Recentemente si è discusso molto del problema ambientale dovuto al grado d’inquinamento dei lanci spaziali. In questo approfondimento cerchiamo di capire meglio qual è il contributo dei razzi nell’inquinare la nostra atmosfera e di che tipo e forma è questo contributo. Questo articolo è stato scritto da Elia Altieri, Mattia Simeoni e Stefano Piccin. Di seguito, l’indice di questa Guida completa all’inquinamento dei lanci spaziali:
In questo articolo ci riferiremo a lanci spaziali nel senso più ampio del termine, considerando quindi anche i lanci suborbitali. Essi, per gli effetti inquinanti sull’atmosfera non si differenziano molto dai lanci orbitali. Analizzeremo i vari gradi d’inquinamento atmosferico in base al tipo di propellente utilizzato, che al momento è la variabile più importante.
Introduzione
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Una delle prime considerazioni da fare è che la letteratura scientifica in questo campo è molto limitata. Lo è per almeno due motivi. Il primo è la difficoltà di reperire dati da analizzare, il secondo è la mancata necessità di avere questi dati. Fino a pochi anni fa il contributo stimato dei razzi all’inquinamento atmosferico era talmente trascurabile da non necessitare analisi troppo impegnative. Lo era allo stesso tempo la sensibilità comune per questi effetti. Una stima affidabile, che possiamo prendere come esempio, è stata fatta per gli effetti sul buco dell’ozono. Secondo questa stima le emissioni dei lanci spaziali contribuirebbero per meno dello 0.1% fra tutti i contributi antropocentrici [1].
Questi due aspetti stanno però cambiando velocemente. Il problema dell’inquinamento ambientale e del riscaldamento globale è in continua crescita, come lo è giustamente la sua importanza per tutti. Stanno inoltre crescendo ad un ritmo importante anche il numero di lanci spaziali. Nel 2022 il contributo è ancora trascurabile rispetto ad altre cause, ma inizia ad essere una necessità almeno comprenderlo più nel dettaglio.
Come vediamo dal grafico seguente, per la prima volta nel 2021 è stato battuto il record del 1967 di lanci spaziali in un anno: 146. Nel 2022 questo record potrebbe essere battuto nuovamente e, con questo trend, ogni anno è possibile che questo numero venga rivisto al rialzo.
Dove inquinano i razzi?
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Un razzo emette i suoi gas di scarico per centinaia di km, durante tutta l’altezza dell’atmosfera (considerando la divisione formale atmosfera-spazio a 100 km). Questo rende molto difficile capire e quantificare il contributo degli inquinanti a diverse quote. La nostra atmosfera non è infatti tutta uguale, ma nella sua altezza cambia molti dei suoi parametri, come densità, temperatura e composizione. Per questo motivo è difficile comprendere con precisione quanto e come i razzi inquinano.
Ottenere dati nella parte alta dell’atmosfera ad esempio, è particolarmente difficile. Fra 15 e 50 km, si trova la stratosfera, il secondo dei cinque strati in cui dividiamo l’atmosfera. Troppo in basso per essere studiata dai mezzi spaziali e troppo in alto per mezzi aerei. In questa zona però, si trova il pericolo maggiore per gli inquinanti emessi dai razzi.
Nella troposfera, la parte più bassa, i razzi emettono di più, essendo la prima parte della loro ascesa, ma molto spesso i gas di scarico vengono raccolti dalle piogge nel giro di pochi giorni. All’interno della stratosfera invece, le particelle inquinanti possono rimanere per molto più tempo, mischiandosi sopra tutta la superficie terrestre. Sempre nella stratosfera è inoltre presente il buco nello strato di ozono atmosferico.
Un’altra differenza importante è che per tutti i fenomeni inquinanti, nella troposfera esistono normative locali, variabili a seconda della posizione di partenza del razzo. Queste normative affrontano l’impatto ambientale a tutto tondo: vi si possono trovare riferimenti persino alle variazioni di ph marino (e relative conseguenze per i pesci) o alla presenza di siti archeologici nelle vicinanze, così come alla rumorosità, uno degli aspetti più approfonditi.
