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NASA X-Planes. Un viaggio fra i veicoli spaziali sperimentali

Giuseppe Chiapparino di Giuseppe Chiapparino
Gennaio 22, 2022
in Agenzie Spaziali, Approfondimento, NASA, Space economy
Il prototipo del X-38 durante un test di separazione da un B-52 nel 1999. Credits: NASA.

Il prototipo del X-38 durante un test di separazione da un B-52 nel 1999. Credits: NASA.

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La serie degli X-planes raccoglie una nutrita schiera di veicoli sperimentali e dimostratori statunitensi, sviluppati a partire dalla metà degli anni ‘40. Progettati per la ricerca su nuove tecnologie e concetti legati a vari ambiti del volo, molti di questi apparecchi hanno raggiunto importanti primati in ambito aerospaziale, rivelandosi fondamentali nel successo di svariati programmi spaziali americani.

La nascita degli X-planes

Con la Seconda guerra mondiale i primi velivoli a reazione si affacciarono sul panorama aeronautico internazionale, sia sotto forma di razzi che di aerei convenzionali. Questi aerei erano più veloci di quelli ad elica, ma presto questo aspetto rivelò un problema non trascurabile: il raggiungimento di velocità prossime a quella del suono portava con sé nuove sfide ingegneristiche che andavano necessariamente affrontate. Dunque, nel 1944, la NACA (trasformata in NASA nel 1958), la US Navy (USN) e la US Army Air Force (USAAF, in seguito USAF), diedero vita ad una collaborazione con lo scopo fare ricerca su velivoli sperimentali capaci di volare ad alta velocità e ad alta quota.

Tre anni più tardi l’X-1, il primo degli X-planes, superò la velocità del suono in volo livellato. Con i successivi velivoli le velocità si fecero via via più elevate, e vennero testate nuove geometrie delle ali e nuove tecnologie propulsive, queste ultime soprattutto in ambito missilistico. Sebbene in molti casi, soprattutto agli inizi del programma, le motivazioni dietro lo sviluppo degli X-planes fossero di carattere quasi esclusivamente militare, ciò non precluse l’applicazione delle nuove conoscenze acquisite anche in altri contesti.

Gli X-planes, infatti, comprendono dimostratori di ogni tipo, da razzi a spazioplani, da aerei sperimentali ad elicotteri passando per UAV militari. Molte delle tecnologie sviluppate tramite gli X-planes si sono quindi rivelate di grande aiuto in vari ambiti aerospaziali. Va fatto notare che X-planes non sono gli unici veicoli sperimentali sviluppati da agenzie e compagnie americane. Spesso, però, rappresentano delle “prime volte” e sono sviluppati solamente per fini di ricerca, senza utilizzi in missioni operative, come denota il prefisso “X” nel nome di ciascun veicolo.

Applicazioni spaziali

Il primo veicolo con finalità strettamente legata all’ambito spaziale fu l’X-17, utilizzato per studiare gli effetti delle alte velocità durante il rientro atmosferico. Il razzo raggiungeva una quota di circa 160 km prima di puntare nuovamente verso la terra, accelerando fino a raggiungere velocità fino a 15 volte più alte di quelle del suono (Mach 14.5). Il razzo, nella sua configurazione finale, volò per la prima volta nell’aprile 1956. Nei successivi 25 lanci, vari test furono condotti al fine di caratterizzare diverse condizioni di rientro atmosferico.

L’unico dei tre Martin X-23 PRIME sopravvissuto ai voli di prova ed il Martin Marietta X-24B in volo durante un test. Credits: NASA
L’unico dei tre Martin X-23 PRIME sopravvissuto ai voli di prova ed il Martin Marietta X-24B in volo durante un test. Credits: NASA

Pochi mesi più tardi iniziarono i test sugli X-11 (primo volo nel giugno 1957) e X-12 (luglio 1958), noti anche come i razzi Atlas A e B. Questi furono i prototipi dei primi missili balistici intercontinentali (ICBM) americani. Tuttavia, i razzi della famiglia Atlas ricoprirono tale ruolo per poco tempo (fino al 1965) e furono poi impiegati soprattutto come sistemi di lancio non riutilizzabili per le missioni spaziali americane. Ad oggi si è arrivati alla quinta versione dell’Atlas, operata dalla United Launch Alliance.

