All’incirca ogni secondo, una delle stelle osservabili nell’Universo muore in un’esplosione. Nonostante siano eventi piuttosto comuni, restano molte domande sul perché, quando e come accadono. Anche perché in alcuni casi le esplosioni, dette supernovae, sono decisamente atipiche. Per esempio, da decenni gli astronomi osservano il cielo alla ricerca di esplosioni di stelle Wolf-Rayet. Esse presentano spettri insoliti, poveri di idrogeno e ricchi di carbonio, ossigeno ed elio. Ciò è dovuto al fatto che a causa dei forti venti stellari, le Wolf-Rayet hanno perso il loro involucro più esterno e presentano il core esposto.
La mancanza di prove per una supernova Wolf-Rayet ha portato alcuni scienziati a supporre che, alla fine della loro vita, le stelle Wolf-Rayet non esplodano ma diventino buchi neri. Di recente invece, Avishay Gal-Yam del Weizmann Institute of Science di Israele e i suoi colleghi hanno completamente sradicato questa idea.
Il team ha riportato l’osservazione di una supernova, la 2019hgp, risalente all’8 giugno 2019, che sembra corrispondere alle aspettative per l’esplosione di una stella Wolf-Rayet. E le sorprese non finiscono qui: i loro dati indicano che dopo l’esplosione il resto della stella si è trasformato in un buco nero. Ciò suggerisce che la classe dei progenitori dei buchi neri è più grande di quanto si pensasse.
Un Universo esplosivo, ma misterioso
Per ottenere informazioni sulle esplosioni stellari, gli astronomi hanno bisogno di dati sia sulla supernova che sulla stella originale, detta progenitrice. Tuttavia, ottenere informazioni sulla progenitrice è molto più complesso di comprendere le caratteristiche dell’evento esplosivo.
Una supernova rilascia una quantità enorme di luce, che può illuminare il materiale dentro e intorno alla stella. Tuttavia nel corso dell’esplosione ciò che rimane della stella sintetizza anche nuovi materiali, mascherando la composizione originale della progenitrice! Insomma, nonostante gli eventi esplosivi siano numerosi, è particolarmente difficile studiarli nel dettaglio. Anche studiando la supernova, la stella che era in origine è già distrutta.
Wolf-Rayet: come studiare le stelle prima che esplodano
Prima degli anni 2000, il cielo veniva fotografato circa una volta al mese per poi essere scandagliato in cerca di eventi cosmici esplosivi. Quindi in media una supernova era rilevabile solo circa due settimane dopo il suo inizio, abbastanza a lungo da cancellare qualsiasi traccia della stella originale!
Di conseguenza, gli astronomi hanno cambiato il tempo di scatto dell’immagine, decidendo di scattare una foto al giorno. Una scala temporale molto più rapida, utile a catturare informazioni sulla composizione originale della stella e quindi identificare la progenitrice. Grazie a questa nuova tecnica, Gal-Yam e colleghi hanno sondato il cielo alla ricerca di stelle interessanti, in particolare di Wolf-Rayet.
La supernova di una Wolf-Rayet
Il team di Gal-Yam ha individuato la supernova 2019hgp poco più di un giorno dopo l’esplosione. Gli spettri mostravano linee prominenti di carbonio, ossigeno e neon ma non di idrogeno o elio. L’analisi dell’effetto Doppler sulle linee spettrali, inoltre, indicava che il materiale rilevato si stava muovendo a velocità superiori a 1500 km/s. Tutti questi dati suggerivano che l’esplosione fosse stata originata da una stella massiccia ma compatta che conteneva gli elementi previsti per una stella di Wolf-Rayet.
In realtà ci si aspetta che sia ancora presente dell’elio, tra gli elementi della Wolf-Rayet. Se il tasso di perdita di massa causato dai venti solari è molto più alto del previsto, però, è possibile giustificare l’assenza di linee di elio. E ciò rende il risultato di Gal-Yam e colleghi particolarmente entusiasmante.
Dalle Wolf-Rayet, possibili anche residui di buchi neri
Tuttavia c’è un altro aspetto di questo studio che intriga gli scienziati. Infatti, oltre a indicare che le stelle Wolf-Rayet possono esplodere nelle supernove, i dati implicano altre conseguenze per la comprensione del ciclo di vita di queste stelle.
Gal-Yam e i suoi colleghi stimano infatti che solo un decimo della massa della stella sia stato espulso durante l’esplosione, lasciando dietro di sé la maggior parte delle 10 masse solari della stella. Quella massa rimanente è troppo grande perché il resto abbia formato una stella di neutroni. Infatti, sia la teoria che le osservazioni limitano le stelle di neutroni a meno di 2-3 masse solari. La massa residua si adatta invece a quella prevista per un piccolo buco nero!
Un residuo di buco nero è sorprendente. I modelli sugli eventi cosmici esplosivi, infatti, suggeriscono che tutte le supernove cosiddette “di successo” si lasciano dietro le stelle di neutroni. Se invece in alcuni casi le supernove producono buchi neri, allora i buchi neri potrebbero essere significativamente più abbondanti di quanto si pensasse in precedenza.
Lo studio completo, pubblicato su Nature, può essere trovato qui.
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