Proprio il rumore correlato al lancio, da quello di spinta ai boom sonici, è oggetto già da molti anni – così come avviene per gli aerei – di una accuratissima caratterizzazione in termini d’intensità e durata, al fine di presentare i risultati alle autorità competenti e discutere eventuali impatti su attività o strutture umane nelle vicinanze. Anche in questi documenti, quello atmosferico rimane, ovviamente, l’ambito più delicato. Tuttavia, queste normative possono essere più o meno stringenti, ma spesso ininfluenti su quello che avviene nella stratosfera e negli strati più alti.
Perché inquinano i razzi?
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I contributi inquinanti dei razzi si possono dividere in base al loro effetto sull’atmosfera. Diversi tipi di razzo e di propellente avranno ovviamente impatto diverso, che sarà analizzato poco più avanti. Il primo e più importante contributo è quello all’effetto serra. Emettendo particelle inquinanti, la maggior parte dei razzi contribuisce a questo fenomeno. Attualmente, come vedremo nei prossimi paragrafi, i residui diretti di combustione dei razzi più diffusi, hanno un effetto marginale sul fenomeno: per dare un’idea, il processo di produzione e quello di trasporto del razzo stesso hanno un impatto maggiore, stimabile anche in un ordine di grandezza in più, rispetto al lancio in sè.
Questo si può notare dal grafico seguente, dove è evidente che il contributo del lancio agisce principalmente sul buco dell’Ozono, mentre nell’impatto globale è per ora minoritario. [2] Tuttavia, saranno oggetto di particolare attenzione nei prossimi anni le conseguenze dei razzi alimentati a metano sull’effetto serra. Essi producono infatti principalmente CO2, una delle molecole più importanti proprio per generare e amplificare l’effetto serra.
Il secondo contributo è quello al buco dell’Ozono, citato poco fa. Lo strato di Ozono atmosferico aiuta l’atmosfera a filtrare la radiazione ultravioletta del Sole, dannosa per la vita sulla Terra. Dagli anni ’80 lo studio dell’assottigliamento dello strato di Ozono è oggetto di ricerca e imputato quasi completamente alle attività umane. Esso è dovuto alle reazioni dell’Ozono con elementi quali Bromo e Cloro.
Quando un razzo emette del particolato o molecole legate al Carbonio (principalmente i razzi alimentati a Kerosene) o delle particelle di Allumina (per i razzi alimentati con propellenti solidi) si creano degli strati nella stratosfera che schermano la superficie terrestre dalle radiazioni solari, raffreddandola. Questo fenomeno è chiamato Radiative Forcing. Allo stesso tempo però, riscaldano la stratosfera, accelerano le reazioni che danneggiano il buco dell’ozono.
È stato stimato[2] che il contributo dei propellenti per razzi a questo fenomeno sia imputabile per il 70% a molecole del Carbonio, per il 28% a particelle di Allumina e per il 2% all’acqua emessa da motori alimentati a ossigeno e idrogeno liquido. Il valore della radiazione riflessa dalle particelle emesse dai razzi è stimato invece in 16±8 mWm−2 (milliWat / metro^2) [3]. Questi contributi sono trascurabili, ma in forte crescita.
Diversi propellenti inquinano diversamente
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L’impatto ambientale di un lancio nello spazio come abbiamo detto, dipende principalmente dal tipo di lanciatore che viene impiegato e dal tipo di propellente che esso utilizza. I lanciatori si possono classificare in tre macro-gruppi, sulla base del tipo di propulsione che sfruttano: propulsione solida (Solid Rocket Motor – SRM), propulsione liquida (Liquid Rocket Motor – LRM) e propulsione ibrida (Hybrid Rocket Motor HRE). Nella seguente tabella sono espressi i diversi inquinanti prodotti da i vari tipi di propellente, per unità di massa. Per esempio, il primo valore in alto a sinistra vuol dire che per ogni tonnelata di gas emessi, 0.08 tonnellate sono di N2 inerte. Il totale supera l’unità in quanto è stimata anche la quantità di CO e H2 che si originano dal contatto dei gas di scarico con l’atmosfera.
