Il 2023 è stato un anno davvero molto ricco, per quanto riguarda la ricerca scientifica in ambito astrofisico e cosmologico. A partire dalla nostra casa, il Sistema Solare, con pianeti, lune, asteroidi e comete, per poi spingersi più in là nella nostra Galassia, e oltre nelle altre galassie e ammassi che popolano l’Universo, fino ai suoi primordi, i telescopi a Terra e nello spazio e le sonde spaziali ci hanno consentito di affinare il nostro sguardo sui dettagli del cosmo che ci circonda. E di tentare di risolvere, almeno in parte, alcuni dei suoi misteri.
In attesa di un 2024 altrettanto entusiasmante, ora che la strumentazione sempre più avanzata che abbiamo a disposizione ci sta consentendo di sondare l’Universo come mai prima, abbiamo raccolto in questo articolo una “top 5” di scoperte che sono state particolarmente importanti per la ricerca scientifica nel corso dell’anno da poco concluso.
1. La prima prova dell’esistenza di un fondo stocastico di onde gravitazionali
Albert Einstein nel 1916 aveva ipotizzato l’esistenza delle onde gravitazionali, basate sulla sua teoria della Relatività Generale, suggerendo che eventi cosmici particolarmente energetici erano in grado di generare delle vere e proprie onde che si propagavano attraverso lo spaziotempo. Cento anni dopo, nel 2016, le collaborazioni LIGO e Virgo hanno annunciato la prima rilevazione diretta di onde gravitazionali, da una collisione tra buchi neri. Il 29 giugno 2023, la collaborazione NANOGrav (North American Nanohertz Observatory for Gravitational Waves) ha annunciato invece la scoperta del primo fondo stocastico di onde gravitazionali, utilizzando dati di 68 stelle pulsar raccolti in 15 anni.
Il fondo stocastico rappresenta un “mormorio” continuo proveniente da varie fonti cosmiche nell’Universo, un rumore di fondo che si differenzia dalle onde generate da eventi specifici come fusioni di buchi neri o esplosioni di supernove. Era stato teorizzato, ma mai trovato sperimentalmente, prima di questa ricerca.
Ricerca che è stata possibile grazie al metodo del Pulsar Timing Array (PTA). Questo metodo sfrutta le osservazioni precise delle stelle di tipo pulsar, che emettono impulsi regolari di onde radio, per individuare le deviazioni nei tempi di arrivo di tali segnali, causate dall’interazione con le onde gravitazionali che attraversano il cosmo.
Questa scoperta ha implicazioni significative. Innanzitutto conferma ancora una volta la teoria di Einstein. Inoltre, offre nuove opportunità per comprendere l’Universo primordiale, le sue dimensioni, la sua densità e le interazioni fondamentali. Individuare le sorgenti di queste onde potrebbe rivelare informazioni preziose sulla formazione delle galassie, la fusioni di buchi neri e stelle di neutroni, oltre a offrire nuove prospettive sulla gravità quantistica e sulla materia oscura. È un grande passo avanti nella comprensione dell’Universo, apre le porte a una nuova fisica e a una visione più approfondita dei suoi misteri.
La prima prova dell’esistenza di un fondo stocastico di onde gravitazionali: spiegata!
Riferimenti:
– The NANOGrav 15 yr Data Set: Evidence for a Gravitational-wave Background, G. Agazie et al. 2023
– The NANOGrav 15 yr Data Set: Observations and Timing of 68 Millisecond Pulsars, G. Agazie et al. 2023
– The NANOGrav 15 yr Data Set: Detector Characterization and Noise Budget, G. Agazie et al. 2023
– The NANOGrav 15 yr Data Set: Search for Signals from New Physics, A. Afzal et al. 2023
– The NANOGrav 15-year Data Set: Constraints on Supermassive Black Hole Binaries from the Gravitational Wave Background, G. Agazie et al. 2023
– The NANOGrav 15-year Data Set: Bayesian Limits on Gravitational Waves from Individual Supermassive Black Hole Binaries, G. Agazie et al. 2023
2. La prima prova che i buchi neri potrebbero essere la fonte dell’energia oscura
Un team internazionale di ricercatori ha identificato, tramite osservazioni, una possibile fonte di energia oscura: i buchi neri supermassicci. L’energia oscura rappresenta il 70% dell’Universo e guida la sua espansione accelerata, ma la sua origine è sempre stata, ed è ancora, un mistero.
