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Il telescopio spaziale Kepler ci parla ancora, offrendoci uno sguardo verso altri mondi

Emanuele Bortolan di Emanuele Bortolan
Luglio 7, 2023
in Approfondimento, Astronomia e astrofisica, Divulgazione, Esplorazione spaziale, NASA, News, Scienza
K2

Rappresentazione artistica del telescopio Kepler. Credits: NASA

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Il primo esopianeta fu scoperto nel 1992 dagli astronomi Aleksander Wolszczan e Dale Frail. Questo pianeta però fu trovato in un sistema profondamente diverso dal nostro Sistema Solare. Orbitava attorno a una pulsar, una stella di neutroni in rapida rotazione. Il primo pianeta extrasolare scoperto attorno a una stella simile al Sole, invece, risale ad alcuni anni dopo, nel 1995, da parte di Michel Mayor e Didier Queloz (premio Nobel 2019).

Dalla scoperta del primo esopianeta fino a oggi ne sono individuati più di 5000. Un contributo fondamentale alla scoperta di questi esopianeti è stato dato dal telescopio spaziale Kepler della NASA, lanciato nel marzo del 2009 e operativo fino al 2018. Il telescopio era dedicato a Giovanni Keplero, che contribuì enormemente alla comprensione del moto dei pianeti nel Sistema Solare.

L’obiettivo principale di questa missione spaziale era quello di esplorare e caratterizzare i sistemi extrasolari all’interno della Via Lattea, andando a osservare un vastissimo campione di stelle. In particolare, Kepler fu progettato per poter individuare esopianeti delle dimensioni della Terra che si trovano nella zona abitale della propria stella. Ovvero, alla giusta distanza per poter contenere acqua liquida.

Di recente, un gruppo di astronomi dell’Università del Wisconsin e dell’Istituto di Tecnologia del Massachusetts (MIT), con l’aiuto di astronomi amatoriali attraverso il progetto Visual Survey Group, ha scoperto quelli che potrebbero esser stati gli ultimi pianeti extrasolari individuati da Kepler prima del suo spegnimento.

Il metodo utilizzato da Kepler è quello dei transiti

Per poter individuare i pianeti extrasolari, Kepler ha sfruttato il metodo dei transiti. Questo si basa sul fatto che un pianeta, passando davanti alla propria stella, blocca parte della luce proveniente dalla stella stessa. Andando a misurare accuratamente la luminosità di una stella, si vedrà una sua diminuzione a causa del transito del pianeta.

Per fare ciò, gli astronomi misurano la curva di luce, un grafico che mostra la luminosità di una stella al passare del tempo. Quando il pianeta non è ancora transitato, la luminosità della stella è costante (dal punto A a B della curva di luce nella figura sottostante). Non appena il pianeta inizia a transitare davanti la stella, la luminosità comincerà a diminuire (da B a C). Una volta che l’intero pianeta si trova davanti alla stella, la luminosità rimane costante durante tutto il periodo del transito (da C a D). Quando il pianeta inizia a uscire dal disco solare, la luminosità comincerà ad aumentare nuovamente fino a raggiungere il livello pre-transito, quando il pianeta è del tutto fuori dal disco stellare (da D a E). A questo punto il transito è terminato e la luminosità rimarrà costante fino al successivo transito (dopo il punto E), che avviene quando il pianeta avrà percorso un’intera orbita attorno alla stella.

Metodo del transito
La figura mostra la curva di luce della stella durante il transito di un pianeta. Credits NASA. Traduzione: Astrospace.it

Le informazioni ottenibili osservando un transito

Analizzando la curva di luce si possono ottenere diverse informazioni davvero utili sul pianeta. La parte della curva di luce in cui la luminosità diminuisce o aumenta (tra i punti B e C per la diminuzione e tra D ed E per l’aumento) assieme a quanto la luminosità è diminuita durante il transito, permettono di ricavare le dimensioni del pianeta. L’intervallo di tempo tra due successivi transiti, invece, rappresenta il tempo di rivoluzione del pianeta attorno alla stella (poiché deve compiere un intero giro per poter effettuare un secondo transito) e applicando la terza legge di Keplero, si può ricavare il raggio dell’orbita del pianeta.