Tipologia di propellente origine | N2 inerte | CO2 + CO inerte | H2O + H2 | ClOx, HOx, NOx | HCl | Particelle di Alluminia | |
NH4ClO4/Al | Solidi | 0.08 | 0.27 | 0.48 | 0.1 | 0.15 | 0.33 |
LOX/H2O | Criogenici (liquidi) | 1.24 | 0.02 | ||||
LOX/RP-1 | Kerosone | 0.88 | 0.30 | 0.02 | 0.05 | ||
UDMH/N2O4 | Ipergolici | 0.29 | 0.63 | 0.25 | 0.02 | Tracce infinitesime |
La propulsione solida
La classe più semplice di propulsori è quella dei Solid Rocket Motor (SRM). Il propellente utilizzato da questa motorizzazione è allo stato solido, e questo garantisce una maggiore facilità di stoccaggio, semplicità di costruzione e utilizzo, oltre che valori di spinta più alti rispetto alle altre motorizzazioni (è per questo che i booster a solido vengono impiegati nelle primissime fasi di lancio, quando è richiesta una spinta molto elevata).
L’architettura di questo motore è molto semplice: il propellente solido viene lavorato in modo tale da ottenere un cilindro cavo chiamato grain che viene collocato all’interno del corpo del lanciatore. La cavità di tale cilindro sarà utilizzata come camera di combustione: i gas ad alta pressione rilasciati dal grain durante la combustione riempiono l’interno della cavità per poi essere accelerati attraverso l’ugello supersonico per produrre la spinta.
Il materiale che costituisce il grain è una sorta di gomma prodotta miscelando due polveri: un ossidante (i più comuni sono il Perclorato di Ammonio e il Nitrato di Ammonio), e un metallo (Alluminio, Magnesio). Questi componenti vengono amalgamati utilizzando un Binder (HTPB), che ha lo scopo di fornire integrità strutturale al grain oltre che agire come combustibile.
La reazione di combustione del grain rilascia in atmosfera principalmente composti del carbonio (CO, CO2 e fuliggini), Cloruro di Idrogeno e particelle di Allumina (Al2O3). Sicuramente questo tipo di propulsione è quella maggiormente impattante da un punto di vista ambientale. Le emissioni di Anidride Carbonica, e di particelle di Allumina sono come già detto, direttamente riconducibili all’effetto serra, grazie alla loro capacità d’intrappolare il calore nella parte alta dell’atmosfera.
Ma non è tutto. Prodotti secondari della combustione dei SRM sono i radicali del Cloro, ovvero i resti della reazione del Perclorato di Ammonio. Questi radicali risultano essere estremamente aggressivi nei confronti delle molecole di Ozono che si trovano nella Stratosfera.
La propulsione liquida
Il tipo di propulsione maggiormente usata ad oggi è quella che sfrutta i propellenti allo stato liquido. All’interno di questa classe è opportuno effettuare una ulteriore distinzione a seconda del tipo di propellente: criogenici, a idrocarburi e ipergolici.
I propellenti criogenici
I propellenti criogenici vengono denominati in questo modo perché devono essere mantenuti a temperature estremamente basse per conservare lo stato liquido. La coppia criogenica più comune è la LOX/LH2 (Ossigeno e Idrogeno liquidi). La reazione di combustione tra questi due elementi produce quasi esclusivamente acqua, che viene rilasciata sotto forma di vapore a causa dell’elevatissimo calore generato dalla reazione. Un effetto secondario è il rilascio di radicali liberi dell’Azoto (NOx) dovuto all’interazione dei gas ad elevata temperatura con l’aria circostante.
In realtà quest’ultimo effetto non è peculiare della coppia Idrogeno-Ossigeno, ma si verifica in qualsiasi altro tipo di propulsione. Al netto di questi effetti secondari, la coppia LOX/LH2 ha quindi un impatto ambientale minimo, ma bisogna tenere conto del fatto che la gestione di propellenti a temperature criogeniche è di estrema complessità, e richiede un aumento di misure di sicurezza e di infrastrutture per lo stoccaggio, il carico e lo scarico.
Parlando di propellenti criogenici non si può non fare una menzione particolare alla coppia LCH4/LOX (Metano-Ossigeno liquidi) nota anche con il nome di Methalox. Si tratta di una soluzione innovativa che venne proposta per la prima volta in un grande motore da SpaceX con il Raptor. Le prestazioni del Metano liquido accoppiato con l’Ossigeno liquido si collocano a metà tra quelle della efficientissima coppia LOX/LH2 e quelle dei propellenti a idrocarburi che risultano essere meno efficienti ma molto più densi (a parità di massa serviranno serbatoi molto più piccoli).