Circa un decennio più tardi venne sperimentato l’X-23A, un piccolo velivolo lifting-body senza pilota per il rientro in atmosfera. Durante i suoi tre voli tra dicembre 1966 e aprile 1967, venne studiata la possibilità di sfruttare la portanza sviluppata dal corpo del velivolo per manovrare il velivolo stesso nella fase di rientro. Simili studi, ma a velocità più basse in modo da simulare la fase finale della planata e dell’atterraggio su pista, furono condotti con l’X-24. Questo velivolo volò 54 volte in due configurazioni diverse (X-24A con 28 voli e X-24B con 36) tra il 1969 e il 1975. Sia l’X-23 che l’X-24 dimostrarono le capacità dei velivoli lifting-body e diedero via libera allo sviluppo del programma Space Shuttle.

Gli X-40 e X-37

Gli ultimi X-planes a trovare un’applicazione diretta in campo spaziale sono i più recenti X-40A e X-37. Affidati inizialmente a rispettivamente NASA e USAF come due progetti separati, i due veicoli sono finiti per essere il primo il prototipo del secondo. L’X-40 era il dimostratore con dimensioni al 90% dello Space Maneuver Vehicle, una navetta spaziale senza equipaggio e riutilizzabile, pensata per manovrare in orbita (trasportata nella Payload Bay dello Shuttle o con un apposito lanciatore) e poi rientrare in modo controllato, planando su pista come lo Shuttle. Il primo drop test si svolse nell’agosto 1998, con una versione senza motori. L’X-37, invece, era un progetto della NASA per un Reusable Launch Vehicle (RLV).

A sinistra l'X-37B Orbital Test Vehicle, sullo sfondo si nota metà del fairing del lanciatore Atlas V. A destra l'X-37B prima di un volo di test. Credits: U.S. Air Force
A sinistra l’X-37B Orbital Test Vehicle, sullo sfondo si nota metà del fairing del lanciatore Atlas V. A destra l’X-37B prima di un volo di test. Credits: U.S. Air Force

Nato nel 1996, fino al dicembre 1998 in realtà non era niente più che una sigla per un non ben specificato RLV. La Boeing propose di costruire un veicolo basato sull’X-40, che venne quindi ceduto dalla USAF alla NASA. L’Agenzia firmò un contratto con la Boeing nel 1999, iniziando lo sviluppo del nuovo spazioplano con una serie di test sul vecchio X-40. Il primo drop test dell’X-37A, con dimensioni al 120% rispetto all’X-40, avvenne nel 2006, ed il primo volo orbitale della versione X-37B nel 2010. Da allora, sono sei le missioni completate dall’X-37B, i dettagli delle quali non sono stati completamente resi noti.

Programmi cancellati

Come spesso accade in campo aerospaziale, non tutti i programmi degli X-planes sono arrivati a termine con successo. Per diversi veicoli, infatti, le sovvenzioni sono state interrotte addirittura prima che si potesse arrivare ad un prototipo in scala da testare, come nel caso dell’X-20.  Questo doveva essere uno spazioplano riutilizzabile militare, pilotato dall’unico membro dell’equipaggio, capace di svolgere diverse missioni (da ricognizione e bombardamento fino al soccorso e sabotaggio spaziale). Il programma fu avviato nel 1957, ma interrotto appena sei anni più tardi. Il veicolo, mai costruito, avrebbe dovuto avere un aspetto ed un funzionamento simili al futuro Space Shuttle. Probabilmente era troppo avanzato per le tecnologie spaziali a disposizione all’epoca, ma si rese comunque utile per i futuri programmi legati allo sviluppo di spazioplani.

