Sono passati solo alcuni giorni dall’inizio del 2023 e, nel pensare a quali siano stati gli obiettivi raggiunti, durante l’anno passato, possiamo a tutti gli effetti affermare che nel 2022 è iniziata l’esplorazione spaziale di nuova generazione: nel prossimo decennio la Luna sarà il focus principale dell’esplorazione umana, con l’obiettivo di instaurare, sulla sua superficie ed in orbita, degli avamposti permanenti. All’interno del logo di questo ambizioso programma, di nome Artemis, è presente però una linea rossa, che collega la Terra alla Luna, per poi spingersi oltre, ancora più lontano, verso il Pianeta Rosso: Marte.
I programmi di esplorazione di Marte sono in fase di studio da diversi anni, perché è lì, dopo la Luna, che si potrebbe giocare il futuro dell’umanità nello spazio. Come si può però, anche solo pensare di vivere in un Pianeta deserto, dall’atmosfera non respirabile ed esposto ad una moltitudine di pericoli, tra i quali l’assenza di un forte campo magnetico a proteggere dalle radiazioni? Una soluzione potrebbe essere quella di rendere abitabili i “Lava Tubes”.
Dove vivremo?
Gli argomenti e le tesi a base del presente articolo si riferiscono alla ricerca: “Mars Underground: A Landscape Strategy for Long Term Human Colonies on The Red Planet” che ho presentato allo scorso International Astronautical Congress 2022 a Parigi, nel mese di settembre.
Recenti osservazioni e ricerche hanno rilevato sulla superficie marziana indizi relativi alla presenza di formazioni geologiche ipogee, conosciute come lava tubes, le quali si formano in seguito a processi eruttivi di origine vulcanica che portano alla formazione di tunnel. Presenti anche sulla Terra e sulla Luna, sul nostro pianeta raggiungono lunghezze che variano da pochi metri ad alcuni chilometri, con diametri fino a 30 metri, mentre, sulla Luna e Marte, a causa della minore gravità, i lava tubes, detti anche “pyroducts”, possono raggiungere dimensioni decisamente maggiori. Sul Pianeta Rosso, potrebbero presentarsi lava tube con un diametro interno fino a 400m ed estensione di 100 km.
L’osservazione di possibili lava tubes è in stretta relazione con l’individuazione di collassi locali, individuabili sulla superficie del pianeta, che prendono il nome di skylights. Questi elementi non sono altro che porzioni del tetto dei tunnel, le quali sono collassate. La maggior parte di questi collassi sono stati individuati nella grande provincia vulcanica di Tharsis e sono stati classificati in un database “on-going” di nome MGC3 (Mars Global Caves Candidates Catalog), curato dallo scienziato dell’USGS Glen E. Cushing e dal suo team.
La superficie di Marte è un luogo altamente inospitale: temperature estreme, massima esposizione a diversi tipi di radiazioni, micrometeoriti, tornadi. Al contrario, il sottosuolo presenta una condizione isolata che comporta numerosi vantaggi: esso risulta protetto nei confronti dei suddetti pericoli e garantisce anche temperature più stabili. Tutti fattori di grande importanza per una ipotizzata permanenza sul lungo periodo.
Perciò, se per le prime missioni sul pianeta, con un piccolo equipaggio e soprattutto improntate all’esplorazione, un avamposto sulla superficie resta imprescindibile (in quanto favorisce la mobilità), il discorso cambia quando si inizia a parlare di una colonia.
In questo scenario, i lava tubes offrirebbero quindi un’alternativa in cui stabilire la colonia in sicurezza, ma anche uno spazio che potrebbe essere adattato e configurato, al fine di creare un nuovo paesaggio confortevole (in questo senso, sulla Terra è illuminante l’esperienza dell’artista ed architetto lanzaroteño César Manrique che ha trasformato alcuni lava tube dell’isola di Lanzarote in ristoranti, auditorium e spazi domestici).
Cosa ci servirà?
Al fine di stabilire una colonia autosufficiente è necessario comprendere quali siano gli elementi fondamentali per sostenere la vita umana su di un altro pianeta e se sono disponibili le risorse necessarie per produrne in abbondanza.
Sin dalla fine degli anni ‘80, la NASA ha cominciato a studiare i processi necessari per l’utilizzo delle risorse locali di altri corpi planetari, come la Luna e Marte, rendendosi conto dei grandi benefici che questo cambio di paradigma avrebbe comportato. Questo approccio, e l’insieme di processi che vi si riferiscono, prende il nome di “In Situ Resources Utilization” o, abbreviato, ISRU.
