Venere, spesso definito il “gemello rovente” della Terra per dimensioni e composizione, continua a sorprendere i planetologi. Un nuovo studio finanziato dalla NASA ha analizzato in dettaglio lo spessore e la dinamica della crosta venusiana, introducendo un modello che cambia il modo in cui si interpreta l’evoluzione geologica del pianeta.
Secondo la ricerca, la crosta di Venere avrebbe uno spessore medio di circa 40 km, con un massimo di 65 km. Questi valori sono inferiori rispetto a quanto si pensava finora, considerando che Venere non mostra segni evidenti di tettonica a placche come avviene sulla Terra. Sulla nostra pianeta, infatti, i movimenti delle placche permettono alla crosta di rinnovarsi, controllandone lo spessore e alimentando il ciclo geodinamico attraverso processi di subduzione. Venere, invece, possiede una crosta monolitica, priva di grandi strutture di convergenza tra placche.
La nuova ipotesi avanzata dallo studio propone che, man mano che la crosta cresce, la sua base diventi talmente densa da sprofondare nel mantello sottostante o fondersi, generando così un processo di metamorfismo in grado di restituire materiale all’interno del pianeta. Questo processo potrebbe essere un meccanismo alternativo per mantenere attiva la geologia di Venere.

Un pianeta senza placche, ma non senza dinamiche interne
Il fulcro dello studio risiede nella proposta di un meccanismo che, pur in assenza di tettonica a placche, consente a Venere di mantenere un ciclo interno attivo. In condizioni terrestri, quando una placca scivola sotto un’altra, le rocce più profonde subiscono un aumento di pressione e temperatura, trasformandosi: questo è il metamorfismo, spesso legato all’attività vulcanica. A Venere, lo stesso processo avviene non per subduzione, ma per la densificazione e successivo collasso della base crostale.
La crosta venusiana, crescendo in spessore, raggiunge un punto critico in cui il materiale alla base diventa instabile. Secondo i modelli, questo materiale può quindi staccarsi e affondare nel mantello, oppure fondere a causa delle elevate temperature interne del pianeta. Entrambi i processi portano alla liberazione di elementi e acqua che, reintegrandosi nel mantello, potrebbero innescare la produzione di magma e, potenzialmente, fenomeni vulcanici.
Questo meccanismo di “autorinnovamento” interno sfida l’idea che solo la tettonica a placche sia in grado di guidare la geodinamica di un pianeta roccioso. L’attività vulcanica di Venere, ancora poco compresa ma ipotizzata in base a dati termici e spettroscopici, potrebbe quindi essere sostenuta proprio da questo processo interno di metamorfismo crostale.
Verso nuove missioni su Venere
Per verificare le ipotesi proposte dal nuovo modello geologico, sarà fondamentale ottenere dati diretti dalla superficie e dall’interno di Venere. Proprio per studiarlo, nei prossimi anni diverse agenzie spaziali lanceranno una nuova generazione di missioni dedicate all’esplorazione del pianeta.
DAVINCI (Deep Atmosphere Venus Investigation of Noble gases, Chemistry, and Imaging) della NASA sarà la prima missione a tentare un attraversamento completo dell’atmosfera venusiana da parte di una sonda. L’obiettivo è quello di analizzare la composizione chimica dei gas atmosferici e raccogliere immagini ad alta risoluzione durante la discesa, permettendo di ricostruire anche le relazioni tra atmosfera e superficie.

Parallelamente, la missione VERITAS (Venus Emissivity, Radio Science, InSAR, Topography, and Spectroscopy) mapperà la superficie del pianeta usando un radar ad apertura sintetica e strumenti spettroscopici. Questi dati saranno essenziali per identificare aree di recente attività vulcanica, variazioni nella composizione della crosta e possibili tracce di metamorfismo attivo.
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) contribuirà con EnVision, il cui lancio è previsto per il 2031. Questa missione combinerà radar e spettrometri per studiare la struttura interna del pianeta, la sua superficie e l’atmosfera in modo integrato. EnVision permetterà di confrontare l’evoluzione geologica di Venere con quella della Terra, fornendo indizi cruciali sul perché due pianeti così simili abbiano seguito traiettorie così diverse.
Anche la Cina ha in programma una missione per il recupero di campioni di Venere, nel suo piano di esplorazione del Sistema Solare.
Con queste missioni, Venere diventerà uno dei laboratori naturali più interessanti per testare nuove teorie sulla dinamica interna dei pianeti rocciosi, e sui processi che regolano la loro evoluzione geologica e atmosferica.
Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è reperibile qui.