Raptor 2 generates more than 230 tons of thrust at sea level, up from Raptor 1’s 185 tons pic.twitter.com/o1Rqjwx6Ql
— SpaceX (@SpaceX) February 11, 2022
Il Metano garantisce i benefici sia degli uni che degli altri, oltre al fatto che permette un design del motore più semplice e affidabile. Essendo una soluzione agli albori non è ancora chiaro che impatto possano avere le emissioni di un tale motore, anche se si ritiene possa essere particolarmente deleterio a causa della abbondante produzione di Anidride Carbonica e radicali dell’Azoto.
Recentemente la FAA (Federal Aviation Administration) ha eseguito una analisi ambientale completa del progetto Starship di SpaceX. In una sezione di questa analisi hanno stimato quanto possa essere la produzione di CO2 e di ossidi d’azoto (NO) del motore raptor. Questi valori sono stati stimati con l’uso di modelli matematici usati a partire dai dati di SpaceX. Il risultato è stato che un singolo volo di un Super Heavy (il primo stadio di Starship che usa 33 motori Raptor2) produrrà 17998.99 kg/s di CO2. Il flusso di NO prodotto è invece stimato in 84 kg/s durante il volo del Super Heavy. [3]
I propellenti a idrocarburi
I propellenti a idrocarburi sono il secondo tipo di propellenti liquidi che vengono utilizzati al giorno d’oggi. Sono costituiti da complesse catene di Carbonio e Idrogeno e sono molto simili al Kerosene utilizzato in aviazione. I più comuni sono l’RP-1 e il Kerosene stesso. A causa dell’elevato contenuto di Carbonio questi elementi rilasciano in atmosfera grandi quantità di CO2 e CO, con un conseguente impatto sull’effetto serra.
Altri prodotti della loro combustione sono: radicali liberi dell’azoto, solfuri e vapore acqueo. Tipicamente questi propellenti vengono utilizzati in coppia con l’Ossigeno liquido, in sostituzione dell’Idrogeno. Nonostante garantiscano prestazioni inferiori rispetto all’Idrogeno liquido, questi propellenti hanno numerosi vantaggi, tra cui la maggiore densità, il costo più basso e la stabilità a temperatura ambiente che ne rende più facile ed economica la gestione. Per questi motivi molto spesso si rinuncia ad utilizzare una coppia criogenica sebbene sia meno impattante sull’ambiente oltre che più prestazionale.
I propellenti ipergolici
Un’altra sottoclasse di propellenti liquidi è poi quella dei propellenti Ipergolici. Si tratta di una soluzione utilizzata in genere per i motori orbitali, ovvero quelli dedicati al controllo di assetto e alle manovre orbitali (ma anche per piccoli razzi e lanciatori). In genere appartengono a questa classe i propellenti basati sull’Idrazina (Dimetilidrazina, Monometilidrazina). La caratteristica che distingue gli Ipergolici da tutti gli altri tipi di propellenti liquidi è il fatto che non necessitano di un sistema di accensione per l’innesco della reazione di combustione.
La chimica delle coppie Ipergoliche è infatti tale che la combustione inizia spontaneamente non appena l’ossidante e il combustibile entrano in contatto. Se da una parte questa caratteristica consente di avere motori più semplici ed affidabili, e con i quali è possibile effettuare sequenze ripetute di accensioni e spegnimenti (fondamentali nelle manovre orbitali), dall’altra parte questi propellenti risultano essere estremamente tossici e inquinanti. Questo porta a numerosi problemi nella loro gestione a terra come ad esempio il carico, lo scarico, i test, ed eventuali perdite.
I maggiori problemi degli Ipergolici si hanno proprio a terra, quando questi propellenti sono ancora incombusti. I prodotti della reazione invece sono abbastanza simili a quelli di RP-1, caratterizzati principalmente dalla presenza di CO2 e poi, in quantità più piccole, di vapore acqueo, di solfuri e radicali dell’azoto.
La propulsione ibrida
A metà tra i motori solidi e quelli liquidi si collocano gli Hybrid Rocket Engines (HRE). Si tratta di una tecnologia relativamente recente basata sull’accoppiamento di un ossidante allo stato liquido con un combustibile allo stato solido. Nonostante gli innumerevoli vantaggi di una tale soluzione, in termini di costi, sicurezza e semplicità, il suo utilizzo è stato fino ad oggi limitato da prestazioni inferiori rispetto ai tradizionali motori solidi e liquidi.
