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Se lo spazio è di tutti, di chi sono le risorse?

Per Washington lo spazio non è più un bene comune, Pechino apre a cooperazione, Bruxelles latita.

Gabriel Lazazzara di Gabriel Lazazzara
Maggio 4, 2020
in Agenzie Spaziali, Approfondimento, Esplorazione spaziale, Space economy
Image Credit: M-SUR / Shutterstock.com

Image Credit: M-SUR / Shutterstock.com

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Tutt’altro che un fulmine a ciel sereno, l’amministrazione Trump non ha mai nascosto l’interesse verso una politica spaziale decisa e giocata da protagonisti. L’ordine esecutivo dello scorso 6 aprile ha definitivamente chiarito la posizione favorevole degli Stati Uniti riguardo l’estrazione e l’utilizzo delle risorse presenti nello spazio. La motivazione è lampante se si guardano i numeri. L’estrazione di risorse dai corpi celesti del nostro sistema solare, lo space mining, è considerata da molti analisti una delle attività spaziali col maggiore potenziale di profitto. La NASA stima che il valore totale degli asteroidi a nostra portata si aggiri intorno ai 700 quintiliardi di dollari, l’equivalente di circa 95 miliardi di dollari a persona.

Questo, senza contare l’enorme impatto positivo sui costi dell’esplorazione spaziale dovuto all’utilizzo dei materiali necessari direttamente “in loco”. La Luna, Marte e gli asteroidi abbondano di minerali preziosi difficilmente reperibili qui sulla Terra. Tra questi ci sono il litio, il cobalto, il nichel, l’oro e molti altri. 

Per questa ragione si sta facendo sempre più reale la possibilità di un superamento dell’articolo 2 del Trattato sullo Spazio del 1967.

Un passo indietro

Il 27 gennaio 1967, in piena guerra fredda, il futuro trattato cardine delle attività spaziali viene aperto alle sottoscrizioni dai tre governi depositari: Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica. Ufficialmente denominato “Trattato sui principi che governano le attività degli Stati in materia di esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra-atmosferico compresa la Luna e gli altri corpi celesti”, è più conosciuto agli addetti ai lavori per il suo acronimo inglese OST (Outer Space Treaty). Entrato in vigore nell’ottobre dello stesso anno, rimane il fondamento giuridico di base del diritto internazionale aerospaziale tutt’oggi. 

All’articolo 1 dello stesso si fa espressamente riferimento alla possibilità d’uso della Luna e degli altri corpi celesti solamente nel caso in cui sia a beneficio di tutte le nazioni, e conseguentemente dell’umanità intera. Precisa poi che tali corpi celesti devono rimanere a disposizione dell’esplorazione senza discriminazioni di sorta e devono essere teatro di cooperazione internazionale. Se ciò non bastasse, nell’articolo seguente del trattato si cita espressamente il termine ‘sovranità’ come qualcosa di non estendibile nello spazio esterno, facendo così cadere ogni tentativo di appropriazione di corpi celesti per qualsivoglia fine.

Tutto ciò accadeva due anni prima che Neil Armstrong mettesse piede sulla Luna. Nel 1979 fu proposto il cosiddetto ‘Moon Agreement’ come estensione del precedente trattato al fine di regolare la condotta delle nazioni nella futura esplorazione spaziale. Sfortunatamente non ebbe successo, nessuna grande potenza lo ratificò. Questo lasciò la situazione in sospeso fino ad oggi, mantenendo aperta una questione fondamentale, il divieto di appropriazione della Luna nega anche lo sfruttamento delle risorse presenti sulla stessa?

Outer Space Treaty
La firma dell’Outer Space Treaty alle Nazioni Unite nel 1967

La situazione attuale

Come in tutti gli altri casi, dove in un trattato è carente una definizione specifica, i paesi trovano singolarmente l’interpretazione che preferiscono. Le conseguenze sono poi sotto gli occhi di tutti. Le discussioni in merito all’uso delle risorse spaziali avvengono al COPUOS, ovvero il comitato delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio. In particolare, un ruolo cruciale è giocato dal sottocomitato legale del COPUOS. Ora un nuovo trattato sullo spazio è un’opzione sul tavolo ma non è detto sia quella più indicata e profittevole per tutte le nazioni. L’estrazione di risorse nello spazio è ancora un settore agli albori.

Prova ne è che anche le compagnie che si stanno impegnando maggiormente in tal senso sono solamente alle prime fasi dei loro pluridecennali piani di sviluppo. In altre parole non sarebbe una mossa saggia limitare lo space mining con un trattato a riguardo prima ancora di aver minato il primo asteroide. In aggiunta, esistono strumenti differenti dal trattato che potrebbero rivelarsi utili, come per esempio gli accordi bilaterali, o ‘minilaterali’ (tra un piccolo numero di stati), insieme alla più classica legge di derivazione nazionale. 

