Nei primi milioni di anni dopo la nascita del Sistema Solare, Giove era molto diverso da come lo conosciamo oggi. Un nuovo studio, condotto da un team del California Institute of Technology e dell’Università del Michigan, suggerisce che il gigante gassoso avesse un raggio circa doppio rispetto a quello attuale e un campo magnetico 50 volte più intenso.
Queste scoperte derivano da simulazioni dinamiche e magnetoidrodinamiche che analizzano l’influenza del pianeta sulle sue lune interne, in particolare Amaltea e Tebe. Secondo gli autori dello studio, la forma attuale delle orbite di queste lune conserva una sorta di “fossile dinamico” dell’ambiente in cui si sono formate. Le loro inclinazioni orbitali, infatti, sono sensibili alle forze gravitazionali e magnetiche in gioco nei primi stadi di vita del pianeta.
I risultati mostrano che Giove era avvolto in un’atmosfera estesa e calda, sostenuta dall’energia residua della formazione, che lo rendeva molto più grande. Solo con il tempo, dissipando calore e perdendo parte del gas più esterno, il pianeta si è contratto fino alle dimensioni attuali.
Le orbite delle lune come testimoni della giovinezza di Giove
Il metodo utilizzato nello studio si basa su modelli fisici che ricostruiscono come le orbite delle lune cambiano, in risposta alle variazioni del campo gravitazionale e magnetico del pianeta.
In particolare, le inclinazioni anomale di Amaltea e Tebe non possono essere spiegate solo con la struttura attuale di Giove. Gli autori hanno quindi ipotizzato che, in un passato più caldo e turbolento, le forze esercitate dal pianeta sulle lune fossero molto più forti.
In questa fase primordiale, Giove avrebbe avuto un campo magnetico estremamente potente, generato da una dinamo interna più efficiente, alimentata da un nucleo in rapida accrescimento e da una struttura convettiva più ampia. I calcoli forniscono una stima di circa 21 milliTesla, un valore 50 volte superiore a quello attuale (pari all’equatore a 0.42 milliTesla). Un campo magnetico così intenso avrebbe inciso anche sulla struttura del disco circumplanetario, cioè il sistema di gas e polveri da cui si sono formate le lune stesse.
La ricerca evidenzia anche come il raffreddamento del pianeta e la contrazione dell’atmosfera abbiano avuto un ruolo centrale nel ridefinire il sistema di lune. Questa evoluzione progressiva è coerente con i modelli di formazione planetaria per “accrescimento del nucleo”, oggi considerati tra i più robusti per spiegare la nascita dei giganti gassosi.

Un campo magnetico primordiale che plasma il Sistema Solare
Le implicazioni dello studio vanno oltre la semplice storia di Giove. Un campo magnetico 50 volte più potente di quello attuale avrebbe influenzato in modo significativo l’ambiente locale del Sistema Solare primordiale. La presenza di un potente scudo magnetico potrebbe aver modificato la distribuzione del materiale nel disco protoplanetario, deviando particelle cariche e influenzando la formazione dei pianeti interni.
Inoltre, un Giove così esteso e attivo avrebbe avuto un impatto diretto sulla migrazione planetaria, potenzialmente rallentando o deviando i movimenti di altri corpi celesti in formazione. Questi scenari sono oggi al centro dell’astrofisica planetaria, perché aiutano a comprendere non solo l’origine del nostro Sistema Solare, ma anche la varietà dei sistemi planetari osservati intorno ad altre stelle.
I risultati di questo studio aprono nuove prospettive per lo studio dei pianeti giganti e delle loro lune. E rafforzano l’importanza di missioni come Juno, attualmente in orbita attorno a Giove, nel fornire dati fondamentali per testare e raffinare questi modelli evolutivi.
L’abstract dello studio, pubblicato su Nature Astronomy, è reperibile qui.