Gli scienziati ritengono che la materia oscura, che costituisce la maggior parte della massa dell’Universo, sia distribuita su larga scala come una rete di lunghi e sottili filamenti. Questi filamenti, nei cui punti di incontro si trovano ammassi e superammassi di galassie, vanno a costruire una vera e propria ragnatela, detta ragnatela cosmica, particolarmente difficile da vedere, perché non interagente con la luce.
Per tentare di studiarla e “osservarla”, gli astronomi utilizzano il fenomeno del weak lensing. Ovvero, sfruttano la deformazione dello spaziotempo causata dalla forte gravità di ammassi e superammassi galattici. Finora, però, non erano mai riusciti a distinguere direttamente anche solo uno di questi filamenti.
Ora, un team di ricerca dell’Università di Yonsei ha utilizzato il telescopio giapponese Subaru per cercare dei segni diretti dei filamenti di materia oscura all’interno dell’ammasso della Chioma. Si tratta di un ammasso di galassie a 321 milioni di anni luce da qui, nella costellazione della Chioma di Berenice. Così facendo, hanno individuato le estremità terminali dei filamenti che “intrappolano” questo ammasso, estesi per milioni di anni luce e detti filamenti intracluster (ICF, Intra-Cluster Filaments).
Questa è la prima volta che i fili della rete cosmica che abbraccia l’intero Universo vengono rilevati direttamente. La scoperta fornisce così nuove prove osservative per testare le nostre teorie sull’evoluzione cosmica e sulla sua struttura su larga scala.
Perché proprio l’ammasso della Chioma?
L’ammasso della Chioma, o Abell 1656, è un grande ammasso contenente oltre 1000 galassie. Insieme all’ammasso del Leone, è uno dei due ammassi principali all’interno del superammasso della Chioma.
È uno degli ammassi di galassie più grandi e luminosi del cielo notturno, ed è quindi un oggetto celeste molto studiato dagli astronomi. Sia per comprendere l’evoluzione delle galassie, sia per per cercare deboli segni di materia oscura.
Questo è stato infatti uno dei primi luoghi in cui le anomalie gravitazionali osservate sono state considerate indicative di una massa composta da materia non barionica, cioè non ordinaria, perché non emetteva né rifletteva luce, cioè appariva invisibile. Nel 1933 Fritz Zwicky dimostrò che le galassie dell’ammasso della Chioma si muovevano troppo velocemente perché l’ammasso potesse essere tenuto insieme dalla materia visibile delle sue galassie. Sebbene l’idea della materia oscura non sarebbe stata accettata per altri cinquant’anni, Zwicky scrisse che le galassie devono essere tenute insieme da “dunkle Materie” (materia oscura).
A oggi, si ritiene che circa il 90% della massa dell’ammasso della Coma sia sotto forma di materia oscura. Per questo è stato scelto come target per lo studio con il Subaru Telescope, che fornisce la giusta combinazione di alta sensibilità, alta risoluzione e ampio campo visivo per rendere possibili queste osservazioni. Attraverso una solida analisi dei dati, il team di ricerca ha identificato i segmenti terminali dei filamenti invisibili di materia oscura attaccati all’ammasso della Chioma.
Le implicazioni di questa scoperta
Il modello cosmologico attualmente in uso prevede che gli ammassi di galassie crescano all’intersezione dei filamenti che strutturano la rete cosmica, e che si estendono per milioni di anni luce. Sebbene questa ipotesi sia supportata dalle osservazioni sperimentali della materia barionica, nessuno studio osservazionale finora aveva mai rilevato la componente di materia oscura dei filamenti intracluster.
Questo primo rilevamento degli ICF fornisce ora prove a sostegno del modello cosmologico, oltre a indicare ai ricercatori quali sono i metodi migliori per studiare e analizzare altri ammassi di galassie alla ricerca dei deboli segni dei filamenti.
Inoltre, dai risultati dello studio emerge che l’allineamento dei filamenti rilevati nell’ammasso della Chioma con i noti filamenti cosmici su larga scala già rivelati indirettamente e parte del superammasso della Chioma suggerisce un collegamento tra la struttura su larga scala dell’Universo e la formazione degli ammassi di galassie.
Nel complesso, quindi, i risultati di questo lavoro contribuiscono alla comprensione della rete cosmica e del ruolo della materia oscura nella formazione e nella crescita degli ammassi di galassie. Oltre ad aprire nuove possibilità per lo studio della distribuzione e delle proprietà della materia oscura nell’Universo.
Lo studio, pubblicato su Nature, è reperibile qui in versione pre-print.
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