Risale agli albori dell’Universo e sta divorando la sua galassia ospite il buco nero più antico mai osservato, scoperto grazie al James Webb Space Telescope. Lo vediamo com’era a 400 milioni di anni dopo il Big Bang, ovvero 13.4 miliardi di anni fa, quando l’Universo aveva appena il 3% della sua età attuale.
La ricerca che presenta questo risultato, guidata dal professor Roberto Maiolino dell’Università di Cambridge e sostenuta dal Consiglio europeo della ricerca, dalla Royal Society e dal Science and Technology Facilities Council (STFC), è stata pubblicata oggi su Nature. Testimonia la presenza ai primordi dell’Universo di un altro buco nero troppo massiccio per la sua età, e della necessità di comprendere come oggetti simili possano essersi formati.
GN-z11, una delle galassie più lontane
Il buco nero supermassiccio oggetto dello studio si trova al centro della giovane galassia GN-z11, che fino all’aprile 2022 deteneva il record come galassia più antica mai trovata. È compatta e circa cento volte più piccola rispetto alla Via Lattea.
La sua esistenza è stata inizialmente proposta a partire da dati del telescopio spaziale Hubble, e poi confermata grazie alle osservazioni del telescopio Keck e del giapponese Subaru nel 2020. All’epoca la sua distanza era stata determinata come redshift z=11.09, successivamente migliorato dal Webb in 10.6. Il redshift rappresenta la misura dello spostamento verso il rosso della lunghezza d’onda della sorgente, causato dal suo allontanamento per via dell’espansione cosmica, e ci da un’indicazione della sua distanza. Per GN-z11, ad esempio, corrisponde a una distanza di 400 milioni di anni rispetto a noi.

Ciò significa che noi oggi la vediamo mentre si sta ancora formando, anche se purtroppo il suo sviluppo è pesantemente compromesso dalla presenza di questo buco nero. Poiché emette un forte bagliore nell’ultravioletto, gli scienziati hanno dedotto che il buco nero sta consumando rapidamente il gas di GN-z11, che si avvolge attorno all’oggetto in un disco, detto disco di accrescimento. Questo gas, vorticando attorno al buco nero, diventa estremamente caldo e inizia a brillare e a irradiare energia UV.
Quando i buchi neri consumano troppo gas, lo spingono via come un vento ultraveloce. Questo vento, purtroppo, potrebbe bloccare il processo di formazione delle stelle, uccidendo lentamente la galassia.
Come si è formato un buco nero così massiccio?
Come tutti i buchi neri, quindi, anche questo giovane mostro celeste sta divorando materiale dalla galassia che lo ospita per alimentare la sua crescita. Tuttavia, si è scoperto che divora materia con molto più vigore rispetto ai suoi fratelli di epoche successive. Ed è sorprendentemente massiccio: ha qualche milione di volte la massa del nostro Sole. Come fa a esistere un oggetto così accresciuto e massiccio a soli 400 milioni di anni dalla nascita dell’Universo?
Gli astronomi ritengono che i buchi neri supermassicci che si trovano al centro di galassie come la Via Lattea siano cresciuti fino alle dimensioni attuali nel corso di miliardi di anni, dopo essersi formati dai resti di antiche stelle molto massicce che collassano al termine della loro vita.
Tuttavia, le dimensioni di questo buco nero suggeriscono che potrebbero formarsi in altri modi: potrebbero essere nati già così massicci, oppure divorare la materia circostante a un ritmo cinque volte superiore a quello che si pensava fosse possibile.
Infatti, se si sviluppasse nel modo previsto, questo buco nero impiegherebbe circa un miliardo di anni per raggiungere le dimensioni osservate. Non neanche la metà del tempo!

Ancora una volta, grazie a Webb
Il balzo in avanti fornito dal Webb per lo studio di oggetti come questi è decisamente enorme. Si tratta in particolare di un enorme salto di sensibilità, che sta consentendo di spingersi sempre più lontano, individuando oggetti che fino a un anno e mezzo fa mai avremmo pensato di arrivare a osservare.
Grazie al James Webb, nei prossimi mesi e anni potrebbero essere trovati buchi neri ancora più antichi. Maiolino e il suo team sperano di utilizzare le future osservazioni JWST per cercare di trovarne altri e di individuarne i semi, ovvero i progenitori. Ciò potrebbe aiutarli a far luce sui diversi modi in cui buchi neri massicci come quello di GN-z11 si formano.
“È come passare dal telescopio di Galileo a un telescopio moderno in una notte” ha detto Maiolino. “Prima che Webb entrasse in funzione, pensavo che forse l’Universo non fosse così interessante, quando si va oltre quello che potevamo vedere con Hubble. Ma non è stato affatto così: l’Universo è stato molto generoso nel mostrarci ciò che ha fatto. E questo è solo l’inizio”.
Lo studio dal titolo A small and vigorous black hole in the early Universe, pubblicato su Nature, è reperibile qui.