La ricerca di pianeti in orbita attorno a stelle diverse dal nostro Sole ha radici profonde nella storia dell’astronomia. Sin dall’antichità pensatori, filosofi e ricercatori si sono interrogati sull’esistenza di altri mondi simili alla Terra nell’Universo.
Nel 1584, l’astronomo italiano Giordano Bruno fu uno dei primi a suggerire che le stelle potessero ospitare sistemi planetari simili al nostro. Tuttavia, la mancanza di strumenti di osservazione avanzati ha impedito qualsiasi conferma di queste teorie per molti secoli.
Il vero progresso nella ricerca di esopianeti è iniziato negli anni ’90 con lo sviluppo di tecniche di rilevamento più avanzate. Nel 1992, gli astronomi Aleksander Wolszczan e Dale Frail annunciarono di aver rilevato i primi due esopianeti in orbita attorno a una pulsar. Scoperta che, però, fu messa in dubbio da molti altri scienziati e divenne quindi oggetto di un acceso dibattito.
Solo il 6 ottobre 1995, gli astronomi Michel Mayor e Didier Queloz avrebbero effettivamente confermato la scoperta del primo esopianeta orbitante attorno a una stella simile al Sole, 51 Pegasi b. Una scoperta che ha aperto la strada a una vera e propria caccia a pianeti in altri sistemi planetari, che ora ammonta a migliaia di candidati e almeno 5000 confermati, dimostrando l’abbondanza e la diversità di mondi al di fuori del nostro Sistema Solare.
La scoperta di Mayor e Queloz
La scoperta rivoluzionaria di 51 Pegasi b, comunemente noto come 51 Peg b, ha segnato una pietra miliare nella ricerca di esopianeti. Ma anche, e soprattutto, ha aperto nuovi orizzonti all’astronomia e consolidato il pensiero che lì fuori, da qualche parte, potrebbe esserci vita come sulla nostra Terra.
L’osservazione è stata effettuata attraverso il metodo della velocità radiale, che consiste nell’osservare le piccole variazioni nella velocità di una stella causate dalla gravità del pianeta in orbita attorno a essa. Utilizzando lo spettrografo ELODIE presso l’Osservatorio di Haute-Provence in Francia, Mayor e Queloz hanno osservato piccole oscillazioni periodiche nella velocità della stella 51 Pegasi, a circa 50 anni luce dalla Terra nella costellazione di Pegaso. Quelle oscillazioni suggerivano l’esistenza di un corpo massiccio in orbita attorno ad essa.
51 Peg b è un gigante gassoso con una massa approssimativamente circa la metà di Giove, ma la sua orbita è incredibilmente vicina alla sua stella, con un periodo orbitale di soli 4.2 giorni terrestri. Questa vicinanza estrema ha portato a temperature superficiali molto elevate, sfidando le concezioni tradizionali delle zone abitabili.
La scoperta di 51 Peg b, oltre ad aver dimostrato che i pianeti extrasolari non sono solo una teoria, ha anche suggerito che esistono variazioni significative nella composizione e nella distribuzione dei pianeti all’interno delle diverse stelle. E che le condizioni orbitali possono variare notevolmente, da un caso all’altro.
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Le conferme
La conferma della scoperta avvenne attraverso una serie di osservazioni e analisi approfondite, condotte da vari team indipendenti. Per garantire la validità scientifica dell’annuncio di Mayor e Queloz, infatti, era essenziale ottenere prove aggiuntive e indipendenti.
Il primo passo fu ripetere le osservazioni originali. Altri osservatori e telescopi indipendenti, in diverse parti del mondo, iniziarono a monitorare la stella 51 Pegasi per registrare le variazioni nella sua velocità radiale. Successivamente, gli astronomi cercarono di ottenere le stesse curve di velocità radiale che Mayor e Queloz avevano osservato per 51 Pegasi. E di analizzarle, per determinare se mostrassero un modello periodico coerente con l’orbita di un pianeta.
Era necessario anche escludere possibili errori sistemici nelle osservazioni, come effetti atmosferici o problemi strumentali. Questi errori dovevano essere attentamente considerati e corretti per garantire la precisione delle misurazioni.
I dati raccolti da diversi team di ricerca indipendenti concordarono nella rilevazione delle variazioni periodiche nella velocità radiale della stella 51 Pegasi. Le prove multiple e convergenti fornirono quindi una base solida per l’accettazione della scoperta da parte della comunità scientifica, che valse il premio Nobel per la Fisica a Mayor e Queloz nel 2019.