L’osservazione del cielo da terra è sempre stata caratterizzata da un enorme limite: l’atmosfera. Il nostro pianeta è circondato, di fatto, da una sorta di grande lente in perenne movimento. Pur essendo fondamentale per la vita, l’atmosfera è un grande ostacolo per le osservazioni astronomiche. Infatti, distorce la radiazione che riceviamo dalle sorgenti celesti, facendo sì che queste risultino deformate e sfocate (i cosiddetti effetti di blurring).
Grazie ai sistemi di ottiche adattive, negli ultimi 30 anni si è riusciti a risolvere parzialmente questo problema, ottenendo una qualità di immagini, per i più grandi telescopi, paragonabile a quella che è possibile avere dallo spazio.
Tuttavia anche le ottiche adattive non possono risolvere da sole tutti i problemi. In particolare, nell’osservazione di oggetti molto deboli e distanti. Per questo, negli anni, si sono sviluppati diversi metodi atti a rimuovere l’effetto di sfocamento causato dall’atmosfera, con risultati più o meno confortanti.
Un recente studio, frutto di una collaborazione tra la Northwestern University e la Tsinghua University di Pechino però, potrebbe aprire una nuova prospettiva su questo annoso problema. E come accade sempre più di frequente, questo si basa sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
Ripulire le immagini
Il gruppo di ricercatori ha implementato un algoritmo di deep learning, basato su convolutional neural network per ripulire immagini astronomiche dagli effetti di blurring. Le convolutional neural network sono delle reti neurali in grado di lavorare direttamente su immagini quali dati in input, identificandone automaticamente caratteristiche e pattern rilevanti.

modello di deep learning utilizzato per rimuovere gli effetti di
blurring dalle immagini simulate. Credits: Tianao, Alexander 2023
Nel caso specifico, il modello utilizzato rielabora le immagini e le ricostruisce nella loro forma “ripulita”, ovvero come apparirebbero senza il filtro dell’atmosfera. L’aspetto interessante è che lo studio si basa su dati simulati del Vera Rubin Observatory, telescopio a grande campo attualmente in costruzione in Cile, che dovrebbe vedere la prima luce nel 2024.
Nel caso del Vera Rubin, sarà fondamentale ottenere immagini quanto più pulite possibile, in quanto gli effetti di blurring influenzano particolarmente la capacità di compiere misurazioni di effetti gravitazionali e di lensing.
In questo senso, è chiara anche la scelta di utilizzare immagini simulate di uno strumento specifico. Un modello simile non può infatti funzionare indistintamente per qualunque telescopio o in qualunque località. Il comportamento dell’atmosfera è troppo diverso da luogo a luogo e ogni telescopio fa storia a sé.
Perciò è necessario tarare opportunamente il modello, a seconda dello strumento sul quale si desidera applicarlo e delle condizioni locali in cui questo si trovi ad operare. Va da sé che lo studio si prefigge, dunque, di “preparare la strada” per il Vera Rubin Observatory.
Problema risolto?
I risultati sembrano essere confortanti. Il gruppo di ricerca ha notato un miglioramento in quello che gli astronomi definiscono rapporto segnale-rumore (Sign to Noise Ratio, SNR). Si tratta di un indicatore della qualità di un’osservazione astronomica, dato dal rapporto tra l’ampiezza del segnale e il rumore ad esso associato, che può essere di natura fisica o strumentale. Varia tra il 38.6% e il 7.4%, rispetto ad altre tecniche di deblurring.
D’altra parte questa strategia non è esente da rischi. È evidente che la scelta di basarsi su immagini simulate comporti una forte dipendenza dal modello utilizzato per la simulazione stessa. In altre parole, se i dati non sono sufficientemente accurati, le previsioni risulteranno ovviamente falsate.

diversi modelli per la rimozione del blurring. Le due colonne più a
destra fanno riferimento al modello proposto nell’articolo citato.
L’immagine più grande sulla sinistra è la figura “pulita” di riferimento. Credits: Tianao, Alexander 2023
Del resto, la stessa ricostruzione dei dati effettuata con il deep learning rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio: questi modelli infatti rimuovono il rumore ricostruendo determinate aree dell’immagine, ma esiste il rischio che la ricostruzione introduca dei pattern inesistenti, soprattutto in assenza di una base di conoscenza solida per la fase di addestramento.
Come sempre, occorre estrema attenzione nell’interpretazione dei risultati ottenuti con il machine learning. Ad ogni modo, la ricerca in questo ambito è fondamentale, in quanto propone una soluzione a un problema caratterizzato da limiti fisici e strumentali altrimenti invalicabili.
Da segnalare infine il fatto che gli autori dello studio hanno reso il codice completamente open-source (si trova qui). Chiunque quindi può utilizzarlo o contribuire al suo sviluppo.
Lo studio, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è reperibile qui.