Ricerche sostengono che gli elementi fondamentali per rendere possibile la presenza umana sono sette:
- acqua,
- aria,
- energia,
- carburante,
- cibo,
- plastiche,
- metalli.
Per quanto riguarda l’acqua, l’aria, il cibo e l’energia il perchè siano necessari risulta naturale, in quanto sono utili al sostentamento diretto dell’uomo e di tutte le attività ed infrastrutture, mentre il carburante, ad esempio, risulta essere un prodotto essenziale non solo per quanto riguarda la mobilità, ma soprattutto perché la sua produzione in loco permetterebbe di tagliare notevolmente sia i costi delle missioni sia i rischi, in quanto permettendo un refueling locale dei razzi non sarebbe più necessario portare dalla Terra il carburante per il viaggio di ritorno. Plastiche e metalli, invece, sono elementi fondamentali per la manifattura di ogni genere di prodotto, dal packaging degli alimenti agli elementi strutturali della colonia. In un’ottica di una virtuosa e vitale economia circolare.
Oltre a questi sette elementi, anche le risorse geologiche naturali (come i lava tubes) possono essere considerate come essenziali.
Dove troveremo le risorse?
Innanzitutto è necessario operare una distinzione. Quando si parla di risorse su Marte, esse possono essere disponibili in punti specifici o in maniera diffusa.
le prime (energia geotermica, giacimenti minerari, acqua ghiacciata, minerali idrati, grandi dune di sabbie ricche di silicio e lava tubes) sono disponibili o possono essere trovate più probabilmente in luoghi specifici sulla superficie del pianeta, mentre le seconde (es. acqua nella regolite, ossidi di ferro e di alluminio) risultano distribuite, seppur con concentrazioni molto variabili, a quasi tutte le latitudini oppure, come nel caso dell’aria, ovunque.
E’ a partire da queste risorse indigene, che possono essere ottenuti, secondo delle operazioni e reazioni chimiche precise, tutti i prodotti necessari per lo stabilimento di una colonia: dal carburante, mediante la reazione di Sabatier, all’ossigeno, prodotto a partire dalla CO2 marziana, grazie a tecnologie come MOXIE, testata recentemente da Perseverance.
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Per il cibo, invece, lo scenario più probabile è ben diverso da quello figurato in film come “The Martian”. Infatti, è risaputo che il suolo di Marte sia ricco di sostanze tossiche per l’uomo, come i perclorati. Per questa ragione, esperimenti come la serra “EDEN ISS”, localizzata in Antartide presso la stazione Neumayer III, stanno studiando l’applicazione di tecniche di coltivazione senza l’utilizzo di suolo come l’aeroponica e l’idroponica, per un prossimo utilizzo spaziale.
Al fine dello stabilimento di una colonia, che preveda una presenza continuativa dell’uomo, è necessario individuare delle località dove vi sia la disponibilità di tutte queste risorse. Ciò può essere fatto grazie alle numerose osservazioni effettuate dai satelliti, presenti e passati, in orbita marziana e ipotizzando che le condizioni che portano sulla Terra alla formazione di determinate risorse valgano anche per Marte.
Come vivremo in un lava tubes?
In riferimento al progetto proposto nella ricerca: “Mars Underground: A Landscape Strategy for Long Term Human Colonies on The Red Planet”, il primo step è quello dell’individuazione di un tunnel lavico osservabile e della scelta di un suo segmento come sito, con la conseguente verifica della disponibilità di tutte le risorse di cui si è parlato in precedenza.
A seguito di ciò, può iniziare la fase di pianificazione perché, come si può ben immaginare, lo sviluppo di un insediamento su Marte non è qualcosa che può accadere dall’oggi al domani, principalmente a causa delle ingenti somme necessarie, dei rischi e dei tempi di viaggio molto lunghi.
Per questa ragione, quando si parla di Architettura Spaziale, è conveniente introdurre i concetti di pianificazione per fasi autosufficienti ed espansione: ovvero, la suddivisione della costruzione della colonia in più step, ognuno indipendente dal successivo, così che nel caso in cui per qualsiasi ragione l’espansione non andasse avanti, si otterrebbe comunque uno stabilimento operativo.
Nel caso specifico di un’architettura in un lava tube, prima di iniziare le fasi di costruzione della colonia, sarebbero necessarie alcune operazioni di adattamento del sito.
