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L’inquinamento atmosferico è diventato una prova di vita extraterrestre

Secondo un recente studio della Nasa, l’inquinamento atmosferico di un pianeta potenzialmente abitabile potrebbe indicare la presenza di forme di vita intelligente. 

Chiara De Piccoli di Chiara De Piccoli
Febbraio 14, 2021
in Agenzie Spaziali, Astronomia e astrofisica, NASA, News, Scienza
Kepler-1649c

Illustrazione artistica di come si vedrebbe la nana rossa dalla superficie di Kepler-1649c. Credits: NASA/Ames Research Center/Daniel Rutter

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Una recente ricerca, condotta da Ravi Kopparapu, ricercatore presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, ha dimostrato la possibilità di scoprire civiltà nascoste sotto un’atmosfera inquinata. L’inquinamento atmosferico, per la prima volta, viene considerato una tecnosignatura, ossia una traccia tecnologica prodotta da una civiltà evoluta. Studiando le atmosfere di esopianeti potenzialmente abitabili, è ipotizzabile trovare il segnale di gas prodotto da processi industriali. Un esempio è il biossido di azoto (NO2), originato sulla Terra dall’utilizzo di combustibili fossili.

Con questa ricerca è stato verificato se il segnale di questa molecola fosse abbastanza forte da essere rivelato dagli attuali telescopi spaziali. La risposta è affermativa. Per un esopianeta delle dimensioni della Terra, in orbita attorno ad una stella di tipo solare, che ospita una civiltà che inquina il suo mondo nella stessa quantità con cui noi inquiniamo il nostro, è possibile rivelare il segnale fino a 30 anni luce di distanza, dopo 400 ore di osservazione con uno dei futuri telescopi pianificati dalla NASA. Un tempo sostanzioso, che potrebbe però trovare una risposta ad una delle domande esistenziali che l’uomo si pone da secoli.

Una civiltà lascia diverse tracce nel mondo in cui vive, da quelle biologiche, le biosignature, a quelle tecnologiche, recentemente note come tecnosignature. La presenza di ossigeno e metano nell’atmosfera di un pianeta potrebbe indicare l’esistenza di vita, ma per dimostrare la presenza di una civiltà avanzata le tracce che è necessario indagare sono le tecnosignature.

Segni di vita extraterrestre

Tra queste ritroviamo, ad esempio, le trasmissioni radio, a cui è dedicato ormai da anni il programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) che si occupa di captare e inviare segnali radio nel cosmo.

Illustrazione di un pianeta abitato da una civiltà e vita sviluppata. I colori dell’atmosfera, appositamente esagerati, indicano l’inquinamento provocato dai processi industriali. Credits: NASA/Jay Freidlander
Illustrazione di un pianeta abitato da una civiltà sviluppata. I colori dell’atmosfera, appositamente esagerati, indicano l’inquinamento provocato dai processi industriali. Credits: NASA/Jay Freidlander

Per la prima volta, anche la presenza di NO2 viene considerata un possibile segnale di vita intelligente extraterrestre. Lo studio della NASA ha dimostrato la possibilità reale di raccogliere dati attendibili di questo segnale. Le molecole di biossido di azoto assorbono certe lunghezze d’onda della luce visibile, che possono essere studiate dagli spettri delle atmosfere dei pianeti prescelti. La loro analisi potrebbe però non essere così semplice. L’NO2 infatti non viene prodotto esclusivamente dall’uomo, ma anche da fonti non industriali, come ad esempio vulcani e fulmini. É quindi necessario stimare la massima emissione possibile di questo gas da fenomeni naturali: solo un eccesso di NO2 nell’atmosfera significherebbe la presenza di processi industriali sulla superficie, e quindi di una civiltà evoluta.

Lo studio delle atmosfere di pianeti lontani era già avvenuto con l’intento di rivelare la presenza dei clorofluorocarburi (CFC), composti chimici contenuti nei solventi e prodotti spray e responsabili del ben noto buco nell’ozono sulla Terra. A differenza del biossido di azoto, i CFC sono esclusivamente prodotti dall’attività umana, e quindi rappresenterebbero una prova schiacciante nell’individuazione di una civiltà aliena. Tuttavia sono un prodotto specifico che potrebbe non prevalere in altri pianeti.

Il paradosso di Fermi

Nella vastità dell’Universo sembra impossibile non trovare altre civiltà evolute ed avanzate come la nostra, eppure ancora nessuna ricerca ha saputo dare degli indizi concreti di vita extraterrestre. Fu Enrico Fermi, noto fisico italiano, a chiedersi per primo “dove sono tutti?”. Se l’Universo e la nostra galassia pullulano di civiltà sviluppate, dove sono? Perché non abbiamo ancora ricevuto prova della loro esistenza?

Sono molte le ipotesi che si sono sviluppate nel corso degli anni attorno a questi quesiti: forse semplicemente siamo soli; esistono altre civiltà ma si trovano troppo lontane nel tempo e nello spazio per riuscire a comunicare; la loro esistenza è troppo breve; e così via. L’alone di mistero che avvolge pianeti e stelle dell’Universo è ancora troppo spesso, ma ormai da anni abbiamo imparato che l’atmosfera può raccontare molto di un mondo e delle civiltà che esso può ospitare.

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Tags: AstrofisicaEsopianetiExtraterrestriNasa

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