Nel 2017 il presidente degli Stati Uniti diede formalmente inizio al Programma Artemis. L’obiettivo è il ritorno sulla Luna entro il 2024 e l’instaurazione di una permanenza continua sul nostro satellite. Con Artemis, che coinvolge tutti gli stati partner internazionali della NASA è stata intrapreso uno dei programmi di esplorazione umana dello spazio più ambiziosi dai tempi delle missioni Apollo.
Qualche settimana fa abbiamo nel frattempo assistito al ritorno di astronauti americani nello spazio con una capsula americana: la nuova Crew Dragon di SpaceX. Questa capsula si è dimostrata un grande passo avanti tecnologico e commerciale, e sta aprendo anche nuove prospettive per il turismo spaziale dei prossimi anni. In questo decennio l’esplorazione umana dello spazio tornerà quindi ad essere il fulcro di tutte le attività spaziali. Quando però si tratta di mandare astronauti nello spazio le cose si complicano sempre. La medicina spaziale e le tecnologie biomediche sono un campo ancora forse di nicchia ma sempre più in espansione. L’Europa in che posizione giocherà questa nuova corsa allo spazio?
Ne abbiamo parlato con Ilaria Cinelli PhD ingegnere biomedico, Fellow in medicina aerospaziale, e mentor del programma Space4Women dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Spaziali Esteri.
Di formazione iniziale lei è ingegnere biomedico. Cosa l’ha portata poi ad occuparsi di Spazio?
Tutto è nato molto casualmente. Io ho fatto la triennale e la specialistica in ingegneria biomedica all’università di Pisa. All’epoca studiavo dispositivi medici e mi annoiavo da morire, in più in quegli anni avevo un ego smisurato perchè quando sei studente vuoi un po’ fronteggiare, in conoscenza, il professore, ma lo fai per ignoranza, perchè comunque ti stai ancora formando professionalmente.

Mi annoiavo talmente tanto che volevo vedere se un tale dispositivo in condizioni lunari avrebbe funzionato. Ma era un modo per far vedere al professore che non era onnipotente. Che era una gran pecca di arroganza ma allo stesso tempo se volevo dimostrare al professore che questo dispositivo non funzionava sulla Luna dovevo andare a cercarmi perchè. Ho allora iniziato a cercare come fare un dispositivo medico chirurgo per eseguire delle operazioni sulla Luna. Lì allora mi si è aperto un mondo, quello della medicina aerospaziale e dello spazio dal punto di vista della salute e mi sono innamorata perdutamente, anche se al professore non glielo ho detto.
A quel punto mi sono domandata: “ma se la biomedica fa così tanto in Italia, anche nella ricerca, cosa si può fare nello spazio?” Perchè c’è un grande gap fra quella che è la conoscenza medica dell’adattamento del corpo e quelli che sono i dispositivi medici [che permettono la permanenza nello spazio]. Di questi dispositivi però, nessuno ne sa tanto, o almeno, nessuno ne sapeva nel 2010. Ora è un argomento sicuramente più popolare.
Di solito quando pensiamo all’esplorazione dello spazio pensiamo a razzi e sonde e non all’esplorazione umana che è forse una delle parti più complicate e pericolose. Secondo te al momento quali sono, dal punto di vista biologico e medico, le sfide più complesse da superare per una permanenza continua dell’uomo nello spazio.
Credo che il più grande scoglio è l’approccio alla ricerca, sia quella commerciale che quella guidata dalle agenzie spaziali. Quando si pensa alla salute nello spazio, si pensa all’adattamento alla microgravità ma c’è da considerare poi: com’è fatto il veicolo, com’è disegnata la missione, quanta accelerazione subisce l’astronauta durante la salita ecc. Sono delle discipline talmente interconnesse che ad un certo punto ti devi interfacciare con le altre persone e arrivare a delle conclusioni. Per quanto riguarda la parte medica fare un dispositivo, o pensare ad una condizione medica richiede uno sforzo disumano soprattutto adesso che i futuri astronauti saranno commerciali; per ora sono ancora ex astronauti della NASA ma in futuro ci potrà andare chiunque.
I dispositivi che sono presenti adesso nello spazio sono fatti per persone che hanno delle capacità fisiche e mentali superiori alla media e sono naturalmente dotati di queste capacità.
Se però ci va una persona normodotata, c’è bisogno di avere un dispositivo abbastanza semplice e sicuro da usare e che tenga conto di possibili sbagli nell’interpretazione delle condizioni mediche. La progettazione in questo campo si basa sul mindset del team e sull’approccio tecnico.
Mi dispiace che l’Europa non sia così competitiva nell’esplorazione umana come lo è la NASA o come lo sta diventando la Cina oppure gli Stati Arabi. E questo è un dispiacere perchè l’ESA ha decenni di storia e beneficia di un programma di esplorazione umana, ma al momento non sembra avere un capitale di supporto da investire in medicina spaziale come quello della Nasa o di altre agenzie. Il che vuol dire che nel momento in cui ci saranno voli commerciali noi ci dovremmo affidare a quelle che sono le agenzie leader di questo specifico settore. Poi, a livello legale è completamente diverso perchè noi non possiamo rifarci al diritto americano o a quello cinese. Dobbiamo rifarci al diritto della nostra nazione.
Credi che un motivo di questo problema sia anche il fatto che l’Europa non dispone di un mezzo proprio per l’esplorazione umana dello spazio come Cina e USA?
Si quello è un fattore. Inoltre, considera che se l’America ci ha messo 20 anni per costruire una capsula che è stata lanciata adesso, noi partendo adesso, potremmo essere competitivi fra 10 anni ma sono 10 anni di business.
