Grazie ai dati raccolti dal Dark Energy Spectroscopic Instrument (DESI), un team di scienziati ha ottenuto il più grande campione finora di oggetti candidati a buchi neri di massa intermedia, e galassie nane contenenti un nucleo galattico attivo (AGN). Questa scoperta, che triplica il numero noto di tali oggetti, fornisce una base senza precedenti per comprendere meglio l’evoluzione dei buchi neri e il loro ruolo nella formazione delle galassie.
DESI è uno strumento all’avanguardia capace di raccogliere simultaneamente la luce proveniente da 5000 galassie, permettendo di esplorare con precisione i fenomeni cosmici su larga scala. Il progetto, finanziato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) e gestito dal Lawrence Berkeley National Laboratory, è frutto della collaborazione di oltre 900 ricercatori provenienti da più di 70 istituzioni internazionali.
Attualmente, DESI sta completando il suo quarto anno di osservazioni e prevede di analizzare circa 40 milioni di galassie e quasar entro la fine del progetto. Attraverso l’analisi dei dati iniziali di DESI, che includono il 20% del primo anno di operazioni, il team guidato dalla ricercatrice dell’Università dello Utah Ragadeepika Pucha ha potuto ottenere spettri di 410 mila galassie, di cui 115 mila galassie nane.
Un nuovo censimento dei buchi neri e delle galassie nane attive
Gli scienziati sanno che le galassie massicce, come la Via Lattea, ospitano buchi neri supermassicci nei loro centri. Tuttavia, l’esistenza di buchi neri nelle galassie nane è ancora poco documentata, a causa delle dimensioni ridotte e della difficoltà nell’individuarli con gli strumenti attuali. I buchi neri attivi, ovvero quelli che stanno accrescendo materia, sono più facili da identificare grazie all’energia rilasciata nel processo, che si manifesta sotto forma di nucleo galattico attivo (AGN).
Grazie a DESI, il team di ricerca ha individuato ben 2500 galassie nane con un AGN attivo, un numero oltre quattro volte superiore rispetto agli studi precedenti, che ne avevano individuate solo lo 0.5%. Questa discrepanza suggerisce che molti buchi neri di piccola massa siano rimasti nascosti nelle osservazioni passate.

Parallelamente, il team ha identificato 300 candidati buchi neri di massa intermedia, una categoria intermedia tra i buchi neri stellari (inferiori a 100 masse solari) e quelli supermassicci (oltre 1 milione di masse solari). Gli intermediate-mass black holes (IMBH) sono considerati una possibile fase evolutiva dei primi buchi neri dell’Universo e i potenziali progenitori di quelli supermassicci. Tuttavia, fino ad ora, ne erano stati individuati solo circa 100-150 esemplari, rendendo la nuova scoperta particolarmente significativa.
L’importanza di DESI e le prospettive per il futuro
L’elemento chiave che ha permesso queste scoperte è stata la tecnologia avanzata di DESI, che include una griglia di fibre ottiche in grado di raccogliere con precisione la luce proveniente dal centro delle galassie.
Stephanie Juneau, astronoma associata del NOIRLab, ha sottolineato che la ridotta dimensione delle fibre ha permesso di isolare con maggiore accuratezza le firme spettrali dei buchi neri attivi, evitando la contaminazione dovuta alla luce proveniente dalle regioni più esterne delle galassie. Questo spiega perché il team sia riuscito a individuare una frazione così elevata di AGN nelle galassie nane rispetto agli studi precedenti.

Uno degli aspetti più interessanti dello studio è che, tra i 300 buchi neri di massa intermedia scoperti, solo 70 sono stati identificati anche come AGN nelle galassie nane. Questa discrepanza suggerisce nuove domande sulla formazione ed evoluzione dei buchi neri: esiste una connessione tra il tipo di galassia e il processo di formazione del buco nero al suo interno?
Le nuove scoperte di DESI forniranno una base solida per rispondere a questi interrogativi e approfondire il ruolo dei buchi neri nell’evoluzione galattica. Il grande campione di dati raccolti consentirà agli scienziati di confrontare modelli teorici con osservazioni reali, migliorando la nostra comprensione di come i buchi neri primordiali si siano evoluti fino a diventare gli enormi oggetti che oggi popolano l’Universo.
Lo studio che presenta i risultati, pubblicato su The Astrophysical Journal, è reperibile qui.