Nonostante ciò, numerose ricerche si stanno muovendo per cercare di colmare il gap prestazionale degli HRE in modo da poter sfruttare a pieno i vantaggi di questa tecnologia, di cui si è parlato sopra. D’altra parte non mancano già degli esempi applicativi di questo motore, basti pensare alla SpaceShip di Virgin Galactic. Al pari dei motori liquidi a Metano, anche per gli HRE le informazioni disponibili sono limitate poiché si tratta di una tecnologia relativamente giovane. Studi preliminari suggeriscono tuttavia il rilascio da parte degli HRE di polveri nere (fuliggini) e Ossidi di Azoto. Visti gli imminenti sviluppi che si prospettano per il futuro, sarebbe importante iniziare ad analizzare fin da subito in maniera approfondita gli impatti ambientali associati a tale propulsione.
Nella seguente tabella sono elencati i principali contributi di cloro nella stratosfera durante il volo di alcuni vettori. In questa analisi è presa in considerazione solamente la quota stratosferica dato che, come abbiamo visto all’inizio, è in questa zona che inquinanti come Cloro e particelle di Allumina fanno principalmente danni al buco dell’Ozono. I valori sono in tonnellate.
15-25 km | 25-45 km | 45-60 km | Totale nella stratosfera [Valori in tonnellate] | |
Titan IV | 20 | 27 | 2 | 48 |
Titan IV /SRMU (con booster) | 23 | 30 | 2 | 55 |
Delta II | 2 | 5 | 1 | 8 |
Atlas IIAS | 2 | 2 | 0 | 3 |
MX | 2 | 3 | 1 | 6 |
MM III | 1 | 1 | 0 | 2 |
Shuttle | 40 | 39 | 0 | 79 |
Ariane 5 | n/a | n/a | n/a | 57 |
H1 | 1 | 2 | 0 | 3 |
H2 | 3 | 7 | 1 | 11 |
In questa seconda tabella, sempre per lo stesso campione di vettori è stimata la quantità di particelle di Allumina emesse. I valori sono in tonnellate. Si evidenzia come, anche in questa seconda tabella, i principali inquinanti sono emessi (in quantità) nelle prime due fasi di salita, cioè nelle prime due colonne. La terza, quella da 45 a 60 km, evidenzia una fase di volo dove alcuni razzi hanno già spento e separato i booster a propellente solido, principale fonte d’inquinanti a base di cloro e di particelle di Allumina.
15-25 km | 25-45 km | 45-60 km | Totale in tonnellate | |
Titan IV | 28 | 38 | 2 | 69 |
Titan IV SRMU (con booster) | 39 | 51 | 3 | 93 |
Delta II | 3 | 8 | 1 | 12 |
Atlas IIAS | 3 | 2 | 0 | 5 |
MX | 3 | 4 | 2 | 9 |
MM II | 1 | 1 | 1 | 3 |
Shuttle | 57 | 55 | 0 | 112 |
Ariane 5 | n/a | n/a | n/a | 81 |
H1 | 1 | 3 | 1 | 4 |
H2 | 4 | 10 | 2 | 16 |
Gli effetti inquinanti “secondari”
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Sono molti gli effetti inquinanti secondari che produce un lancio spaziale. Fra questi si possono considerare in primis l’inquinamento acustico, di cui abbiamo già parlato brevemente nel paragrafo “Dove inquinano i Razzi“. Un altro effetto è l’usura delle componenti durante il volo, in particolare degli ugelli dei motori.
Essi, durante la propulsione si usurano, producendo fuliggine e particolato. Anche questa variabile non è però stimata con precisione, e varia a seconda dei motori, del propellente, e dei materiali. Attualmente è sensato supporre che solo SpaceX disponga di dati utili su questo tipo d’inquinamento, in quanto è l’unica realtà che finora esegue un’analisi e una certificazione dei propri motori per farli volare nuovamente.
Uno degli effetti di inquinamento secondario più importante è legato ai gas di scarico nella fase immediatamente successiva all’emissione. Il tipico ‘pennacchio’ formato dai gas scaricati in atmosfera durante un lancio, ha una struttura precisa, dettata dalla fluidodinamica e dalla termodinamica. In particolare è possibile effettuare una distinzione tra la parte centrale di tale pennacchio, in corrispondenza dell’uscita dell’ugello, e la parte più esterna, ovvero la scia che il lanciatore si lascia alle spalle e che va a mischiarsi con l’atmosfera.