Un’altra informazione fondamentale che si può ottenere è la composizione chimica dell’atmosfera del pianeta. Questo può esser fatto solo se il telescopio riesce a ottenere lo spettro della sorgente durante il transito. Infatti, mentre il pianeta transita di fronte alla stella, una parte della luce della stella stessa attraverserà l’atmosfera (se presente) del pianeta prima di giungere al nostro telescopio.

Quando la luce attraversa un gas, quest’ultimo può assorbire fotoni con specifiche lunghezze d’onda, andando a creare le cosiddette righe di assorbimento, zone scure nello spettro continuo di una sorgente. Studiando la posizione e la forma di queste righe si può risalire a quale elemento le ha prodotte e alla sua abbondanza, andando così a caratterizzare l’atmosfera del pianeta.

Esopianeti sempre più numerosi

Per poter individuare più pianeti possibili, Kepler osservò sempre la stessa regione di cielo soprannominata Campo di Kepler, con un’area di 115 gradi quadrati, nei pressi della costellazione del cigno. In quest’area Kepler ha monitorato con precisione circa 150mila stelle, per individuare una variazione nella loro luminosità a causa del transito di un pianeta.

Campo di Kepler
Campo di Kepler, indicato con dei riquadri accanto alla costellazione del Cigno. Credits: NASA

Nel gennaio 2010, Kepler individuò il suo primo sistema extrasolare, composto da 5 gioviani caldi chiamati Kepler-4b, 5b, 6b, 7b e 8b. Questi pianeti hanno le dimensioni di Giove, ma orbitano attorno alla propria stella a una distanza inferiore a quella di Mercurio, con un periodo di rivoluzione di solo alcuni giorni. Di conseguenza, sono veri e propri inferni a causa della grande vicinanza alla stella, con temperature che possono raggiungere anche i 2000 Kelvin.

Per quanto riguarda pianeti più simili alla terra, Kepler individuò, nel gennaio 2011, il suo primo pianeta roccioso, Kepler-10b. Anche in questo caso però, il pianeta orbita così vicino alla stella che la faccia rivolta verso di essa è così calda da poter ospitare veri e propri oceani di roccia fusa.

Solo nell’aprile 2014 venne scoperto il primo pianeta con dimensioni simili alla Terra che orbita nella zona abitabile della propria stella, chiamato Kepler-186f. Questo pianeta orbita attorno alla stella a una distanza di circa 0.4 AU (unità astronomica, 1 AU è la distanza Terra-Sole) impiegando circa 130 giorni per percorrerla. Durante questa prima fase della missione, Kepler individuò e confermò ben 2778 pianeti extrasolari.

K2, una seconda vita per Kepler

Nel maggio del 2013, il telescopio riscontrò seri problemi meccanici: si venne a rompere la sua seconda ruota di reazione. Questi meccanismi sono fondamentali per mantenere stabile l’orientazione del telescopio. E una volta che una di queste si rompe o si danneggia seriamente, non è più possibile mantenere in equilibrio la struttura. Di conseguenza, diventa impossibile continuare con le osservazioni.

Il team che monitorava il telescopio trovò una soluzione per far riprendere le osservazioni, utilizzando la pressione dei raggi solari per stabilizzare l’orientazione del telescopio. Questa manovra obbligava però il telescopio a cambiare il campo d’osservazione ogni tre mesi. Iniziava così la seconda parte della missione di Kepler, K2.

Durante K2, oltre al metodo dei transiti, Kepler sfruttò anche la tecnica delle microlenti gravitazionali. Consiste nell’osservare una stella di campo, ovvero una stella molto distante, che sta transitando dietro un’altra stella molto più vicina che funge da “lente”. Quest’ultima va ad aumentare la luminosità apparente della stella di campo, perché ne devia la radiazione. In questo modo, all’osservatore arrivano molti più fotoni rispetto a quando non è presente la stella lente.

Nel caso in cui la stella lente ospiti uno o più pianeti, la curva luce non sarà simmetrica, ma presenterà dei piccoli picchi. Essi indicano la presenza del pianeta. Dalla loro forma, si può ricavare la massa del pianeta e informazioni sulla sua orbita.

