I brillamenti solari sono enormi esplosioni di materia che erutta dalla fotosfera solare. Questo tipo di fenomeno si verifica quando l’energia immagazzinata nei campi magnetici viene improvvisamente rilasciata. A seconda di come questo avviene, avremo brillamenti solari di diverso tipo.
Un recente studio dell’Università del Colorado Boulder suggerisce che i brillamenti solari “confinati” siano più efficienti nel riscaldare il plasma e nel produrre radiazioni ionizzanti, rispetto ai brillamenti solari di tipo “eruttivo”. Finora molti studi hanno confrontato le proprietà magnetiche dei brillamenti solari confinati ed eruttivi, ma pochi hanno considerato anche le proprietà termodinamiche delle due tipologie di eruzioni solari.
Maria Kazachenko, professoressa al Dipartimento di Scienze Astrofisiche e Planetarie della CU Boulder, è una delle poche ad aver esplorato questo argomento. Recentemente ha condotto uno studio in cui analizza le proprietà termodinamiche e magnetiche di centinaia di brillamenti solari.

I brillamenti solari e la riconnessione magnetica
I brillamenti solari sono causati dai campi magnetici del Sole, tipicamente più intensi in prossimità delle macchie solari. Quando i campi magnetici iniziano a torcersi e ad aggrovigliarsi, viene immagazzinata un’enorme quantità di energia. Kazachenko spiega: “Bisognerebbe immaginare i campi magnetici come un elastico che si tende e si deforma. Ad un certo punto, quando si spezza, viene rilasciata dell’energia”.
Proprio come per un elastico che si spezza, un’enorme quantità di energia viene rilasciata durante un processo noto come riconnessione magnetica. La riconnessione magnetica avviene quando due linee di campo dirette in modo opposto vengono spinte l’una contro l’altra.
In questo modo i campi magnetici cambiano improvvisamente la loro configurazione, e l’energia magnetica viene convertita in energia cinetica ed energia termica. Questa energia viene ceduta alle particelle cariche che compongono il plasma, accelerandole e aumentandone la temperatura.
Nel seguente video è possibile osservare l’evoluzione della riconnessione magnetica nel corso di un brillamento solare. Credits: Chunming Zhu, Rui Liu, David Alexander e R. T. James McAteer.
Brillamenti confinati o eruttivi?
Alcuni brillamenti solari sono associati alle Coronal Mass Ejections (CME, espulsioni di massa coronale), eventi in cui il plasma viene espulso dall’atmosfera solare nello spazio. Altri, invece, sembrano avere un comportamento differente. In particolar modo:
- Se un brillamento solare è associato a un’espulsione di massa coronale, è considerato eruttivo.
- Se non è associato a una CME, è considerato confinato.
Come suggerisce il nome, nei brillamenti confinati il plasma non è in grado di sfuggire all’atmosfera solare. Uno dei motivi per cui questo avviene è legato a particolari strutture del campo magnetico a forma di arco, in grado di intrappolare il plasma che in questo modo non può più lasciare la corona solare.
Secondo Kazachenko, questo spiega perché i brillamenti confinati da lei studiati avevano temperature più elevate rispetto ai brillamenti eruttivi, nonostante l’emissione totale di raggi X era la stessa.
Nei brillamenti confinati, i movimenti del plasma avvengono più in basso nella corona solare per via di forti archi magnetici, che non permettono alle particelle cariche di innalzarsi. Tassi di riconnessione magnetica elevati portano ad accelerare maggiormente il plasma. Grandi brillamenti confinati, quindi, potrebbero essere più efficienti nel produrre radiazioni ionizzanti rispetto ai brillamenti eruttivi.
Questo non vuol dire che venga rilasciata più energia durante un brillamento confinato. Piuttosto, poiché l’energia viene rilasciata più rapidamente nei brillamenti confinati, questi possono accelerare ioni ed elettroni del plasma solare in modo più efficiente.
Le conseguenze sulla meteorologia spaziale
Quando si parla di meteorologia spaziale, le espulsioni di massa coronale ricevono la massima attenzione. Questo per una buona ragione: sebbene sia raro che le CME raggiungano la Terra, quando lo fanno le conseguenze possono essere disastrose.
Nel peggiore dei casi, una tempesta geomagnetica potrebbe danneggiare o distruggere le apparecchiature di trasmissione elettrica, provocando blackout su larga scala. Inoltre, un evento di questo tipo interromperebbe alcuni tipi di comunicazioni, danneggerebbe l’hardware satellitare ed esporrebbe gli astronauti e le persone a bordo di aerei a dosi potenzialmente dannose di radiazioni.

Ricerche come quella di Kazachenko sono fondamentali per comprendere il funzionamento dei brillamenti solari. Grazie a questi studi, un giorno, gli scienziati potrebbero essere in grado di prevedere in modo accurato quando si verificheranno tempeste solari, riuscendo da adottare misure preventive e limitare i danni.
Le conoscenze attuali suggeriscono che i brillamenti confinati potrebbero svolgere un ruolo importante anche nello studio degli esopianeti. Quando si cercano esopianeti con possibili forme di vita è importante studiare la quantità di radiazioni che viene emessa dalla stella che li ospita. Per questo motivo, lo studio dei brillamenti confinati potrebbe determinare se alcuni degli esopianeti che conosciamo sono abitabili oppure no.
Ricerche future
In futuro ci sarà ancora molto lavoro da fare per riuscire a comprendere a pieno i brillamenti solari confinati. Lo studio di Maria Kazachenko spiega come nei brillamenti confinati le particelle cariche vengono accelerate molto più rapidamente rispetto a quelli con espulsione di massa.
Per riuscire a comprendere fino in fondo questo fenomeno ancora poco conosciuto, però, sarà necessario studiare a fondo il comportamento delle particelle cariche durante e dopo il brillamento.
Kazachenko infatti spiega: “Bisognerebbe effettuare uno studio statistico per confrontare il comportamento del plasma in entrambe le tipologie di brillamenti. Non siamo in grado di comprendere a fondo questo fenomeno studiando un singolo evento, ma beneficiando delle straordinarie e numerose osservazioni fornite dai diversi satelliti che orbitano il sole, potremo scoprire importanti informazioni sulla nostra stella”.
L’articolo scientifico, pubblicato su The Astrophysical Journal, è reperibile qui.