All’interno della scia si vengono a sviluppare reazioni di post-combustione dovute al miscelamento dei gas caldi (che contengono in parte propellente incombusto) con l’ossigeno atmosferico. Ed è qui che vengono prodotti e rilasciati i radicali responsabili del deterioramento dell’ozono. Le reazioni di post-combustione sono tanto più intense quanto più ossigeno è presente nella scia. Per questo motivo man mano che il lanciatore sale verso la parte più alta della stratosfera (dove la concentrazione di ossigeno è minore), il rilascio di radicali diminuisce.
La conseguenza di questo processo è che, durante un lancio, si viene a creare una regione di spazio localizzata intorno al lanciatore in cui il 100% dell’Ozono viene degradato. Questi “mini-buchi” nell’Ozono sono stati osservati e misurati grazie a campagne di campionamento eseguite sfruttando velivoli ad alta quota. Non si è riuscito però a capire se questi processi siano significanti se paragonati agli effetti dovuti alle emissioni globali. A parte questa degradazione istantanea dell’Ozono bisogna anche considerare gli effetti prodotti nelle settimane e nei mesi successivi al lancio. Le sostanze rilasciate in atmosfera vengono infatti trasportate dai venti ed hanno modo di interagire con l’Ozono anche a livello globale, sopratutto nella stratosfera, come scrivevamo all’inizio, nel paragrafo Dove inquinano i razzi.
Propellenti green di nuova generazione
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Diversi studi sono stati condotti, soprattutto negli ultimi anni, in merito a propellenti “green” candidabili per la propulsione spaziale. Per prima cosa, è necessario chiarire che la parola “green” non ha ancora un significato ben delineato. Ci si riferisce, a seconda del caso, a conseguenze inerenti ai prodotti di combustione, ai prodotti della fabbricazione o alla pericolosità nello stoccaggio o nel manufacturing. Benché alcuni lavori di ricerca tentino d’individuarne una scala in base ad aspetti quali l’impatto sull’ozono o la tossicità per l’uomo, una vera regolamentazione ancora non c’è.
Tendenzialmente, si tende a definire “green” un propellente se, tra i suoi costituenti, è eliminato o ridotto uno di quelli identificati come maggiormente dannoso. Insomma, un propellente è green se è ritenuto meno impattante dell’alternativa o del precursore. In passato, essendo i lanci poco numerosi e comportando già tutta una serie di sfide tecnologiche da superare, la problematica non era stata mai considerata prioritaria, e quindi quasi mai affrontata. Le prime misure impattanti l’attività di lancio relative agli effetti ambientali ebbero difatti, una origine esterna.
Lo stato attuale
La conferenza di Montreal del 1976, che sancì la messa al bando dei CFC particolarmente dannosi per l’ozono, non portò a particolari vincoli sui propellenti, ma comportò una completa revisione delle procedure di produzione e stoccaggio degli stessi [4]. In maniera simile, la convenzione europea REACH per il divieto delle sostanze più tossiche, potrebbe in futuro rendere più complicato l’utilizzo di sostanze particolarmente dannose, come la diffusissima idrazina [5].
Incidenti occorsi poco dopo il lancio, come quello del Proton-M russo nel 2013 o del cinese Lunga Marcia 3B nel 1996, che utilizzavano questa sostanza, hanno causato la contaminazione (fortunatamente, solo per un breve periodo) di zone di campagna. I lanciatori cinesi Lunga Marcia delle prime generazioni, sono tra i pochissimi rimasti (il Dnepr russo è un altro) ad utilizzare ancora idrazina negli stadi iniziali. Questa rimane ancora abbastanza diffusa negli stadi superiori, come per il razzo europeo Vega, il giapponese Epsilon o il sempre europeo – ma più pesante – Ariane.
In tal senso, può essere letta come green la sostituzione del quarto stadio del Vega, equipaggiato col motore M10 a metano che verrà introdotto a partire dalla versione “E” del razzo nel 2025. La sostituzione dell’idrazina è uno dei temi maggiormente investigati, anche per la propulsione orbitale dove, per le sue performance nel vuoto, rimane difficilmente rimpiazzabile. Tuttavia, studi stanno indirizzandosi anche verso questa direzione. Questo, soprattutto per i rischi legati alla produzione e gestione di questa sostanza molto tossica.
