Scienza
| On 3 anni ago

Studiato il “battito cardiaco” di un buco nero

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Proprio come il sangue in un cuore umano non può trovarsi nell’atrio e nei ventricoli contemporaneamente, anche un buco nero sembra attuare un simile meccanismo. Uno studio recente guidato da Mariano Méndez dell’Università di Groningen in Olanda ha preso in considerazione il buco nero GRS 1915+105 e una stella in orbita l’uno attorno all’altra.

I risultati della ricerca hanno permesso di produrre un grafico del “battito cardiaco” del buco nero. E hanno anche dimostrato che i buchi neri, un po’ come i muscoli cardiaci umani, sembrano prima raccogliere materiale e riscaldarlo nella cosiddetta corona. Solo in seguito, quando essa si raffredda, lo sputerebbero fuori sotto forma di potenti getti relativistici.

“Sembra logico, ma per 20 anni c’è stato un dibattito sul fatto che la corona e il getto fossero semplicemente la stessa cosa. Ora vediamo che sorgono uno dopo l’altro e che il getto segue dalla corona” afferma Méndez.

Unendo 15 anni di dati, il “battito cardiaco” di un buco nero

“È stata una vera sfida dimostrare questa natura sequenziale. Abbiamo dovuto confrontare i dati degli anni con quelli dei secondi e delle energie molto elevate con quelle molto basse”. Così spiega Méndez i 15 anni di dati presi da diversi telescopi. Tra gli altri, gli scienziati hanno combinato:

  • Dati sulla radiazione X ad alta energia prodotta dalla corona, rilevati dal Rossi X-ray Timing Explorer.
  • Dati radio del telescopio Ryle, una raccolta di antenne radio a circa novanta chilometri a nord di Londra.

Questo ha permesso loro di riprodurre il “battito cardiaco” del buco nero, ovvero la sequenza con cui esso sembra riscaldare il materiale attorno a sé. Il risultato è rappresentato in questo grafico:

Grafico del ‘battito cardiaco’ di un buco nero. L’asse x orizzontale mostra i giorni. La curva verde corrisponde all’emissione radio: dove è più alta, il getto è il più forte. I punti rossi e blu mostrano la radiazione di raggi X e sono una misura delle dimensioni della corona. I punti blu dimostrano che la corona è più piccola e il getto è più intenso, quindi i getti relativistici si verificano sempre quando la corona è più piccola. Credits: Méndez et al.

Uno dei buchi neri stellari più pesanti

Il buco nero GRS 1915+105 non è un buco nero isolato. Si tratta di un sistema doppio, costituito da un buco nero e da una stella normale che ruotano l’uno attorno all’altro. Si trovano nella Via Lattea a circa 36000 anni luce da noi, nella direzione della costellazione dell’Aquila.

La massa di GRS 1915+105 è 12 volte quella del nostro Sole. Ciò lo rende uno dei buchi neri stellari (ovvero con masse in un range non troppo largo rispetto alla massa solare) più pesanti conosciuti. Il buco nero stellare più massiccio conosciuto sino ad ora è LB-1*, parte di un sistema doppio con una stella, che ha una massa circa 70 volte quella del sole. Queste considerazioni suggeriscono agli scienziati che nel range dei buchi neri stellari, e non solo, sia possibile andare a studiare questo meccanismo in altri sistemi simili.

Che ruolo ha il campo magnetico?

A cosa è dovuto l’eccesso di energia nella radiazione X raccolta dalla corona? Chi sta fornendo energia extra oltre a quella dell’alta temperatura di quella zona?

Forse un campo magnetico, dicono i ricercatori. Esso, e l’energia che genera, potrebbero spiegare anche il modo in cui i gesti si formano, evolvono e sopravvivono nel tempo. Infatti, se il campo magnetico è di tipo caotico, una delle conseguenze sarebbe il riscaldamento della corona. Quando il campo magnetico diventa meno caotico, la corona si raffredda e il materiale fuoriesce attraverso le linee di campo in un getto. Questo spiegherebbe anche i risultati sperimentali di Méndez e colleghi.

Un buco nero con il disco di materiale che vi orbita attorno e un potente getto di particelle energetiche. Credits: NASA/JPL-Caltech.

Analizzeremo il “battito cardiaco” di altri buchi neri?

I ricercatori sono molto entusiasti dei risultati di questo studio, che tra l’altro, potrebbe essere applicato anche a buchi neri più pesanti. Per esempio a Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia! Cosa significherebbe auscultare il ritmo pulsante del buco nero ospitato dalla Via Lattea? Di certo sarà interessante scoprire cosa potrebbe dirci riguardo alla sua storia, e forse anche alla nostra.

Lo studio completo, pubblicato sulla rivista Nature, è reperibile qui.

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