Negli scorsi mesi, Ingenuity ha largamente dimostrato che un drone può sopravvivere ed operare nell’ambiente marziano, permettendo architetture di missione inconcepibili fino a pochi anni fa. Non è un mistero che la NASA ritenga l’esplorazione aerea di altre lune e pianeti un obiettivo strategico per le missioni a partire da questo decennio. Basti pensare alla missione Dragonfly per l’esplorazione della luna saturniana Titano, approvata senza attendere i risultati della campagna di Ingenuity. Segno che l’agenzia spaziale americana ritiene di avere ormai il necessario know how in merito.
Un drone equipaggiato con strumenti scientifici rivoluzionerebbe la nostra conoscenza dei corpi dotati di atmosfera. Un veicolo del genere avrebbe accesso a siti di interesse scientifico su larga scala e potrebbe condurre esperimenti nelle immediate vicinanze dei luoghi visitati.
Inoltre, potrebbe fornire immagini preziose per la scelta di futuri siti di atterraggio. In base a ciò, la NASA ha presentato alla “Decadal Survey on Planetary Science and Astrobiology 2023-2032″ un white paper molto interessante. L’obiettivo è definire il perimetro delle operazioni scientifiche che un velivolo ad ala rotante potrebbe portare a termine con la rapidità e l’efficienza necessarie.
Due proposte per il prossimo elicottero marziano
Il documento propone due veicoli, con dimensioni e prestazioni differenti. Entrambi ricaricabili tramite energia solare, volerebbero al di sotto dei 5 kilometri di altitudine e comunicherebbero direttamente con gli orbiter marziani.
Per il sistema di navigazione si sfrutterebbe quanto già presente su Ingenuity, tecnologie basate sul visible imaging, potenziandole.
Sistemi di questo tipo sfruttano fotocamere che scattano in continuazione foto del terreno sorvolato. Un algoritmo, in tempo reale, confronta i fotogrammi per valutare come si sono spostati i punti notevoli del terreno, permettendo al drone di orientarsi e mantenere la rotta. Vediamo brevemente le caratteristiche tecniche dei due prototipi.
I punti di forza dei droni
Inizialmente appannaggio delle forze armate, negli ultimi anni i droni hanno avuto un enorme successo anche nel mercato civile, principalmente per la loro versatilità.
Proprio questa caratteristica li ha fatti entrare di diritto nei veicoli strategici di cui la NASA vuole dotarsi nei prossimi decenni.
I punti di forza di questi particolari veicoli, sul nostro pianeta come sugli altri corpi celesti dotati di atmosfera, si possono riassumere in:
- rapporto tra siti visitati nell’unità di tempo
- capacità di raggiungere e superare terreni accidentati
Si pensi che per visitare un sito distante 25 kilometri dal sito di atterraggio, un rover come Curiosity o Perseverance impiegherebbe anni. Un drone in grado di coprire anche solo 1 kilometro a volo – dunque di prestazioni inferiori rispetto alle due proposte NASA – potrebbe farcela in poche settimane. Un drone permette un raggio di ricerca scientifica dell’ordine di grandezza dei 100 kilometri.
Su Marte, ai due punti sopra se ne aggiunge un terzo. La possibilità di indagare una regione dell’atmosfera di cui sappiamo poco, per non dire nulla, compresa tra i 5 e i 10 kilometri di quota. Non è mai stata studiata attivamente e le uniche informazioni che possediamo provengono dalle telemetrie delle sonde in atterraggio. Un drone in grado di spingersi ad 1 o 2 kilometri di altitudine ci permetterebbe di raccogliere dati preziosissimi in merito alle dinamiche atmosferiche marziane.
Tre missioni
Insieme ai due prototipi, la NASA ha anche presentato tre “mission concepts”. Queste proposte di alto livello prevedono di analizzare gli obiettivi principali, gli strumenti scientifici necessari ed uno o più siti di potenziale interesse sul suolo marziano. Si tratta naturalmente di missioni volte a sfruttare appieno le capacità di un mezzo aereo.
Missione Astrobiologica
La prima missione ricalca in alcuni aspetti gli obiettivi di Perseverance. La proposta si prefigge di determinare se i composti organici siano associati a zone ricche di silicati o di argille e se gli antichi sedimenti contengano biofirme. Le biofirme sono sostanze o fenomeni che forniscono evidenze scientifiche di vita presente o passata. Usando le immagini satellitari come dato di partenza, il drone mapperebbe la geologia del terreno per identificare con precisione i siti di raccolta campioni. Il prototipo coassiale sarebbe il più indicato, equipaggiato con un braccio robotico dotato di microtrivella. Al suolo riceverebbe supporto da una stazione fissa o semovente del peso di circa 10 kilogrammi. Essa fungerebbe, tra le altre cose, da laboratorio analisi per i campioni.