Accordi bilaterali o globali?

Ogni approccio ha i suoi pro ed i suoi contro. Sicuramente un accordo trovato in sede COPUOS avrebbe una legittimazione maggiore e permetterebbe una più rapida armonizzazione della regolamentazione in materia a livello globale. I trattati sono tutto fuorché flessibili, sono pensati per durare. In un momento storico come quello che stiamo vivendo dove la tecnologia doppia facilmente la velocità di adattamento delle istituzioni e dei regolamenti, si potrebbe produrre una forte tensione che porterebbe ad un’altra impasse, spostando il problema invece di risolverlo.

Analogamente, un approccio puramente su base nazionale sarebbe molto più rapido ma butterebbe il germoglio per una frammentazione endemica del diritto internazionale. Questo approccio porterebbe semplicemente gli attori privati a spostarsi di paese in paese verso una legislazione più morbida, aumentando solamente la competizione tra paesi a discapito del sistema. La via di mezzo potrebbe quindi produrre i maggiori benefici. Le nazioni più avanti nel settore si impegnano a seguire dei protocolli comuni che successivamente porranno le basi per una evoluzione in trattati nel momento in cui l’economia dello spazio vivrà la sua fase adulta.

Altro fattore chiave per comprendere l’evoluzione del diritto delle risorse spaziali sarà il principio di sussidiarietà. Tale principio – ovvero la ricerca di maggiore efficienza ed efficacia attribuendo il ruolo di decisore al più basso livello organizzativo possibile – probabilmente porterà le grandi potenze ad identificare interessi simili e a cooperare in tal senso, avvalorando ulteriormente la soluzione ‘minilaterale’. 

Ora che le opzioni future di risoluzione sono sul tavolo, passiamo in rassegna la situazione delle potenze dello spazio e come si sono attrezzate per gestire la tematica dell’appropriazione delle risorse nello spazio.

Qui Washington

Al titolo quarto di un atto emanato nel 2015 dalla Casa Bianca, denominato “U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act”,  si trattano l’esplorazione a fini commerciali e i diritti riguardanti le risorse presenti sugli asteroidi. Il governo americano si impegna quindi a facilitare tale pratiche. Lo fa favorendo lo sviluppo di modelli di business sostenibili e riconoscendo la proprietà di tali risorse se venissero rivendicate successivamente alla loro estrazione. Va chiarito che non permette la proprietà di asteroidi o alcun tipo di altro corpo celeste, ma solamente delle risorse che verrebbero eventualmente estratte. Successivamente, l’amministrazione Trump attraverso le ultime quattro direttive sulla politica spaziale ha confermato la linea operativa.

Nel giro di tre anni si è passati da misure per l’apertura a partnership pubblico-private nelle missioni verso la Luna e Marte, contenute nella prima direttiva (Space Policy Directive-1 del dicembre 2017), alla creazione della Space Force con la quarta ed ultima direttiva risalente al febbraio 2019. Space Force ritenuta fondamentale al fine di difendere gli interessi del governo e dei cittadini degli Stati Uniti in questo ‘nuovo’ dominio. Ciliegina sulla torta, il 6 aprile il Presidente Trump ha sottoscritto l’ordine esecutivo per incoraggiare il supporto internazionale nell’utilizzo delle risorse spaziali (“Executive Order on Encouraging International Support for the Recovery and Use of Space Resources”, EO 13914). In tale documento la Casa Bianca chiarisce una volta per tutte la sua linea di interpretazione dei trattati internazionali:

“Outer space is a legally and physically unique domain of human activity, and the United States does not view it as a global commons.”

“Lo spazio è sia a livello legale che fisico un dominio unico dell’attività umana, e gli Stati Uniti non lo intendono come un bene comune.”

La direzione è molto chiara. L’appropriazione delle risorse è consentita e questo diritto dei cittadini americani se necessario verrà difeso dalla Space Force. Ma la cosa ancora più importante dell’ordine esecutivo è che Washington apre alla cooperazione bilaterale/minilaterale per superare la stagnazione in cui versa il diritto internazionale in materia.

Gli Stati Uniti procedono spediti, gli altri cosa fanno?

Il Lussemburgo è il paese europeo e membro dell’ESA con il diritto più sviluppato in tal senso. Il Ducato si è dotato già dal 2017 di un ecosistema di enti e provvedimenti che gli permetteranno di giocare un ruolo chiave nel panorama dello space mining nei prossimi decenni. In quell’anno infatti viene promulgata la legge sull’esplorazione spaziale e sull’uso delle risorse dello spazio. In 18 semplici articoli si gettano le basi per quello che diventerà un modello di riferimento per altri paesi negli anni successivi. All’articolo 1:

“Viene riconosciuta la capacità delle risorse spaziali di poter essere possedute” 

I restanti 17 articoli sono una logica conseguenza. C’è l’istituzione di un ente certificatore e di un pagamento di una tassa al Ducato per il permesso all’appropriazione di tali risorse. 

