In questo terzo articolo dedicato ad approfondire il sistema di protezione termica (TPS o Thermal Protection System in inglese) analizzeremo i sistemi di protezione attivi. Cliccando qui si può leggere il precedente articolo della guida completa ai sistemi di protezione termica dei veicoli spaziali.
Nei sistemi attivi la rimozione del calore avviene in maniera attiva tramite un fluido refrigerante. In generale, questi sistemi non trovano, o non hanno ancora trovato, un impiego consistente nell’ambito del TPS. Esistono tre tipi di sistemi attivi: Convective cooling, Film cooling e Transpiration cooling.
Convective cooling
Questo metodo consiste nel pompare il refrigerante dal lato interno della superficie interessata dai forti flussi di calore. Il convective cooling è stato usato in ambito spaziale, ma non per il TPS. Ad esempio, nei propulsori spaziali, come i motori dello Space Shuttle o il Raptor di SpaceX, si invia parte del combustibile (idrogeno liquido o metano liquido) a raffreddare le componenti strutturali del motore stesso.
In questo modo si ottiene anche il vantaggio di riscaldare il combustibile prima che entri nella camera di combustione, migliorando l’efficienza della combustione. Questo processo si chiama quindi “Regenerative cooling”. Come protezione durante le fasi di rientro, invece, l’uso del convective cooling imporrebbe un aggravio di peso eccessivo, dal momento che il refrigerante dovrebbe essere per prima cosa portato in orbita limitando di fatto il payload utile.
Film cooling
In questo caso l’idea è quella di rilasciare del fluido refrigerante sulla superficie da raffreddare attraverso delle apposite aperture. Questo permette di creare uno strato protettivo che separi la superficie del veicolo dal flusso di aria compressa ad alta temperatura. A oggi, questo sistema sembrerebbe essere più adatto a veicoli ipersonici come degli scramjet piuttosto che a un uso per il rientro dallo spazio.
Alcuni fluidi testati sono l’anidride carbonica e l’elio. Parametri da tenere in considerazione sono, tra gli altri, la densità del refrigerante, la quantità da utilizzare e il numero/distribuzione delle aperture lungo la superficie del veicolo. Queste creerebbero infatti delle zone di variazione della geometria dello scudo termico, pericolose se non studiate alla perfezione. Anche in questo caso, il refrigerante andrebbe trasportato per prima cosa in orbita, sacrificando parte del carico utile. Ovviamente la quantità da stivare sarebbe tanto maggiore quanto più sono proibitive le condizioni affrontate in fase di rientro.

Transpiration cooling
Quest’ultima categoria dei sistemi attivi prevede l’utilizzo di un fluido refrigerante che viene fatto traspirare attraverso una parete porosa verso la superficie esterna del veicolo. Sebbene non sia stato ancora impiegato, questo metodo risulta promettente per voli di lunga durata dove si raggiungono temperature molto elevate (nell’ordine dei 1800 K).
Il refrigerante permette di rimuove il calore dalla struttura mentre la attraversa, e in più va a creare un film protettivo quando raggiunge la superficie esterna, come nel caso del film cooling. Le applicazioni di questa tecnica sono limitate a elementi come pale di turbine, pareti interne di motori scramjet e bordi d’attacco di alcune velivoli ipersonici. Tuttavia, in questi ambiti, il transpiration cooling si è rivelato molto più efficace di altri sistemi come le heat pipes, con temperature raggiunte dagli elementi anche centinaia di gradi più basse.
Questo ha suggerito la possibilità d’implementare tale tecnologia anche nei veicoli da rientro atmosferico. Degli studi sono stati realizzati dall’agenzia spaziale tedesca DLR (Deutsches Zentrum für Luft- und Raumfahrt) per lo sviluppo del TPS dello SpaceLiner. Nel loro studio una superficie emisferica di 2.5 cm di raggio in Procelit 170, un materiale poroso in grado di resistere a temperature fino a 2000 K, è stato raffreddato per traspirazione di acqua liquida fino a temperature inferiori a 500 K [2]. Questi risultati sono stati raggiunti in circa 20 minuti, con una portata d’acqua di 0.2 grammi al secondo.
Il test ha mostrato anche come l’utilizzo di un liquido come fluido di raffreddamento sia molto più efficace dell’uso di un gas (1 grammo al secondo di azoto è bastato per ridurre la temperatura ad “appena” 1500K, seppur in minor tempo). Gli svantaggi di questo metodo sembrerebbero legati in generale alla quantità di refrigerante da avere a bordo e alla reattività del sistema, visti gli alti tempi necessari per bagnare la superficie da raffreddare, rendendo necessario l’attivazione del sistema prima dell’effettivo rientro in atmosfera.
La guida completa al sistema di protezione termica di un mezzo spaziale è una guida ideata e scritta da Giuseppe Chiapparino.
Qui si può leggere il primo articolo di questa guida.
Continua a seguire Astrospace.it sul canale Telegram, sulla pagina Facebook e sul nostro canale Youtube. Non perderti nessuno dei nostri articoli e aggiornamenti sul settore aerospaziale e dell’esplorazione dello spazio.
[1]: 10 Heat Flux Reduction by Transpiration-Cooling of CMCs for Space Applications.