A sinistra una illustrazione artistica dell’X-20 Dyna-Soar in orbita. A destra una Illustrazione artistica del Rockwell X-30 NASP. Credits: U.S. Air Force / NASA
A sinistra una illustrazione artistica dell’X-20 Dyna-Soar in orbita. A destra una Illustrazione artistica del Rockwell X-30 NASP. Credits: U.S. Air Force / NASA

X-30

Sorte simile toccò tra il 1986 e il 1993 all’X-30, un dimostratore tecnologico per uno spazioplano single-stage-to-orbit (SSTO) adibito a scopi commerciali. Annunciato dal presidente Ronald Reagan come il “nuovo Orient Express” (inteso come potenziale attrazione turistica), capace di collegare Washington e Tokyo in due ore, il programma X-30 fu però cancellato in seguito a tagli del budget e problemi incontrati in fase di sviluppo prima che il dimostratore potesse essere completato. Si riuscì comunque a costruire un modello in scala 1:3 che fu testato in galleria del vento, ottenendo importanti dati sul comportamento di vari materiali in condizioni di alte temperature e velocità, utili per i successivi studi in campo ipersonico.

X-33 e X-34

Gli X-33 e X-34 condividono una storia molto simile. Nel 1994 la NASA lanciò il programma Reusable Launch Vehicle (RLV) per veicoli in grado di trasportare materiale in orbita abbattendo sensibilmente i tempi e i costi di utilizzo. La compagnia Lockheed Martin si aggiudicò la gara contro Rockwell e McDonnell Douglas, e le venne affidato lo sviluppo dell’X-33. Il velivolo avrebbe dovuto essere uno spazioplano lifting-body SSTO con motori aerospike alimentati a combustibile liquido. Proprio dei problemi legati al serbatoio in struttura composita dell’idrogeno liquido portarono alla cancellazione del programma nel 2001. In parallelo veniva sviluppato l’X-34 dalla Orbital Sciences Corporation.

Render del Lockheed Martin X-33 e prototipo (senza motori) dell’Orbital Sciences X-34
Render del Lockheed Martin X-33 e prototipo (senza motori) dell’Orbital Sciences X-34

Questo era un dimostratore suborbitale per lo sviluppo delle tecnologie necessarie per un futuro veicolo adeguato al programma RLV. Si posizionava dunque come un concorrente per l’X-33. Tuttavia, tagli al budget nel 2001 portarono alla cancellazione del programma X-34, senza che il prototipo avesse effettivamente mai volato. Come visto, i due programmi furono però effettivamente rimpiazzati dall’X-37.

X-38

Ultimo in ordine di cancellazione, l’X-38 era un velivolo test per lo sviluppo di un Crew Return Vehicle (CRV) da usare in caso di emergenze sulla ISS. Il numero di occupanti della Stazione Spaziale Internazionale, infatti, è legato alla disponibilità di navette attraccate alla stazione in grado di riportare gli astronauti a terra in caso di emergenza. L’X-38 aveva posto per sette membri dell’equipaggio e sarebbe stato in grado di rientrare a terra in modo automatico sfruttando le sue caratteristiche di lifting-body. Nel 1999 iniziarono i drop test su versioni ridotte in scala del velivolo, testando il sistema di controllo e vari tipi di paracadute. Tuttavia il programma venne cancellato nel 2002, ancora una volta per un taglio di budget, prima che una versione orbitale dell’X-38 fosse completata. L’X-38 era basato sull’X-24 e le sue forme ricordano molto quelle del Dream Chaser, sviluppato in seguito dalla compagnia privata SNC.

Potrebbe interessarti anche: Tutto quello che dovete sapere sul Dream Chaser, lo Spazioplano d’America

Uno dei prototipi in scala ridotta di X-38, usati per i drop test, all’interno di un hangar nel Dryden Flight Research Center della NASA. A destra il Dream Chaser.
Uno dei prototipi in scala ridotta di X-38, usati per i drop test, all’interno di un hangar nel Dryden Flight Research Center della NASA. A destra il Dream Chaser.

Un progetto ancora classificato

C’è infine un ultimo X-plane spaziale che rimane ad oggi ancora classificato. Avviato nel 2003, il progetto X-41 dovrebbe essere uno spazioplano militare sponsorizzato da USAF, NASA e DARPA. E’ stato descritto come un veicolo sperimentale in grado di manovrare durante le fasi di rientro a velocità ipersonica e capace di trasportare e rilasciare un payload in atmosfera. Il progetto X-41 potrebbe a tutti gli effetti essere stato già abbandonato o comunque riconvertito nel progetto Falcon, che si occupa dello sviluppo di veicoli ipersonici per il trasporto rapido di payload. Tale progetto è portato avanti congiuntamente da DARPA e USAF.

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