Osservando buchi neri supermassicci in galassie antiche e dormienti, i ricercatori hanno notato che crescono da 7 a 20 volte più velocemente rispetto a nove miliardi di anni fa, un tasso di crescita inesplicabile fino ad ora. Questi risultati potrebbero offrire una prova che i buchi neri supermassicci siano collegati all’energia oscura e all’espansione dell’Universo.
In passato, infatti, la teoria dell’energia oscura era stata proposta per spiegare l’accelerazione dell’espansione cosmica. Tuttavia, la gravità dei buchi neri supermassicci sembrava contraddire questa teoria, poiché la loro enorme forza gravitazionale sembrava incompatibile con la presenza di energia oscura.
Lo studio, che coinvolge nove miliardi di anni di evoluzione dei buchi neri supermassicci, ha rivelato che la loro crescita e massa sono coerenti con l’energia del vuoto, suggerendo che potrebbero essere essi stessi una fonte di energia oscura, ed eliminando la necessità di singolarità al loro centro.
Questa scoperta potrebbe ridefinire la comprensione dei buchi neri e rivoluzionare la cosmologia, offrendo una possibile spiegazione all’origine dell’energia oscura, questione dibattuta per decenni tra fisici teorici e cosmologi. Se confermato, questo accoppiamento cosmologico potrebbe portare a un cambiamento significativo nella nostra comprensione dell’Universo.
La prima prova che i buchi neri potrebbero essere la fonte dell’energia oscura
Riferimenti:
– A Preferential Growth Channel for Supermassive Black Holes in Elliptical Galaxies at z ≲ 2, D. Farrah et al. 2023
– Observational Evidence for Cosmological Coupling of Black Holes and its Implications for an Astrophysical Source of Dark Energy, D. Farrah et al. 2023
3. Gli anelli di Saturno sono molto più giovani di quanto si pensasse
Uno studio condotto dal fisico Sascha Kempf dell’Università del Colorado ha dimostrato che gli anelli di Saturno sono incredibilmente giovani, con un’età stimata non superiore a 400 milioni di anni. Molto più recenti, quindi, rispetto al pianeta stesso, che ha circa 4.5 miliardi di anni.
La ricerca si è basata sull’analisi della polvere cosmica che viaggia nel Sistema Solare, proveniente da comete, pianeti, asteroidi, dalla fascia di Kuiper e dallo spazio interstellare. Si tratta di piccoli granelli di materiale roccioso che attraversano lo spazio, che hanno lentamente formato uno strato di polvere sugli anelli di Saturno, fornendo un indicatore dell’età degli stessi.
Utilizzando i dati registrati dallo strumento Cosmic Dust Analyzer a bordo della sonda Cassini della NASA tra il 2004 e il 2017, i ricercatori hanno studiato la deposizione della polvere cosmica sugli anelli. Dai dati raccolti su 163 granelli provenienti da oltre le immediate vicinanze del pianeta, è emerso che gli anelli hanno raccolto polvere solo negli ultimi poche centinaia di milioni di anni.
Questo implica che gli anelli di Saturno sono un fenomeno relativamente nuovo in termini cosmici, formatisi di recente e non contemporaneamente al pianeta stesso, come ipotizzato invece in precedenza. La loro composizione principalmente di ghiaccio d’acqua puro al 98% solleva domande sulla loro formazione, poiché questa composizione sembra a tutti gli effetti contraddire un’origine comune con Saturno.
Le prime osservazioni degli anelli di Saturno risalgono a Galileo Galilei nel 1610, ma la comprensione della loro natura è progredita nel tempo. Gli studi più recenti suggeriscono che gli anelli potrebbero scomparire completamente nei prossimi 100 milioni di anni, aggiungendo ulteriori domande sulla loro formazione e sulla loro breve durata cosmica.
Gli anelli di Saturno sono molto più giovani di quanto si pensasse
Riferimento:
Micrometeoroid infall onto Saturn’s rings constrains their age to no more than a few hundred million years, S. Kempf et al. 2023
4. Nei campioni dell’asteroide Ryugu c’è una molecola di RNA uracile
Un gruppo di ricercatori guidato dal professor Yasuhiro Oba dell’Università di Hokkaido ha analizzato campioni dell’asteroide Ryugu raccolti dalla sonda giapponese Hayabusa 2, e restituiti a Terra nel dicembre 2020. Ha così scoperto l’uracile, una delle componenti base dell’RNA, insieme all’acido nicotinico, vitamina B3 essenziale per il metabolismo. Questa scoperta è un importante indizio a sostegno della teoria della panspermia, che suggerisce che le prime molecole organiche per la vita sulla Terra siano giunte dallo spazio.