Le infrastrutture spaziali non nascono dal nulla, c’è bisogno di leggi. Per adesso queste ci sono, sia in Italia che in Europa, ma fra il farle e utilizzarle c’è molta differenza.
Il tutto deve essere un voluto da più persone e più enti. Se per esempio io volessi aprire un’azienda nel comparto medicale in Europa non troverei i fondi facilmente e il business casse primario sarebbe quindi diverso. Magari indirizzato alla ricerca sull’invecchiamento, o su altre patologie. Però i fondi diretti sulla ricerca per l’acclimazione del corpo nello spazio non ci sono, non come in America dove ci sono numerose opportunità in questo settore. Poi, metti caso anche che io ti sviluppi il dispositivo o l’algoritmo super fantastico, chi lo compra?
Non c’è il mercato?
Il mercato è molto ristretto. Infatti, se gli astronauti dell’ESA sono 5, alla fine avrai 5 utilizzatori finali e in ingegneria i dispositivi vanno testati su un campione piuttosto grande di utenti. In questo modo prima che un dispositivo medico diventi valido commercialmente ce ne passa di tempo.
Quindi è tutto l’ecosistema che deve essere rivisto. L’Europa e l’Italia hanno un potenziale enorme di risorse che però sono sottostimate e non è solo nel settore della medicina aerospaziale.
Ti faccio un esempio, io sono Presidente di un’associazione chiamata Aerospace Human Factors Association, che è una parte della più grande associazione di medicina spaziale in America. Quello che mi sono detta è allora che avrei potuto approfittarne di questo ruolo per aiutare la mia nazione e creare dei ponti fra questa associazione e l’Italia per far si che anche chi lavora in questo settore abbia accesso ad altre opportunità. In Italia non mi ha però considerato nessuno.

Il fatto che in Europa il volo spaziale umano sia di competenza dell’ESA e non delle singole agenzie nazionali secondo te è un problema che si inserisce in quello che abbiamo detto finora oppure è stato meglio così?
Per quello che ne so io, l’ASI aveva un programma di esplorazione umana, faceva cioè ricerca per il volo umano nello spazio. Io penso che loro abbiano semplicemente convogliato risorse e personale in Europa. Da un punto di vista di ricerca se c’è un’istituzione centrale più grande, forse è meglio per l’approvazione etica e burocratica. Forse rende il tutto più facile anche il fatto che con un istituzione centrale europea si riescono a fare ricerche su persone di nazionalità diversa, da enti diversi ecc. Poi la questione può essere argomentata in modo diverso. L’ESA rilascia una call per astronauti una volta ogni 10/15 anni, la NASA ogni 4 anni. Ora ci sono anche nuovi settori dell’economia spaziale per cui arrivano fondi anche dalla commissione Europea. Ovviamente non si può rifare da capo un’agenzia spaziale, ma in Europa sembrano mancare risorse e una visione d’insieme.
Fra le altre cose lei è anche membro della Mars Society, di cosa si occupa esattamente questa realtà?
Ho iniziato a fare simulazioni nel deserto nel 2015, e all’inizio non ci volevo nemmeno andare perchè vengo da un paesino della campagna, dove ci sono tre gatti e un cane e all’epoca mi ero appena spostata a Londra. Lì mi ero innamorata del cemento e della grande città, e quando mi hanno proposto di andare nel deserto ho pensato: “ma vengo già da un deserto, chi me lo fa fare di andarci?”
Alla fine ci sono però andata, proprio con la Mars Society. Questa associazione, diretta da Robert Zubrin ha tanti programmi al suo interno. Fra questi c’è la Mars Desert Research Station che è l’habitat nello Utah dove sono andata io e un altro nell’antartica. Poi hanno altri programmi educativi. Il loro obiettivo è quello di sostenere l’esplorazione su Marte. Se guardi alla carriera di Zubrin lui ha praticamente investito una vita a sostenere e a lavorare alla fattibilità della vita su Marte. Il bello di questa associazione è che investe in missioni per Marte già dal 2001. C’è una storia fantastica, che riguarda Elon Musk che quando ha fondato SpaceX era in contatto con Zubrin che gli ha dato delle dritte e consigli, proprio a riguardo dell’obiettivo di arrivare su Marte. Obiettivo su cui si basa l’intera storia di SpaceX.
La Mars Society è ovviamente No-Profit ma è quindi un po’ un advisor che produce delle linee guida per l’esplorazione di Marte.
Luna o Marte?
Luna o Marte, bè dipende un po’. Si dice che sulla Luna “verrà testata la tecnologia che verrà usata su Marte”, bhe si e no. La Luna è una prova per unire la parte di leadership delle agenzie spaziali a quella che è la parte commerciale sulla terra.
Marte è invece l’obiettivo, quell’obiettivo a lungo termine che ti fa focalizzare su come sviluppare le cose. Se io per esempio sviluppo un dispositivo per la Luna, sì potrebbe funzionare su Marte, ma l’ambiente è tutto diverso (gravità, atmosfera, tempo di viaggio…). La proiezione della ricerca deve avere un rifermento a lungo termine, e questo dipende dalla leadership che dirige la ricerca. In questo modo la ricerca che viene prodotta adesso può essere utilizzata da persone che magari andranno su Marte fra 20 anni e che magari fra 50/60 anni vivranno su Marte. Quindi, si dovrebbe investire in un solido filone di ricerca, questo è la cosa importante per il futuro della specie umana.