Curva di luce microlente gravitazionale
Curva di luce della stella di campo durante il transito di una stella lente (a sinistra) e di una stella lente con la presenza anche di un pianeta (a destra). Si noti la differenza della curva, che nel secondo caso presenta un picco sulla parte destra a causa della presenza del pianeta. Credits: ESA. Traduzione: Astrospace.it

Attraverso questo metodo venne individuato solo un pianeta da Kepler, ma questo non deve sorprenderci. Infatti, è uno dei più difficili tra i metodi utilizzati. Solo un centinaio di esopianeti è stato scoperto con il microlensing, su più di 5000 esopianeti scoperti in tutto. Durante la missione K2, comunque, sono stati individuati 546 esopianeti.

La fine della missione Kepler…

Il 10 ottobre 2018 la NASA annunciò la fine delle operazioni del telescopio Kepler, che duravano da ormai 9 anni, a causa dell’esaurimento del carburante. Il telescopio fu disattivato attraverso un comando di ‘buonanotte’ inviato il 15 novembre del 2018, esattamente nel 388-esimo anniversario della morte di Giovanni Keplero.

Prima del shut-down finale, Kepler fornì una settimana di dati ad alta qualità, seguiti da altri undici giorni di osservazioni con una qualità però molto ridotta a causa dell’esaurimento del carburante e, di conseguenza, della diminuzione della precisione durante le osservazioni.

Questi dati furono analizzati dal Visual Survey Group (VSG), un gruppo guidato da Elyse Incha (Università del Wisconsin) e formato da astronomi professionali (presso l’Università del Wisconsin, l’Università del Nord Caroline, la NASA e il Centro di Astrofisica di Harvard) ma anche da cittadini scienziati e astronomi amatoriali.

Il VSG, analizzando la curva di luce di oltre 33 000 stelle, ha individuato un singolo transito in tre stelle differenti. Per confermare la presenza di un pianeta attorno a queste stelle è necessario osservare un secondo transito, per escludere che possa trattarsi di un falso positivo.

…riserva soprese!

A questo fine, Elyse Incha e Andrew Vanderburg, assistente professore di fisica presso l’Istituto di Astrofisica e Ricerca Spaziale di Kavli, presso il MIT, hanno analizzato i dati a bassa qualità ottenuti negli ultimi undici giorni da Kepler. In questa ricerca è stato individuato un secondo transito per due dei tre candidati:

  •  K2-416 b, con una massa di circa 2.6 volte quella terreste.
  •  K2-417 b, circa 3 volte la Terra.

Per quest’ultimo, anche il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) ha rilevato un transito, a conferma della presenza del pianeta.

Qui sotto, le curve di luce. I grafici nella prima riga rappresentano i transiti individuati con i dati ad alta qualità, a destra per il pianeta K2-416 b e a sinistra per K2-417 b. Nella riga in basso, le curve di luce ottenute dai dati a bassa qualità ottenuti negli ultimi 10 giorni di operatività di Kepler.

K2-416b 417b
L’immagine mostra il transito nelle curve di luce della stella a seguito del transito dei pianeti K2-416 b (sulla colonna a sinistra) e K2-417 b (sulla colonna a destra). Nella prima riga sono mostrati i primi transiti osservati, mentre i secondi transiti osservati con i dati a bassa qualità ottenuti negli ultimi undici giorni di operatività di Kepler. Credits: Incha et al. 2023. Traduzione: Astrospace.it

Per quanto riguarda il terzo candidato pianeta, quasi quattro volte più grande della Terra, non è stato possibile individuare un secondo transito dai dati di Kepler. Si aspettano conferme da altri telescopi.

Con questi ultimi pianeti individuati, si conclude la grande odissea di Kepler, durata oltre 9 anni, che ha portato alla scoperta di oltre 2700 pianeti extrasolari.

Kepler ci ha mostrato che ci sono più pianeti che stelle in una galassia, e una parte di loro hanno dimensioni simili alla Terra. Tutte queste scoperte hanno permesso di fare un passo in avanti nella scoperta di pianeti potenzialmente abitabili. E anche sull’origine del Sistema Solare stesso.

Qui l’articolo di Incha et al., pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Tags: EsopianetiKeplerpianeti extrasolariTelescopio spaziale

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