Nel 2022 è stato inaugurato il Daniel K. Inouye Solar Telescope (DKIST), il telescopio solare più potente sulla Terra. Di recente, i dati ottenuti con le sue fotocamere hanno permesso agli astronomi dell’Astrofisica Research Center (ARC) della Queen’s University di Belfast un importante passo avanti verso la comprensione di uno dei misteri del nostro Sole: perché lo strato più esterno del Sole, la corona, è centinaia di volte più caldo della superficie, la fotosfera.
Lo studio presenta le prime osservazioni spettropolarimetriche del Sole utilizzando il Visible SpectroPolarimeter del DKIST, con un’alta risoluzione spaziale. Si tratta di misurazioni della luce solare che tengono conto non solo delle sue caratteristiche spettrali (come colore e frequenza), ma anche della polarizzazione della luce, ossia dell’orientamento delle onde luminose. Queste osservazioni hanno fornito le informazioni più dettagliate ottenute finora sul campo magnetico e altre proprietà dell’atmosfera solare, e stanno aiutando gli scienziati a comprendere meglio il comportamento e l’attività del Sole.
I granuli solari osservati con DKIST
DKIST, inaugurato nel 2022, è il telescopio ottico solare più potente sulla Terra. Consente osservazioni da record del nostro Sole, con un potere risolutivo equivalente a vedere una moneta da 50 centesimi a Manchester da Londra. I ricercatori della Queen’s University hanno sfruttato questa struttura e la sua strumentazione per rivelare gli orientamenti del campo magnetico più complessi mai visti su scala così piccola. Questo ha permesso di scoprire un nuovo, complesso modello di energia nel campo magnetico solare.
In passato, molte ricerche sulle variazioni di calore tra corona e fotosfera si erano concentrate sulle macchie solari, regioni fredde della fotosfera, altamente magnetiche e attive, che possono fungere da condotti per l’energia tra gli strati esterni del Sole. Il team della Queen’s University invece ha rivolto l’attenzione allo studio dei campi magnetici su scala molto più piccola. Lontano dalle macchie solari, il cosiddetto quiet Sun, letteralmente “Sole tranquillo”, è ricoperto da cellule convettive note come granuli, che ospitano campi magnetici molto più deboli ma più dinamici. Essi potrebbero aiutare a trovare una risposta allo squilibrio energetico tra corona e fotosfera.
La maggior parte dei rapporti osservativi degli ultimi dieci anni hanno scoperto che i campi magnetici sono organizzati in termini di piccoli anelli, nella zona del Sole tranquillo. Con DKIST, i ricercatori della Queen sono già riusciti a localizzare quasi 50 di queste strutture in una singola osservazione.
Un nuovo modello di energia del campo magnetico del Sole
Tuttavia, hanno anche rilevato qualcosa di inaspettato. Hanno trovato la prima prova di uno schema più complicato, coerente con una variazione a forma di “serpente” nell’orientamento magnetico. L’autore principale Ryan Campbell, ricercatore alla Queen’s University, ha dichiarato:
La domanda chiave a cui rispondere ora è quanto siano comuni le configurazioni serpentine del campo magnetico nel Sole tranquillo. E fino a che punto possono permeare gli strati più alti, in modo da poter valutare il loro contributo al riscaldamento cromosferico. Per fare questo, abbiamo bisogno di più osservazioni.
In pratica, secondo l’analisi dei dati di DKIST, il campo magnetico sulla superficie del Sole ha una struttura a serpentina, su piccola scala. Questo significa che cambia direzione più volte in uno spazio relativamente piccolo (circa 400 km). I ricercatori hanno anche notato che ci sono inversioni nella polarità del campo magnetico, ovvero esso cambia da positivo a negativo e viceversa, almeno tre volte in questa piccola area.
Le misurazioni di questi deboli campi magnetici alla risoluzione spaziale fornita da DKIST saranno cruciali anche per conciliare i diversi risultati sulla quantità totale di flusso magnetico del Sole. Essendo l’unica stella la cui superficie può essere risolta spazialmente in dettaglio grazie alla sua vicinanza, funge da punto di riferimento del grado di attività magnetica nelle stelle simili al Sole, che non hanno un ciclo di attività abbastanza pronunciato.
Lo studio, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, è reperibile qui.