorticoso consente di avere una miscela ottimale di propellente e ossidante, garantendo una combustione regolare e stabile. Questa architettura permette dunque di costruire un motore semplice, leggero e affidabile, facile da gestire e dai notevoli vantaggi economici.

Verso il primo volo e oltre

La missione inaugurale del Dream Chaser (SNC Demo-1) è prevista per la fine del 2021. La partenza sarà dallo Space Launch Complex 41 di Cape Canaveral a bordo di un Vulcan Centaur. In caso di esito positivo, il Dream Chaser verrà usato come cargo verso la ISS per almeno altre sei missioni per conto della NASA, come stabilito dal contratto CRS-2. SNC è già pronta, però, ad espandere il proprio campo d’azione. Con il suo Dream Chaser Global Project l’azienda americana punta infatti a proporre la propria navetta come l’accesso allo spazio per qualunque nazione lo desideri.

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Tags: Dream ChaserSierra Nevada Corporation

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