Il telescopio spaziale James Webb (JWST) ha stabilito un nuovo primato nell’osservazione dell’Universo primordiale, identificando la galassia più distante mai rilevata: MoM-z14. La luce di questa galassia ha impiegato circa 13.5 miliardi di anni per raggiungerci, risalendo a soli 280 milioni di anni dopo il Big Bang.
MoM-z14 è stata scoperta nell’ambito del programma “Mirage or Miracle”, un’indagine spettroscopica pensata per confermare galassie candidate a grandissima distanza. La distanza è determinata attraverso il redshift, un parametro che misura quanto la luce di un oggetto è stata allungata dall’espansione dell’Universo. In questo caso, la conferma è arrivata grazie all’analisi del break di Lyman-α e all’identificazione di cinque linee di emissione ultravioletta, associate a elementi come azoto, carbonio, elio e ossigeno, emessi da gas molto energetici nella galassia.
MoM-z14 è situata a un redshift spettroscopico di z = 14.44, mentre la precedente galassia più lontana, JADES-GS-z14-0, si trovava a z=14.18. Era stata data notizia della sua scoperta a maggio 2024.

Una galassia luminosa e compatta
Nonostante le sue dimensioni estremamente ridotte, pari a circa 240 anni luce di diametro, MoM-z14 brilla in modo sorprendente nella luce ultravioletta. Questa luminosità è un segnale chiaro della presenza di molte stelle giovani che si stanno formando in modo rapido. Inoltre, il colore molto blu della galassia indica che c’è pochissima polvere a bloccare la luce, e che la popolazione stellare è composta da astri caldi e appena nati. Perciò la maggior parte della luce della galassia proviene da stelle, non da un nucleo galattico attivo (AGN).
Un altro aspetto peculiare di MoM-z14 è l’elevato rapporto tra azoto e carbonio, superiore a quello osservato nel Sole. Questa abbondanza chimica è simile a quella riscontrata negli antichi ammassi globulari della Via Lattea, e suggerisce che le stelle in MoM-z14 si siano formate in ambienti densi e ricchi di elementi prodotti da generazioni precedenti di stelle. Ma come è possibile, in un Universo così giovane?

La scoperta di MoM-z14 contribuisce a una crescente evidenza di una popolazione di galassie compatte e luminose ad alto redshift, le “Little Red Dots” a z>10, caratterizzate da abbondanze chimiche insolite. Tali caratteristiche potrebbero indicare la presenza di stelle supermassicce formatesi attraverso collisioni stellari in ambienti ad alta densità, fornendo indizi preziosi sulla formazione precoce delle strutture galattiche.
Una nuova frontiera dell’osservazione cosmica
La scoperta di MoM-z14 rappresenta un nuovo limite raggiunto nella nostra capacità di osservare l’Universo primordiale. Individuare una galassia a soli 280 milioni di anni dal Big Bang significa osservare la luce proveniente da un’epoca in cui l’Universo aveva meno dell’1% della sua età attuale. Questo risultato dimostra concretamente il potenziale del James Webb di esplorare fasi cosmiche finora irraggiungibili.
Ma la rilevanza di MoM-z14 non è solo tecnica. Il fatto che una galassia così luminosa e strutturata esista in un’epoca così remota sorprende i modelli teorici, che prevedevano la formazione di oggetti meno massicci e meno brillanti in tempi così precoci. Questo solleva interrogativi fondamentali: le galassie si formano più rapidamente di quanto pensassimo? Stiamo osservando una popolazione rara o stiamo semplicemente iniziando a scoprire che l’Universo giovane era molto più attivo?
Nei prossimi anni, strumenti come il Nancy Grace Roman Space Telescope e i grandi osservatori terrestri in costruzione, come l’Extremely Large Telescope (ELT), saranno fondamentali per ampliare il censimento delle galassie primordiali e ottenere dati più dettagliati sulla loro struttura e composizione. L’obiettivo sarà non solo quello di individuare nuove galassie a redshift estremi, ma anche di comprendere i processi fisici che hanno portato alla nascita delle prime strutture cosmiche, colmando il divario tra l’Universo post-Big Bang e la formazione delle prime stelle.
Lo studio che presenta la scoperta, accettato per la pubblicazione su Open Journal of Astrophysics, è reperibile qui in versione pre-print.