Un team di ricerca, guidato dall’astronomo Hans Böhringer del Max-Planck-Institut für Extraterrestrische Physik, ha di recente individuato una delle più grandi strutture cosmiche mai osservate fino a oggi. Si tratta di una rete di galassie e ammassi galattici, una superstruttura estesa per 1.37 miliardi di anni luce (più di 13 mila volte il diametro della Via Lattea).
Questa struttura, soprannominata “Quipu”, prende il nome dagli antichi strumenti di registrazione a nodi usati dagli Inca, per via della sua conformazione simile a un lungo filamento con diramazioni laterali. Quipu non è infatti un semplice filamento cosmico, ma una struttura su larga scala che comprende numerosi gruppi e superammassi di galassie.
Secondo i dati raccolti, la sua massa complessiva è stimata intorno ai 200 quadrilioni di masse solari, rendendola di gran lunga la struttura più massiva finora individuata nel cosmo.
Quipu e altre quattro superstrutture
Quipu è stato individuato all’interno dell’indagine Cosmic Large-Scale Structure in X-rays (CLASSIX), attraverso l’analisi degli ammassi di galassie osservati nella banda X, una tecnica che consente di tracciare le regioni di alta densità di materia grazie all’emissione di raggi X. Gli ammassi di galassie infatti contengono grandi quantità di gas a temperature di milioni di gradi Kelvin, che emettono radiazione X rilevabile dai telescopi spaziali.
CLASSIX si è concentrata sull’86% del cielo. La regione mancante è la zona in cui stelle e polvere della Via Lattea impediscono di raggiungere le strutture cosmiche al di là. La mappatura ha riguardato l’Universo vicino, da circa 425 milioni a 800 milioni di anni luce (che si traduce in circa 130-250 megaparsec) da qui.

(in beige). Credits: Böhringer et al. 2025
Böhringer e colleghi hanno così scoperto Quipu e studiato altre quattro superstrutture, tra le più grandi finora individuate. Insieme, queste cinque superstrutture contengono il 45% degli ammassi di galassie, il 30% delle galassie e il 25% della materia nell’Universo osservabile, hanno riferito i ricercatori nel documento. Ma in totale, costituiscono il 13% del volume dell’Universo. Questo significa che una frazione relativamente piccola del cosmo contiene una porzione enorme della sua materia visibile, suggerendo una distribuzione della massa più irregolare di quanto previsto dai modelli standard.
La superstruttura Quipu presenta un asse principale lungo e filamentoso, con ramificazioni più piccole che si estendono lateralmente, una configurazione che lo rende simile ai dispositivi di registrazione a nodi degli Inca, da cui il nome. Questa forma complessa suggerisce che la struttura potrebbe essersi formata attraverso processi di accrescimento gravitazionale e fusione di più superammassi, nel corso di miliardi di anni.
Un’altra superstruttura che sfida il modello standard
La ragnatela cosmica, la struttura filamentosa che compone l’Universo su larga scala, è un elemento fondamentale nella cosmologia moderna. Tuttavia, come già accaduto in passato per altre grandi strutture, le dimensioni e la densità di questa nuova superstruttura potrebbero sfidare alcuni aspetti del modello cosmologico standard basato sulla materia oscura fredda e l’energia oscura (ΛCDM).
La scoperta del Quipu si aggiunge infatti a una crescente serie di indizi che suggeriscono la necessità di una revisione o di un affinamento del nostro attuale modello dell’Universo. Le superstrutture cosmiche infatti possono influenzare il fondo cosmico a microonde (CMB), il lensing gravitazionale su larga scala e le misurazioni della costante di Hubble, tre degli elementi chiave per definire i parametri del nostro modello dell’Universo. Con distorsioni che potrebbero anche spiegare alcune discrepanze osservate tra i modelli teorici e le misurazioni effettive del CMB.
Inoltre, le grandi concentrazioni di materia nel Quipu possono influenzare i moti peculiari delle galassie vicine, contribuendo a effetti di “flusso su larga scala” che alterano la nostra percezione dell’espansione dell’Universo. Questo potrebbe avere conseguenze sulle misurazioni della costante di Hubble, già oggetto di un noto problema di discrepanza tra i valori ottenuti tramite il fondo cosmico a microonde e quelli derivati da supernovae e altre misurazioni locali.
Un nuovo tassello nel puzzle cosmico
Quipu e le altre superstrutture rappresentano comunque un nuovo tassello nella comprensione della ragnatela cosmica e delle strutture su larga scala dell’Universo. E questo non è un caso isolato. Nel corso degli ultimi decenni, gli astronomi hanno identificato diverse altre superstrutture che, per dimensioni e caratteristiche, hanno messo alla prova il modello cosmologico standard.
Tra queste, lo Huge Large Quasar Group (Huge-LQG), un’enorme concentrazione di quasar estesa per circa 4 miliardi di anni luce, e la Giant Arc, una struttura di galassie lunga oltre 3 miliardi di anni luce scoperta nel 2021. Un altro caso emblematico è il Bootes Supercluster, una delle regioni più dense e massicce dell’Universo. La più grande superstruttura attualmente conosciuta è la Grande Muraglia (HCB Great Wall, Hercules-Corona Borealis Great Wall), che misura approssimativamente 10 miliardi di anni luce in lunghezza, ma che non è ancora stata confermata come una concentrazione connessa di materia.
Recentemente, nel gennaio 2024, un’altra superstruttura era stata individuata dal Dark Energy Spectroscopic Instrument (DESI): il Grande Anello, che si estende per circa 1.3 miliardi di anni luce.

Il fatto che nuove scoperte di questo tipo continuino a emergere solleva domande fondamentali sulla validità del modello ΛCDM: il nostro attuale quadro teorico è in grado di spiegare la formazione di queste gigantesche concentrazioni di materia? Oppure servono nuove ipotesi per descrivere la crescita delle strutture cosmiche?
Nei prossimi anni, le osservazioni di telescopi come Euclid, il Vera C. Rubin Observatory e il telescopio spaziale Nancy Grace Roman della NASA forniranno dati ancora più precisi, permettendo di studiare la rete cosmica con dettagli senza precedenti.
Lo studio, accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics, è reperibile qui in versione pre-print.