Un sito particolarmente promettente per lo svolgimento di questa missione è la Mawrth Vallis. Si tratta di un canale di deflusso lungo oltre 600 kilometri, localizzato nell’Arabia Terra, ricco di fillosilicati depositati probabilmente oltre 3.5 miliardi di anni fa. Questi minerali destano particolare interesse, in quanto sulla Terra possono preservare materiale organico. Quanto finora rilevato dai passaggi orbitali indica che la zona è stata intensamente soggetta ad attività idrica sia superficiale (pozze e stagni) che sotterranea (sistemi idrotermali da impatto).
Missione Climatologica
Lo studio e la ricerca dei depositi di ghiaccio avrà un’importanza fondamentale per l’esplorazione umana di Marte. Tali depositi si trovano prevalentemente alle medie ed alte latitudine, preferibilmente lungo le scarpate rivolte verso il polo del rispettivo emisfero. Le scarpate sono generalmente inclinate di 45°, il che aiuta a preservare i depositi, spessi svariate decine di metri. Una zona particolarmente indicata è il Cratere Milankovic, di circa 75 kilometri di diametro.
Adatto alla missione sarebbe l’esacottero. Le sue indagini riguarderebbero lo studio dei depositi di ghiaccio e la loro interazione con l’atmosfera marziana. Oltre alle ovvie implicazioni per le missioni umane, potrebbero giungere preziose informazioni sulle passate ere glaciali marziane. I dati raccolti sarebbero relativi al cambiamento stagionale della forma e dello spessore delle scarpate, con i relativi cicli di variazione di temperatura, umidità e velocità del vento. Parametri atmosferici fortemente dipendenti dallo scambio di vapore acqueo con il suolo.
Missione Geologica
Nonostante non si possa dire che Marte possieda un campo magnetico strutturato, a differenza della Terra, è noto che alcune zone del Pianeta Rosso presentino un’attività magnetica residua e rilevabile. Essa è più importante in tutto l’emisfero australe marziano, che espone le rocce più antiche.
Per studiare a bassa scala spaziale il campo magnetico del Lucus Planum, si potrebbe impiegare un esacottero. Ciò potrebbe fare luce sul cosiddetto periodo di fine-dinamo, quando il campo magnetico planetario di Marte ha perso definitivamente vigore. Recenti studi hanno posizionato l’evento a 3.7 miliardi di anni fa, svariate centinaia di milioni di anni più tardi rispetto a quanto si riteneva in precedenza.
Il carico scientifico sarebbe ridotto al minimo, per garantire la maggior autonomia possibile. Le indagini si svolgerebbero lungo centinaia di kilometri durante voli a meno di un kilometro di quota.
Vedremo mai queste missioni diventare realtà?
Nonostante non vi sia certezza che una o più di queste missioni verranno effettivamente finanziate ed organizzate, va senz’altro notata l’impronta rivoluzionaria di queste proposte. La NASA dimostra infatti di credere profondamente nella versatilità dei droni, cosa già dimostrata con l’approvazione della missione Dragonfly. Peraltro, è degna di nota l’estrema variabilità delle tre missioni proposte, con obiettivi estremamente diversi da loro, a riprova del fatto che questi veicoli possono trovare applicazione in numerosissimi campi.
Non è da escludersi che uno dei due prototipi – presumibilmente il coassiale – possa trovare posto come carico secondario delle prossime missioni verso il Pianeta Rosso. Qualcosa di molto simile a quanto avvenuto con Perseverance ed Ingenuity. Altra scelta che la NASA potrebbe fare è di mandare più esemplari dello stesso drone, magari equipaggiati con strumenti scientifici diversi tra loro. Il ridotto peso ed ingombro della soluzione coassiale potrebbe giustificare un’architettura di questo tipo. Perché anche solo una parte di tutto ciò diventi realtà, la ricerca avrà un ruolo fondamentale. Batterie, rotori, pannelli solari e sistemi di comunicazione sono al momento troppo pesanti e dispendiosi per soluzioni aeree.
Nel caso in cui si optasse per un rover/lander di supporto al suolo, ad esso potrebbero essere demandati i compiti di ricarica delle batterie e di sostituzione dei payload. Si pensa infatti di montare a bordo del drone uno strumento per volta, specifico per il tipo di volo da compiere. Una soluzione ingegnosa, che permetterebbe di alleggerire il veicolo aereo. Parecchi grattacapi, se questa architettura di missione fosse approvata, li darebbe il sistema di aggancio drone-lander. Sarebbe infatti un elemento critico per la buona riuscita della missione.
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