Alle 05:05 del 31 agosto è partito correttamente dallo spazioporto in Nuova Zelanda il vettore Electron di Rocket Lab. Al suo interno era presente un satellite, chiamato Sequoia, dell’azienda Capella Space. La particolarità di questo satellite risiede nella tecnologia Synthetic Aperture Radar (SAR), grazie alla quale Sequoia sarà in grado di fotografare la Terra attraverso osservazioni radar. Questo gli permette di effettuare immagini in qualsiasi condizione meteo, sia di giorno che di notte. Sequoia inoltre si è posizionato su un’orbita particolare, adatta al suo scopo. E qui inizia la nostra storia.
Inizialmente il lancio era previsto per il 29 agosto, rimandato poi per cause di meteo avverso. Qualche giorno prima di quella data, Damiano Faro, studente di ingegneria industriale e autore di Astrospace.it ha scritto un articolo per spiegare questa missione di Rocket Lab.
Durante la stesura dell’articolo, Damiano ha raccolto molto materiale per acquisire tutte le informazioni necessarie. C’è stato il comunicato stampa di Capella Space e quello di Rocket Lab, insieme ai molti tweet di Peter Beck (founder di Rocket Lab) e degli account ufficiali delle due aziende. Per ultimo, ma non per importanza, è stato ovviamente recuperato il Press Kit del lancio.
Il Press Kit è un file che ogni azienda aerospaziale realizza per la stampa e per il pubblico prima del lancio di un loro vettore. Al suo interno sono contenute alcune info basilari, ma molto dettagliate, sul carico, sulle caratteristiche del razzo, sulle fasi principali della missione e sull’orbita di destinazione.

Come dicevamo all’inizio, proprio l’orbita di destinazione era una caratteristica fondamentale del satellite. Secondo i comunicati stampa di Cappella Space e di Rocket Lab, questo microsatellite si sarebbe posizionato in un’orbita alta circa 550 km e con un’inclinazione di 45° rispetto al piano equatoriale. In questo modo il satellite avrebbe sorvolato zone del Sud-Est asiatico insieme a quelle del Medio Oriente e degli Stati Uniti. L’obiettivo di questo primo satellite è infatti dimostrare immediatamente ad un mercato molto ampio la capacità di questa tecnologia, ma in futuro ce ne saranno altri per una copertura globale.
È a questo punto che è sorto un grande dubbio e che si è scatenata una discussione che ha convolto 4 dei nostri autori. Una volta già completato l’articolo e in fase di pre-pubblicazione, ci siamo accorti che nel press Kit di Rocket Lab, nella parte dedicata all’orbita di destinazione era presente un’indicazione: SSO. Questa sigla sta ad indicare una Sun-synchronous orbit, cioè un’orbita in cui il satellite sorvola una certa parte del globo sempre alla stessa ora del giorno. Queste orbite sono particolarmente usate per l’osservazione della terra in quanto permettono di rilevare cambiamenti sulla superficie eliminando la variabile dell’illuminazione solare.

Credits: Rocket lab.
Il problema che ha scatenato l’aver visto questa sigla è che le orbite SSO sono permesse solamente con inclinazioni sul piano equatoriale piuttosto elevate. I gradi di inclinazione variano con l’altitudine e per 550 km variano da 82.3° a 97.7°. Un range che non comprende nemmeno lontanamente i 45° annunciati da Cappella Space e Rocket Lab nei comunicati stampa. Com’era possibile? Qual era l’orbita reale di questo satellite?
A questo punto la discussione era particolarmente interessante. Andrea Novelli, ingegnere aerospaziale specializzato in meccanica orbitale e autore di Astrospace.it si era accorto per primo dell’incongruenza fra queste due informazioni. O l’orbita era a 45° o era SSO. Non era possibile fosse entrambe.
Secondo Nicolò Bagno, studente di Fisica e specializzato nel settore aerospaziale orientale, era sbagliata la dicitura a 45°. In un articolo pubblicato a marzo da Spacenews.com veniva espressamente citato come alcuni satelliti di Cappella Space andranno in orbita polare SSO, altri a 45°. In questo articolo il satellite Sequoia era indicato su un’orbita polare. Il problema però era che questo articolo risaliva a circa 5 mesi prima, un periodo nel quale il satellite Sequoia era previsto per maggio a bordo di un Falcon 9, proprio a fianco del satellite SAOCOM 1B che è partito poche ore prima di Rocket Lab. Indovinate un po’? Il satellite SAOCOM era diretto verso un’orbita polare, se Sequoia lo avesse dovuto accompagnare era ovvio che anche lui sarebbe andato in un’orbita polare SSO.
Dato l’errore nelle due informazioni, una sul lancio e una sul vettore, era possibile che avessero cambiato anche la destinazione del satellite Sequoia? Ragionando sulla congruenza di tutte le informazioni e dopo alcune discussioni, arrivammo proprio a questa conclusione. Sapevamo che tutti i comunicati stampa affermavano che l’orbita di destinazione sarebbe stata a 45°. Conoscendo i paramentri del vettore Electron sapevamo che era difficile che avrebbe raggiunto un’orbita polare SSO a 550Km di altitudine.
La decisione era presa: probabilmente Rocket Lab aveva sbagliato a riportare la dicitura SSO nel Press Kit.
Giusto per tagliare la testa al toro decidemmo però di scrivere un’e-mail all’ufficio stampa di Rocket Lab e Cappella Space. Se fossimo stati fortunati ci avrebbero risposto, spiegandoci nel dettaglio com’era possibile arrivare su un’orbita SSO inclinata a 45°, o in alternativa dipanandoci il dubbio confermandoci che si trattava di una semplice svista. Purtroppo, non è avvenuta nessuna delle due cose. Ne Cappella Space ne Rocket Lab hanno risposto alle nostre e-mail.
Tutta questa discussione è avvenuta il 26 agosto e per puro caso, il giorno 30 abbiamo avuto occasione di rileggere il Press Kit pubblicato da Rocket Lab. All’interno della sezione dedicata alle orbite era scomparsa la dicitura SSO.

La soluzione all’enigma era quindi una semplice svista di Rocket Lab che probabilmente si è accorta dell’errore e lo ha modificato. Ci piace però pensare che qualcuno negli uffici di Rocket Lab in California, nei giorni concitati precedenti al lancio, abbia avuto modo magari quasi per caso, di leggere la nostra e-mail. Colto in un attimo di pausa abbia poi avuto la pazza idea di controllare se questi ragazzi italiani di Astrospace.it avevano effettivamente ragione.
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