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Provata l’esistenza delle particelle X che potrebbero spiegare il Big Bang

Utilizzando i dati dell'acceleratore di particelle Large Hadron Collider del CERN, un team di ricercatori ha individuato per la prima volta il segnale delle particelle X prodotte in seguito alle collisioni tra quark e gluoni nel plasma che costituiva l'Universo pochi istanti dopo il Big Bang. Comprenderne la struttura significherebbe approfondire le nostre conoscenze dell'Universo primordiale e della materia ordinaria per come noi la conosciamo oggi.

Mariasole Maglione di Mariasole Maglione
Gennaio 26, 2022
in Astronomia e astrofisica, News, Scienza
Tra i 20 e i 30 microsecondi dopo il Big Bang, tutto ciò che esisteva si limitava a un plasma composto di quark e gluoni, i più basilari componenti della materia. 

Tra i 20 e i 30 microsecondi dopo il Big Bang, tutto ciò che esisteva si limitava a un plasma composto di quark e gluoni, i più basilari componenti della materia. 

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Al Big Bang, che secondo la teoria cosmologica oggi più accreditata ha dato inizio all‘Universo in cui viviamo, è seguito un periodo caotico e turbolento. Il cosmo appena nato era un plasma caldissimo di quark e gluoni, particelle elementari che si sono unite in innumerevoli combinazioni prima di raffreddarsi e strutturarsi in configurazioni più stabili. Solo in seguito al raffreddamento si è formata la materia ordinaria di neutroni e protoni per come noi la conosciamo oggi.

Una delle ipotesi avanzate in passato dai fisici delle particelle è che una frazione di questi quark e gluoni abbia interagito per formare particelle “X” di breve durata. Il nome è dovuto al fatto che la loro struttura e le loro proprietà sono state un mistero per anni. Almeno fino a oggi. Ora i fisici del Laboratory for Nuclear Science del MIT hanno trovato traccia di particelle X nel plasma di quark e gluoni prodotto nell’acceleratore Large Hadron Collider (LHC) del CERN. I ricercatori sono riusciti a estrarre circa 100 particelle X (3872), così chiamate per la stima della massa della particella.

I coautori dello studio che ne è seguito sono membri della CMS Collaboration, team internazionale di scienziati che opera e raccoglie dati da uno dei rivelatori di particelle dell’LHC, il Compact Muon Solenoid. “Questo è solo l’inizio della storia” afferma l’autore principale Yen-Jie Lee, professore associato di fisica al MIT. “Intanto abbiamo dimostrato di poter tracciare un segnale. Nei prossimi anni vogliamo utilizzare il plasma di quark e gluoni per sondare la struttura interna della particella X. Questo potrebbe cambiare la nostra visione del tipo di materiale che l’universo dovrebbe produrre“.

LHC
L’acceleratore di particelle Large Hadron Collider (LHC) situato al CERN di Ginevra, attualmente la più potente fabbrica di particelle elementari alle frontiere della conoscenza.

Le combinazioni di quattro quark e la particella esotica X

La materia ordinaria è costituita da atomi con nuclei formati da neutroni e protoni. Entrambe queste particelle sono formate da altri tre elementi costitutivi, detti quark, che sono strettamente legati. Nel corso degli anni gli scienziati credevano che esistessero solo particelle composte da due o tre quark. Solo di recente hanno verificato l’esistenza anche di tetraquark esotici, particelle costituite da una rara combinazione di quattro quark.

Si ipotizza che anche X (3872) sia un tetraquark. È stato scoperto per la prima volta nel 2003 in Giappone dall’esperimento Belle, collisore di particelle che frantuma elettroni e positroni ad alta energia. Tuttavia il decadimento molto rapido ha impedito che la sua struttura fosse esaminata nel dettaglio. Allora si era suggerito che particelle esotiche come le particelle X potrebbero essere illuminate meglio nel plasma di quark e gluoni. “In teoria, ci sono così tanti quark e gluoni nel plasma che la produzione di particelle X dovrebbe essere superiore” dice Lee.

La traccia di particelle X trovata con il machine learning

Lee e colleghi hanno quindi cercato traccia di particelle X nel plasma di quark e gluoni generato in seguito alle collisioni di ioni pesanti nell’LHC. Le analisi sono state effettuate sul database del 2018 di 13 miliardi di collisioni di ioni di piombo. Ciascuna collisione aveva rilasciato quark e gluoni, che si sono poi fusi a costituire più di un quadrilione di particelle di breve durata prima di raffreddarsi e decadere. Così tante da risultare difficile per i ricercatori individuare le particelle X nei dati.

Per riuscire a farlo, il team ha utilizzato un algoritmo di machine learning (apprendimento automatico) appositamente costruito per individuare i decadimenti caratteristici delle particelle X, che si distinguono rispetto ad altre particelle esotiche. L’algoritmo è riuscito a vagliare il consistente set di dati particolarmente rumoroso e a individuare le variabili che erano probabilmente il risultato del decadimento delle particelle X. I ricercatori hanno quindi ingrandito i segnali tracciati e osservato un picco nella distribuzione delle masse che indica la presenza di particelle X (3872), circa 100 in tutto.

Chiarendo la struttura di X, potremmo comprendere quella dell’universo primordiale

Nel corso dei prossimi anni, i ricercatori hanno programmato di raccogliere molti più dati sul plasma di quark e gluoni prodotto dall’LHC appositamente per chiarire la struttura della particella esotica X. Soprattutto, per capire se essa è davvero un quartetto di quark strettamente legati. “Ciò amplierà la nostra visione dei tipi di particelle che sono state prodotte in abbondanza nell’Universo primordiale” afferma Lee.

Riuscire a penetrare nei dati al punto da riconoscere nel dettaglio le caratteristiche di X significherebbe infatti avvicinarsi ancora di più a comprendere quale sia stato il ruolo di queste particelle esotiche dopo il Big Bang nella formazione della materia ordinaria. Quella che conosciamo bene, perché costituisce noi e tutto ciò che ci circonda.

Lo studio completo, pubblicato su Physical Review Letters, è disponibile qui.

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Tags: Big banggluoniparticelle Xplasmaquarkuniverso primordiale

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