Secondo una nuova simulazione pubblicata ieri su Astronomical Journal, il nuovo telescopio della NASA WFIRST in futuro potrà scovare migliaia di nuovi pianeti solitari. Questi pianeti sono chiamati “solitari” (rogue planets), in quanto vagano per l’universo senza essere legati gravitazionalmente ad una stella. Non appartengono cioè ad un sistema solare. La ricerca si concentra sull’osservare la quantità elevata di questi corpi che il telescopio potrà osservare, cambiando in futuro la nostra comprensione della loro origine e quantità.
Il processo di formazione dei pianeti è generalmente molto caotico, coinvolgendo collisioni fra oggetti più piccoli che poi si agglomerano assieme. Questi scontri a volte avvengono in condizioni talmente violente da lanciare un corpo roccioso fuori dalla sfera di influenza gravitazionale della stella. Quando questo avviene sono poi costretti a viaggiare per l’universo fino ad incontrare un’altra stella in grado di “catturarli”. Questa è attualmente l’ipotesi più accreditata per l’origine dei pianeti solitari ma potrebbe non essere l’unica. I rogue plantes sono infatti incredibilmente difficili da osservare.
Dopo aver visto tutti i pianeti del sistema solare, negli anni ’90 abbiamo scoperto il primo esopianeta in orbita intorno ad un’altra stella. Per farlo, uno dei metodi più usati è quello del transito, cioè misurare la variabilità della luminosità della stella quando il pianeta ci passa davanti. Questo ovviamente non è un metodo possibile per scoprire nuovi pianeti solitari, ma uno “simile” sarà usato dal telescopio WFIRST.
Nel video seguente, un’animazione del percorso di un pianeta solitario. (Credits: NASA/JPL-Caltech/R. Hurt (Caltech-IPAC).
La tecnica del microlensing
Il telescopio intitolato a Nancy Grace Roman potrà scovare i pianeti solitari con la tecnica del microlensing, una variante della lente gravitazionale. Secondo la simulazione pubblicata ieri, condotta da Samson Johnson della Ohio State University, il telescopio potrà scovarne centinaia.
La lente gravitazionale funziona osservando la luce proveniente da una stella o galassia mentre viene distorta da una massa (un’altra stella o un’altra galassia) che si trova fra l’oggetto da osservare e l’osservatore. Questa distorsione della luce avviene per effetto della massa della “lente” e ci permette di osservare oggetti lontani con maggiore precisione. La tecnica del microlensing funziona al contrario.
Anche i pianeti possono generare distorsioni della luce, anche se ovviamente minori. Se si studia la luce proveniente da una sorgente luminosa che già conosciamo e troviamo una distorsione in questa luce provocata da un pianeta che “ci è passato in mezzo”, possiamo allora studiare alcune caratteristiche di quel pianeta. Dalla distorsione della luce che ha provocato potremmo capire la sua massa, le sue dimensione e forse anche indicazioni sulla sua traiettoria.
Questa tecnica è quindi molto simile, concettualmente, al metodo del transito con cui scopriamo nuovi esopianeti solo che “l’interferenza” avviene a distanze più grandi e il risultato non sono solo variazioni della luminosità della sorgente.
“Il segnale di microlensing da un pianeta solitario dura solo da poche ore a un paio di giorni, poi scompare per sempre.” Queste le parole del coautore Matthew Penny, assistente professore di fisica e astronomia presso la Louisiana State University di Baton Rouge. “Questo li rende difficili da osservare dalla Terra, anche con più telescopi. Il Roman è un punto di svolta per le ricerche sui pianeti canaglia “.
Nancy Roman Space Telescope
A maggio del 2020 la NASA ha dedicato il progetto del telescopio WFIRST all’astronoma Nancy Romano, considerata la madre dell’Hubble Space Telescope. Nancy Romano, nata nel 1925, ha lavorato per 21 anni alla NASA progettando moltissimi esperimenti scientifici. Alcuni di questi hanno volato nelle missioni Gemini, nel programma Apollo, e sullo SpaceLab. L’ultimo grande progetto a cui ha lavorato è stato proprio l’istituzione dell’Hubble, lavoro che le ha portato il titolo di “madre” del telescopio.
WFIRST è stato intitolato a lei anche perchè sarà il vero erede dell’Hubble. Lo specchio principale del Roman Space Telescope sarà molto simile a quello del suo predecessore. Hanno entrambi un diametro di 2.4 metri, ma il RST potrà osservare anche nella frequenza del vicino infrarosso.
La competizione con il JWST ha più volte rischiato che questo telescopio venisse cancellato. Attualmente è ancora appeno ad un filo molto sottile ma il suo progetto continua. La partenza è prevista per il 2025 verso un’orbita di tipo Halo (nell’immagine seguente), con un perigeo di 188 420 km e un apogeo di 806 756 km. Una delle sue caratteristiche principali, dovuta anche alla particolare orbita, sarà la capacità di osservare la stessa porzione di spazio per settimane o mesi consecutivi, scovandone i cambiamenti.
Lo studio completo: Predictions of the Nancy Grace Roman Space Telescope Galactic Exoplanet Survey. II. Free-floating Planet Detection Rates.
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