Il 23 giugno, alle 23:25 italiane, dalla base dell’Air Force USA di Vandenberg, in California, è partito un Falcon 9 per la diciassettesima missione del programma Rideshare di SpaceX. A bordo del vettore si trovavano circa 70 satelliti, realizzati da diversi enti. Tra questi c’erano i primi sette satelliti operativi, sviluppati da Argotec per la costellazione IRIDE. Inoltre, erano presenti anche due ION Satellite Carrier dell’azienda italiana D-Orbit, che ha iniziato così due diverse missioni contemporaneamente: Space Bound e Skytrail.
ION è un veicolo di trasferimento orbitale (OTV) che consente di rilasciare piccoli satelliti su orbite ben precise. Inoltre, è in grado di ospitare vari carichi, offrendo anche servizi di edge computing e cloud storage in orbita.
Oltre agli ION, con la missione Transporter-14 di SpaceX, D-Orbit ha gestito anche il rilascio di quattro satelliti dell’azienda Plan-S Satellite and Space Technologies, impegnata nella realizzazione di una costellazione per l’Internet of Things (IoT). Ora l’azienda dispone di 12 satelliti in orbita.
Il secondo stadio del Falcon 9 ha rilasciato i due ION a 510 e 590 km di altitudine, dando così inizio alla loro missione. Il rilascio dei satelliti avverrà in una fase successiva, nei prossimi giorni. Con quest’ultima missione, dal 2020 D-Orbit ha trasportato in orbita oltre 190 carichi.
Computer quantistici, AI e propulsioni alternative
A bordo dei due ION si trovano satelliti molto diversi tra loro, sia per funzionalità che per tecnologia. Tra i più innovativi spicca ROQuET, il primo computer quantistico fotonico miniaturizzato progettato per operare nello spazio. Il Reconfigurable lower Orbit Quantum Computer for Earth observation Technology rappresenta un salto tecnologico significativo nell’integrazione tra quantum computing e applicazioni spaziali. Il sistema da 3U, sviluppato su chip dal CNR-IFN italiano, utilizza tecnologia fotonica per garantire stabilità operativa nelle condizioni estreme dello spazio, eliminando la necessità di manutenzione.
La collaborazione internazionale coinvolge l’Università di Vienna, il CNR di Milano e il DLR tedesco. Il computer è abbinato a una camera DLR che consente di testare applicazioni innovative nell’osservazione terrestre, aprendo scenari inediti per l’elaborazione in tempo reale di dati satellitari.
Altri satelliti e contributi italiani
Anche per il satellite AIX-1 è presente una partecipazione italiana, non solo tramite D-Orbit, ma anche con Planetek e AIKO. Il progetto è co-finanziato dall’ESA Φ-lab tramite il programma InCubed. AIX-1 introduce tecnologie avanzate nello spazio, tra cui Intelligenza Artificiale e Blockchain, per migliorare la reattività dei satelliti e ridurre la latenza dei dati.
Il propulsore ad acqua PBI (Water Ion Thruster), sviluppato dall’azienda giapponese Pale Blue, sfrutta l’effetto Hall e utilizza l’acqua come propellente, rendendo l’esplorazione spaziale più sostenibile. PBI sarà installato su piccoli satelliti, consentendo manovre orbitali come l’evitamento di collisioni o il rientro atmosferico.
A bordo dello stesso ION, denominato Charismatic Carlus, si trova anche il propulsore Rogue, sviluppato dall’azienda inglese Magdrive. Questo motore è in grado di trasformare un metallo in plasma per generare la spinta. Secondo l’azienda, il processo produce forze superiori rispetto ai tradizionali motori elettrici. Rogue può generare fino a 10 mN di forza ed è compatibile con satelliti di piccole dimensioni.
La missione Transporter-14 è stata particolarmente importante per l’Italia perché, oltre ai numerosi satelliti italiani, per ben 20 su 70 satelliti che erano presenti a bordo del Falcon 9, le telecomunicazioni una volta nello spazio sono state gestite dall’azienda italiana Leaf Space.