Scienza
| On 3 anni ago

Il più lungo getto di particelle in un buco nero dell’Universo primordiale

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Gli astronomi studiano quasar e buchi neri molto antichi per capire come la materia, il gas e la radiazione abbiano interagito nei primi milioni di anni di vita del nostro Universo. Uno dei fenomeni che mettono alla prova i ricercatori è il getto relativistico di particelle che alcuni di questi mostri celesti riescono a produrre. Proprio qualche giorno fa un team di ricercatori ha pubblicato uno studio sul quasar P172+18, il più vecchio quasar attivo mai osservato che presenti dei getti. E’ stato scoperto grazie al Very Large Telescope per la sua forte emissione di onde radio.

Ora, l’osservatorio orbitale Chandra della NASA, sembra aver tracciato la presenza di un getto lungo ben 160 mila anni luce proveniente da un buco nero supermassiccio che ha 12.7 miliardi di anni. Come confronto, ricordiamo che la Via Lattea misura circa 100 mila anni luce, perciò l’estensione del getto è davvero notevole. Il buco nero è alimentato dal quasar PJ352-15 al centro di una giovane galassia. PJ352-15 è una delle sorgenti radio più potenti finora rivelate poco dopo il Big Bang ed è milioni di volte più massiccio del Sole.

La parte più interessante della scoperta è che il getto relativistico proveniente dal buco nero è stato rivelato nella lunghezza d’onda dei raggi X. Questo ha portato i ricercatori ad avanzare alcune ipotesi su come il plasma di particelle cariche possa aver interagito con la radiazione cosmica di fondo.

Rappresentazione artistica del potente getto di particelle rivelato da Chandra. Credits: NASA/CXC/M. Weiss. Accanto a essa, uno screen ai raggi X e infrarossi. Credits: NASA/CXO/JPL/T; Gemini/NOIRLab/NSF/AURA; W.N. Keck Observatory.

Il getto relativistico accresce il buco nero

Il materiale che orbita nel disco attorno a un buco nero deve diminuire la sua velocità e quindi la sua energia, prima di cadere oltre l’orizzonte degli eventi, oltre il quale viene fagocitato dal buco nero e contribuisce alla sua crescita. Vediamo come questo avviene proprio grazie al getto relativistico.

Il disco di plasma, ovvero di particelle cariche, presente attorno al buco nero genera potenti campi magnetici. La rotazione del disco intreccia le linee di campo, che si stringono attorno a una parte delle particelle, accelerandole. In questo modo esse riescono a sfuggire alla forza di gravità e sono sparate verso l’alto in un flusso molto energetico che toglie energia al resto del materiale presente, rallentandolo e forzandolo a venir mangiato dal buco nero. Ecco come esso accresce la sua massa, stando alle ipotesi dei ricercatori.

“Se una giostra sta girando troppo velocemente, è difficile che un bambino riesca a muoversi attraversandone il centro. Qualcuno o qualcosa deve rallentare la corsa per permetterlo” spiega con un esempio semplice Thomas Connor del Jet Propulsion Laboratory della NASA, autore dello studio. “Attorno a un buco nero supermassiccio, pensiamo che i getti possano portar via energia a sufficienza perché il materiale cada dentro il buco nero e gli permetta di crescere”. Resta da capire perché solo alcuni buchi neri riescano a produrre getti relativistici di questo tipo. E poi perché proprio Chandra, osservatorio ai raggi X, è riuscito a rivelare questo particolare getto?

Credits: NASA, ESA, A Feild.

L’interazione con il CMB produce raggi X

La radiazione energetica proveniente dal getto che Chandra ha rivelato è stata emessa dal buco nero quando l’Universo aveva solo un decimo dell’età che ha adesso. A quel tempo l’intensità del Cosmic Microwave Background (CMB), la radiazione cosmica di fondo rimasta dopo il Big Bang, era molto più intensa di adesso.

Sappiamo che gli elettroni presenti nel getto relativistico si allontanano dal buco nero e sono accelerati quasi alla velocità della luce nello spazio. I ricercatori ipotizzano che attraversino la radiazione cosmica di fondo collidendo con i fotoni di luce in essa presenti. Queste interazioni aumentano l’energia dei fotoni fino alla banda dei raggi X, rilevabili con Chandra. Da notare che, in un scenario simile, la luminosità dei raggi X è notevolmente maggiore rispetto al quella delle onde radio. Ciò concorda con l’osservazione sperimentale di Chandra di questo lungo getto di raggi X, che non ha emissioni radio associate.

I raggi X potrebbero aiutarci a conoscere l’infanzia dell’Universo

Potrebbe essere utile mettere insieme i risultati delle osservazioni ai raggi X e quelle nella lunghezza d’onda radio. Forse in questo modo riusciremmo a comprendere più a fondo la fisica di come i potenti getti relativistici dei buchi neri supermassicci si formano e si auto-sostengono nel tempo. In questo modo, si potrebbe spiegare il comportamento degli oggetti celesti più antichi che conosciamo, come il buco nero alimentato da PJ352-15, e rispondere a molti quesiti ancora aperti.

“I nostri risultati mostrano che le osservazioni ai raggi X possono essere uno dei metodi migliori per studiare i quasar con getti nell’Universo primordiale” dichiara Daniel Stern del JPL. “O, per dirla in un altro modo, le osservazioni ai raggi X in futuro potrebbero essere la chiave per svelare i segreti del passato del cosmo”. Lo studio sarà pubblicato su The Astrophysical Journal ed è disponibile qui: Enhanced X-ray emission from the most radio-powerful quasar in the Universe’s first billion years.

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