Le prospettive
Focalizzandoci, invece, sui precedentemente citati effetti atmosferici e, in particolare, sulla fascia di Ozono, oggetto di particolare attenzione sono, come spiegato, i propellenti solidi. Un progetto di ricerca europeo, il GRAIL, ha investigato la possibilità di eliminare il Perclorato di Ammonio (AP) come ossidante, sostituendolo con i meno impattanti Ammonio Dinitrammide (ADN) e Nitrato d’Ammonio (AN). L’Europa utilizza i propellenti solidi per i booster dell’Ariane e per i primi tre stadi (saranno due a partire dalla versione E) del Vega. Sfortunatamente le proprietà di combustione non hanno soddisfatto le attese e anche solo una eventuale miscela parziale dovrà essere studiata maggiormente prima di poterne ipotizzare un futuro impiego [6].
Altri ossidanti alternativi sono stati oggetto di studio per i motori solidi, su tutti il perossido di Idrogeno (H2O2), liquido allo stato naturale, ma utilizzabile anche nei grani solidi e la cui combustione avrebbe meno conseguenze sulla fascia di Ozono. L’integrazione nei propellenti solidi presenta, però, ancora problematiche [7], mentre è più promettente l’utilizzo dello stesso H2O2 in motori ibridi: il prototipo polacco AMBER II, utilizzante questo tipo di architettura, è stato già testato in volo a bassa quota [8] ed altri progetti con soluzioni simili, come il Nucleus della norvegese Nimmo [9] o la versione ibrida del razzo leggero Eris della australiana Gilmour, sono in via di sviluppo.
È da notare come, al pari d’iniziative istituzionali, le startup o le piccole compagnie stiano apportando un significativo contributo alla prototipazione di queste configurazioni. Vale la pena spendere un’ultima citazione riguardo ad una soluzione per piccoli razzi, investigata, tra gli altri, dall’Agenzia Spaziale Tedesca DLR, che è quella dei “gelled propellants”. Essenzialmente, consiste nel trattare combustibili liquidi con “gelling agents”, per renderli in uno stato semi-solido più facilmente gestibile. Questo per avere i benefici in performance e anche in rifiuti inquinanti di combustione di un liquido, e quelli di semplicità di funzionamento e possibilità di stoccaggio vicini a quelli di un solido [10]. Il tutto, nelle intenzioni di DLR, compatibile con le regole della convenzione REACH.
Questo approfondimento è stato scritto con la collaborazione di Mariasole Maglione e Giuseppe Chiapparino. I tre autori si sono impegnati per garantire massima trasparenza e una ricerca attenta dei dati, consapevolmente con il fatto che alcuni errori o inesattezze potrebbero ancora esserci. Gli autori saranno disponibili a rispondere a qualsiasi segnalazione o richiesta di approfondimento. È possibile contattarli all’email info@astrospace.it o scrivendoci su Telegram, al nostro bot @astrospace_TARS.
Fonti
[1]: Scientific Assessment of Ozone Depletion: 2014, World Meteorological Association, Report No. 44.
[3]: Ross and P. Sheaffer, 2014, Radiative forcing caused by rocket engine emissions. Earth’s Future, 2: 177–196, doi:10.1002/2013EF000160.
[4]: Exhaust Plume Calculations for SpaceX Raptor Booster Engine.
[5]: NASA Second Aerospace Environmental Technology Conference, Whitaker et a
[6]: ESA responding to EU’s REACH chemical law
[7]: GRAIL: Green Solid Propellants for Launchers, Wingborg et al.
[8]: Hydrogen peroxide – A promising oxidizer for rocket propulsion and its application in solid rocket propellants, Kopacz et al.
[9]: ILR-33 AMBER Rocket-Quick, Low Cost and Dedicated Access to Suborbital Flights for Small Experiments, Pakosz et al.
[10]: Development of the Nucleus Hybrid Propulsion System: Enabling A Successful Flight Demonstration , Faenza et al.
[11]: Green Gelled Propellant Throtteable Rocket Motors for Affordable and Safe Micro-Launchers, Naumann et al.