Un recente studio condotto da un team dell’Università di Colonia e della Technical University della Danimarca, basato sui dati dei satelliti Swarm dell’ESA, ha rivelato che le deboli firme magnetiche generate dalle maree terrestri possono fornire informazioni preziose sulla distribuzione del magma sotto il fondale oceanico.
La missione Swarm, composta da una costellazione di tre satelliti lanciati nel 2013, è la quarta missione del programma Earth Explorer dell’ESA dopo GOCE, SMOS e CryoSat, ed è progettata per studiare con precisione il campo geomagnetico terrestre. Sebbene inizialmente prevista per una durata di quattro anni, la missione è ora nel suo dodicesimo anno di operatività, dimostrando come le missioni prolungate possano affrontare quesiti scientifici non previsti originariamente.
Questa scoperta, in particolar modo, potrebbe offrire nuove prospettive sui trend a lungo termine delle temperature e della salinità degli oceani.
Le maree oceaniche come fonte di segnali magnetici
Nonostante gli oceani non siano comunemente associati al magnetismo, l’acqua salata del mare è un conduttore elettrico moderato. Quando le maree si muovono attraverso il campo magnetico terrestre, generano deboli correnti elettriche che, a loro volta, inducono piccoli segnali magnetici, dei campi magnetici secondari che fanno parte del complesso segnale del campo magnetico del pianeta che può essere rilevato dallo spazio.
I satelliti Swarm, orbitando a un’altitudine compresa tra 462 km e 511 km, sono in grado di misurare questi segnali con una precisione senza precedenti, distinguendoli da altre fonti magnetiche più intense provenienti dall’interno della Terra come quelli del nucleo, della ionosfera, della magnetosfera e della crosta magnetizzata.

Questa capacità permette di ottenere dati sulle proprietà dell’intera colonna d’acqua degli oceani, offrendo una visione dettagliata delle dinamiche oceaniche e della loro interazione con il campo magnetico terrestre.
L’analisi delle firme magnetiche delle maree non solo migliora la comprensione della distribuzione del magma sotto il fondale oceanico, ma potrebbe anche supportare una migliore previsione di eventi vulcanici sottomarini, come l’eruzione del vulcano Hunga-Tonga nel 2022.
Inoltre, questi segnali possono fornire indicazioni sulle variazioni a lungo termine delle temperature e della salinità degli oceani, elementi cruciali per monitorare i cambiamenti climatici globali. È interessante notare che la capacità di Swarm di rilevare questi deboli segnali è stata favorita da un periodo di minima attività solare intorno al 2017, durante il quale vi era meno “rumore” dovuto al meteo spaziale.
L’operatività di Swarm
Swarm si sta lentamente avvicinando alla fine della sua vita operativa, mentre la resistenza dell’atmosfera terrestre sta gradualmente abbassando l’orbita dei satelliti. Anche se ciò, al tempo stesso, ha permesso e sta permettendo agli strumenti della missione di catturare segnali deboli che sarebbero più difficili da rilevare dalle orbite più alte all’inizio della missione.
Con l’arrivo del prossimo minimo solare dopo il 2030, un periodo durante il quale il Sole sarà meno attivo e quindi saranno meno frequenti e intensi gli eventi di “meteo spaziale” come le aurore polari, i segnali geomagnetici della Terra saranno più facilmente rilevabili dai magnetometri di Swarm e da altri strumenti.
La speranza dell’ESA è quindi che la missione Swarm possa continuare a operare, sebbene a un’altitudine inferiore, per proseguire nel rilevamento di segnali che approfondiscano la nostra comprensione degli oceani e del sistema climatico terrestre.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Philosophical Transactions of the Royal Society A, è reperibile qui.