Fin da subito ha suscitato un grande interesse nel settore, provvedendo nel giro di poco a garantire nuovi accordi internazionali al Ducato. Dal Portogallo agli Emirati Arabi Uniti, passando per un accordo quinquennale con il Giappone e senza mai dimenticare il Memorandum of Understanding con gli Stati Uniti, pensato al fine di armonizzare i due approcci.  

Chang'e_5
Descrizione della missione Chang’e 5 che quest’anno arriverà sulla Luna e riporterà a Terra un campione di roccia lunare. Credits: The Planetary Society.

La Cina

Dopo un lungo silenzio, anche la Cina si è esposta. In una fase iniziale, la posizione tenuta in sede COPUOS era molto critica verso la legittimità del diritto americano in materia. Recentemente c’è stato però un cambio di direzione, aprendo all’utilizzo di tali risorse. Il regime ha espresso la forte volontà di discutere della governance delle risorse spaziali, divenendo così un alleato situazionale degli Stati Uniti. Già nel 2018, infatti, ha sottoscritto un accordo di cooperazione sul tema con il governo del Lussemburgo. Parallelamente ha visto crescere lo sforzo economico che sta mettendo in atto per affermarsi come superpotenza nel settore.

E’ ancora lontana la possibilità di una cooperazione su larga scala tra Cina e Stati Uniti. Questo interesse comune per le risorse dello spazio permette però di superare le recenti frizioni date dalla guerra commerciale tra le due potenze. Pechino quindi si è resa disponibile a questo nuovo approccio, più pragmatico, per la creazione di una governance che garantisca a tutte le parti legittimità, trasparenza e beneficio economico.

Il medio Oriente

Spostandosi infine in Medio Oriente, gli Emirati Arabi Uniti hanno grandi piani per il loro settore spaziale. Il paese arabo può contare su una delle più giovani e più dinamiche agenzie spaziali. La UAE Space Agency ha solamente sei anni ma annovera già numerose collaborazioni a livello internazionale e si è posta l’ambizioso obiettivo di diventare un punto di riferimento globale per l’esplorazione spaziale. Nonostante non sia ancora passata una legge ad hoc, già nel settembre 2016 gli Emirati hanno prodotto un documento organico per lo sviluppo di una politica spaziale. In questo documento si fa già chiaramente riferimento allo sviluppo di tecnologie per l’estrazione e l’utilizzo di risorse minerarie nello spazio. Certo è che non si faranno da parte nel profittevole futuro business dello space mining, attraendo nuove venture e startup con meccanismi fiscali molto favorevoli.

E la società civile?

La lista però non si ferma agli stati; industrie, accademici e società civile hanno tentato a loro volta degli approcci innovativi per promuovere una legislazione in merito. L’esempio più lampante è il lavoro del Hague International Space Resources Governance Working Group. Questo gruppo è composto da più di 30 tra industriali, membri del governo, e ricercatori. Quello che li accomuna è l’obiettivo della creazione di un framework globalmente riconosciuto che possa permettere lo sviluppo di una fiorente economia delle risorse spaziali.

A tal proposito nel novembre dello scorso anno è uscito un articolo che riassumeva 20 principi e requisiti basilari. Da cui si partirebbe per l’istituzione di un framework internazionale libero da pregiudizi di parte e in accordo con i precedenti trattati internazionali. Rimane improbabile una implementazione per intero dei 20 principi stilati in un documento unico. La probabilità però che gli stessi siano implementati in una combinazione di documenti successivi come linee guida, accordi multilaterali/bilaterali, legge nazionale, è invece molto alta.

Concludendo, nessuna nazione, per quanto grande e autonoma, sarà in grado di regolamentare lo space mining senza qualche accordo che ne riconosca mutualmente il diritto e la proprietà. Gli Stati Uniti con l’ordine esecutivo di inizio aprile si sono esposti in maniera chiara per la ricerca di partner internazionali al fine di creare tale meccanismo il prima possibile. Certo è che la governance delle risorse spaziali sarà sicuramente un tema che ci accompagnerà nei prossimi decenni. Rimarrà di fondamentale importanza la trattazione dell’argomento in tutte le sedi per far si che non si finisca con la creazione di un meccanismo che dilati ancor di più le differenze di distribuzione di ricchezza tra paesi. 

Tags: Diritto spazialeminiere spazialiRisorse spazialiSpace EconomySpace minimg

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