Nel 2008, il telescopio spaziale Spitzer della NASA ha osservato la stella SZ Chamaeleontis (SZ Cha), a circa 700 anni luce dalla Terra. Si tratta di una stella giovane, di tipo T-Tauri, molto simile a come doveva apparire il Sole 4.5 miliardi di anni fa mentre si stava ancora formando.
Attorno a SZ Cha orbita un disco di gas e polveri, il cosiddetto disco protoplanetario, nel quale possono nascere futuri pianeti. Proprio qui, Spitzer aveva rilevato la presenza di gas neon, in una quantità mai vista prima attorno a stelle T-Tauri: dai risultati di quella missione sembrava che il disco fosse dominato da radiazione nel lontano ultravioletto (EUV, Extreme UltraViolet).
Ora, il James Webb Space Telescope ha tracciato a sua volta il gas neon, suggerendo però che il giovane disco di formazione planetaria sia dominato dalla radiazione X: una condizione tipica, in questa fase di vita di una stella simile al Sole.
Queste differenze di lettura tra i due telescopi sono significative, perché i pianeti avrebbero più tempo per formarsi in un disco dominato da EUV. Gli astronomi stanno quindi indagando sulla causa della differenza, e pensano che possa essere dovuta alla presenza (o meno) di un forte vento che, quando attivo, assorbe l’EUV, lasciando che i raggi X colpiscano il disco.
I vecchi dati di Spitzer
Gli scienziati usano il gas neon come indicatore di quanta e quale tipo di radiazione colpisce ed erode il disco attorno a una stella. Quando Spitzer osservò SZ Cha nel 2008, vide un valore anomalo, con letture di neon diverse da qualsiasi altro giovane disco di T-Tauri.
La differenza è stata la rilevazione del neon III , che in genere è scarso nei dischi protoplanetari colpiti da raggi X ad alta energia. Ciò significava che la radiazione ad alta energia nel disco SZ Cha proveniva dalla luce ultravioletta, anziché dai raggi X.
Oltre ad essere l’unico risultato anomalo in un campione di 50-60 dischi stellari giovani osservati e studiati da Spitzer, la differenza tra raggi UV e raggi X era molto significativa: aveva implicazioni sulla durata del disco e sulla nascita dei suoi potenziali pianeti. Thanawuth Thanathibodee, ricercatore della Boston University e parte del team che ha studiato i nuovi dati di Webb, ha spiegato:
I pianeti sono essenzialmente in una corsa contro il tempo per formarsi nel disco prima che evapori. Nei modelli computerizzati dei sistemi in via di sviluppo, la radiazione ultravioletta estrema consente 1 milione di anni in più di formazione dei pianeti rispetto a quando l’evaporazione sia causata prevalentemente dai raggi X.
I nuovi dati di Webb, e la sorpresa
Quindi, SZ Cha era già un vero enigma anche prima del nuovo studio con il James Webb. Che ha mostrato un’ulteriore stranezza: l’insolita firma del neon III era quasi scomparsa, indicando la tipica dominanza della radiazione X.
Il team di ricerca che si è occupato dell’analisi di dati di Webb ritiene che le differenze nelle tracce dei neon nel sistema SZ Cha siano il risultato di un vento variabile che, quando presente, assorbe la luce UV e lascia che i raggi X colpiscano il disco. I venti sono comuni in un sistema con una stella energetica appena formata, ma è possibile anche osservare il sistema durante un periodo tranquillo e senza vento, che sarebbe quanto successo con le osservazioni di Spitzer.
Studi a più lunghezze d’onda
A distanza di soli 15 anni, due diverse missioni hanno evidenziato un cambiamento significativo all’interno del disco protoplanetario di SZ Cha. Disco che, ricordiamo, è molto simile a come doveva apparire quello da cui si è formato il nostro Sistema Solare, nella fase primordiale di vita del nostro Sole.
Le differenze nelle letture del neon tra Spitzer e Webb indicano un cambiamento mai osservato prima nella radiazione ad alta energia che raggiunge il disco, che alla fine lo fa evaporare, limitando il tempo necessario ai pianeti per formarsi. Sarà molto importante approfondirne l’analisi, così come quella di altri sistemi giovani, in più lunghezze d’onda della luce, come i raggi X e la luce visibile, per confermare la natura di questa variabilità.
Lo studio, accettato per la pubblicazione su Astrophysical Journal Letters, è reperibile qui.
Astrospace.it è un progetto di divulgazione scientifica portato avanti da un gruppo di giovani fisici e ingegneri con una passione comune per lo spazio. Se ti piace quello che stai leggendo, puoi contribuire alla crescita della piattaforma attraverso il nostro abbonamento. Ai nostri abbonati riserviamo contenuti esclusivi e sempre in aggiornamento.