L’RNA, infatti, contiene informazioni vitali per la costruzione e il funzionamento degli organismi viventi. L’analisi dei campioni di Ryugu è stata cruciale, poiché il materiale raccolto dalla sonda è stato considerato il più incontaminato mai recuperato da un asteroide, escludendo così la possibilità di contaminazione terrestre.
Il team ha esaminato le particelle di Ryugu mediante cromatografia liquida accoppiata con spettrometria di massa ad alta risoluzione, rivelando la presenza di uracile e acido nicotinico, insieme ad altre molecole biologiche come amminoacidi, ammine e acidi carbossilici. I campioni provenienti da diverse aree di Ryugu hanno mostrato concentrazioni variabili, suggerendo differenze nell’esposizione a particelle energetiche come fotoni ultravioletti e raggi cosmici.
La panspermia ipotizza che microrganismi o molecole organiche necessari per la vita siano stati trasportati attraverso lo spazio e depositati sulla Terra, avviando così il processo evolutivo. Questa teoria suggerisce che corpi celesti come meteoriti, comete o asteroidi possano trasportare queste molecole. Sebbene la scoperta dei campioni di Ryugu supporti la panspermia, questa teoria non risponde all’origine ultima della vita, ma solleva l’idea che la vita possa avere avuto un’origine extraterrestre.
Nei campioni dell’asteroide Ryugu c’è una molecola di RNA uracile
Riferimenti:
– Uracil in the carbonaceous asteroid (162173) Ryugu, Y. Oba et al. 2023
– Abundant presolar grains and primordial organics preserved in carbon-rich exogenous clasts in asteroid Ryugu, A. N. Nguyen et al. 2023
5. Il lampo di raggi gamma più luminoso di tutti i tempi, e il fotone troppo energetico
Domenica 9 ottobre 2022 ha attraversato il Sistema Solare il lampo di raggi gamma (GRB, Gamma Ray Burst) più luminoso mai registrato, soprannominato per questo BOAT (Brightest of All Time).
Nel 2023, l’analisi dei dati registrati da diverse fonti come il telescopio spaziale FERMI della NASA, lo strumento russo Konus, la sonda NASA Wind e altri osservatori cinesi e spaziali hanno rivelato che il GRB BOAT era 70 volte più luminoso di qualsiasi altro evento simile.
La sua provenienza è stata stimata a circa 1.9 miliardi di anni luce, collocandolo tra i GRB di lunga durata, emittenti per più di due secondi. Gli scienziati credono che questi GRB siano collegati alla nascita dei buchi neri, formati dal collasso dei nuclei delle stelle massicce. Quando il buco nero assorbe rapidamente la materia circostante, emette getti di particelle ad altissima velocità, generando raggi X e raggi gamma.
La peculiarità di BOAT è che, nonostante la sua potenza, non è stata individuata alcuna supernova luminosa nelle settimane successive, come normalmente previsto da GRB di lunga durata. Questo potrebbe indicare un collasso diretto della stella in un buco nero, senza esplosione. Il problema è che l’espansione dei getti che fuoriescono dalla stella collassata produce un afterglow, un bagliore residuo a lunghezze d’onda diverse. Tuttavia, nell’afterglow di BOAT sono state rilevate discrepanze che sfidano i modelli convenzionali.
Inoltre, a rendere ancor più peculiare questo GRB è il fatto che tra i fotoni ad altissima energia provenienti da questo evento e intercettati dall’osservatorio cinese LHAASO (Large High Altitude Air Shower Observatory) ce n’era uno troppo energetico, con un’energia di ben 18 TeV (Tera elettronVolt). Si tratta del fotone con l’energia più alta mai registrata dalla radiazione proveniente da un GRB.
Per di più, secondo la fisica convenzionale, i fotoni di energia superiore a circa 10 TeV verrebbero completamente assorbiti. Considerando l’enorme distanza percorsa dal lampo gamma, i fotoni a energie più elevate in teoria non sarebbero mai stati in grado di giungere fino a noi.
Un team di ricerca guidato dall’INAF e dall’INFN ha ipotizzato che per aver raggiunto la Terra, questo fotone potrebbe essere trasformista, ovvero un fotone capace di cambiare natura, oscillando da uno stato all’altro mentre viaggia alla velocità della luce. Uno di questi stati sarebbe quello di fotone, l’altro quello delle ALP, Axion-Like Particles, ipotetiche particelle previste dalla teoria delle stringhe e candidate per costituire la materia oscura fredda.
Con il lampo di raggi gamma BOAT è arrivato a Terra un fotone troppo energetico
Riferimento:
Observability of the very-high-energy emission from GRB 221009A, G. Galanti et al. 2023