La prima, completamente robotica, consisterebbe nell’invio di rover specializzati per il mapping dell’interno del condotto poichè, sebbene sia possibile rilevarne l’esistenza mediante l’osservazione satellitare, a partire da essa non si può conoscerne l’aspetto interno e le reali dimensioni (a questo titolo è molto interessante il progetto DAEDALUS della Julius-Maximilians-Universität of Würzburg assieme ad ESA, ed altri partner, finalizzato all’esplorazione di caverne e condotti lavici lunari nel prossimo futuro).
Successivamente, a partire dai dati ottenuti, sarebbe necessario che altri robot escavatori procedessero alla creazione dei tunnel di connessione tra la superficie e l’interno del lava tube, utilizzando il materiale di riporto per le operazioni di adattamento necessarie, per livellare il pavimento del condotto. Infatti, i tunnel lavici, essendo delle formazioni geologiche naturali, potrebbero presentare asperità ed un andamento altimetrico piuttosto irregolare, come nel caso del tunnel lavico “La Corona” di Lanzarote.
Terminate queste operazioni preparatorie del sito, inizierebbe la prima fase di costruzione del primo nucleo autosufficiente, che si concluderebbe con l ‘arrivo del primo gruppo di coloni. Le successive fasi consisterebbero nell’espansione di quanto realizzato in questo momento, per accomodare un numero crescente di persone.
Di seguito le infrastrutture necessarie:
- In superficie, date le condizioni estreme, sono state disposte tutte quelle funzioni che non prevedono la presenza continuativa dell’uomo, ad una distanza adeguata l’una dall’altra, come le zone di atterraggio, di produzione di energia, di produzione di acqua, aria, carburante, dei materiali e prodotti per la colonia;
- Nel sottosuolo, invece, le funzioni che costituiscono l’habitat, come le abitazioni, i laboratori, gli uffici, le palestre, gli ambulatori, le farm, ma anche spazi per le attività ricreative ed il tempo libero, come parchi e giardini.
Stabilito cosa sarebbe necessario realizzare e dove, rimane l’incognita della progettazione dello spazio ipogeo. Come rendere vivibile tale spazio, così lontano da casa e dalle nostre esperienze quotidiane?
In questo senso, nella suddetta ricerca è stato fondamentale riferirsi all’esperienza che l’uomo ha sulla Terra di questi spazi. Infatti, al contrario di quanto si possa generalmente pensare, la storia dell’urbanistica, sia passata che recente, presenta diversi esempi interessanti di come l’uomo abbia utilizzato lo spazio sotterraneo: per proteggersi dalle condizioni climatiche esterne e dagli invasori, come nel caso di alcune antiche città della Cappadocia, oppure per ricavare nuovi spazi urbani, come nel caso delle città di Montreal ed Helsinki.
Dal confronto tra questi esempi e l’esperienza maturata in habitat a loro volta confinati ed estremi, come le stazioni spaziali e di ricerca (come ad esempio quelle Antartiche), si evince che elementi come l’illuminazione naturale e la natura, intesa sia come vegetazione che come organicità dei materiali e dell’ambiente, risultano essere determinanti per il benessere psicofisico dell’uomo.
Nella distribuzione delle attività umane all’interno del lava tube, si è tenuta in considerazione la condizione di illuminazione naturale dei suoi spazi. Attorno agli skylights, i luoghi più illuminati naturalmente, sono state distribuite le abitazioni, le farm ed i parchi; mentre nelle aree meno illuminate, sono state poste tutte quelle attività, come laboratori, uffici, palestre ed ambulatori, le quali hanno una minore necessità di illuminazione naturale.
Al fine di ottenere uno spazio organico e naturale, più simile ai paesaggi terrestri, si è operato in maniera diretta ed indiretta, sia mediante la realizzazione di spazi verdi e parchi per la collettività che attraverso forme architettoniche ispirate ad elementi organici facilmente riconoscibili, come ad esempio le strutture alveolari delle api, in dialogo con le pareti rocciose del lava tube al fine della modellazione di nuovo paesaggio.
Per fare tutto ciò, ovviamente, è fondamentale la pressurizzazione del lava tube con un’atmosfera simile a quella terrestre.
Sebbene lo scenario proposto nella suddetta ricerca sia lungi dell’essere realizzabile a breve su Marte o sulla Luna, risulta chiaro che l’utilizzo dei lava tubes potrebbe essere un’occasione molto vantaggiosa per lo stabilimento sicuro e confortevole di colonie a lungo termine su di altri corpi planetari. Per tali ragioni, risulta importante fin da ora approfondirne la conoscenza e le possibili modalità di utilizzo.
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