Dall’Italia è arrivata una nuova idea e una nuova tecnica per la produzione di acqua sulla Luna. L’idea sfrutta un processo termochimico che “parte” dalla regolite lunare per terminare con la produzione d’acqua. La completa sostenibilità dell’esplorazione lunare sarà ottenuta anche sfruttando queste tecniche, necessarie per poter usufruire delle risorse del nostro satellite nel migliore dei modi.
In cosa consiste questo sofisticato sistema ed in che modo sfrutta un processo termochimico? La Professoressa Michèle Lavagna, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del PoliMi, illustra l’impianto in questione descrivendone sommariamente il funzionamento. Innanzitutto, chiariamo che non si tratta di estrazione d’acqua dal terreno, ma di un processo termochimico per trasportare Ossigeno dall’accoppiamento con una certa particella metallica fino all’accoppiamento con Idrogeno e quindi portarlo a “trasformarsi” in acqua.
L’esperimento è un impianto in cui viene inserita una miscela di gas ad alta pressione e, dopo un controllo, viene portato a bassa pressione. Quindi entra nell’elemento principale, ovvero un forno ad alta temperatura con all’interno una fornace, in cui viene inserita dall’alto la regolite lunare. Il passaggio di testimone si ottiene nell’interazione dei gas Metano ed Idrogeno con gli ossidi presenti nella regolite. L’Ossigeno si lega alle particelle di Carbonio e successivamente fuorisce dalla sommità del cilindro sottoforma di Anidride carbonica.
A questo punto, il gas procede verso un secondo stadio sempre ad alte temperature ma più basse delle precedenti in modo tale da elaborare l’Ossigeno, questa volta accompagnato al Carbonio per poi trasferirlo all’Idrogeno. Dalla seconda reazione si passa all’ultimo stadio, che consiste di un frigorifero che abbassa la temperatura ben sotto lo zero, portando a solidificazione. Il solido è quindi presente nel condensatore in forma di ghiaccio: la separazione dell’acqua avviene col raggiungimento di zero gradi.
A realizzare questa serie di esperimenti sono stati il Politecnico di Milano ed OHB Italia, prime contractor all’interno del programma “In-Situ Resource Utilisation (ISRU) Demonstration Mission” indetto dall’ESA. Altresì fondamentale si è dimostrato l’appoggio dell’ASI per lo sviluppo tutto italiano di questa nuova tecnologia. Il programma ISRU ha l’obiettivo di sfruttare le risorse presenti in-situ, per permettere all’essere umano di condurre missioni a lungo termine sul suolo lunare. Come Prime Contractor, OHB Italia ha collaborato con Università, Istituti di Ricerca e comparto industriale spaziale affinchè l’ambizioso progetto venisse rispettato. OHB Italia S.P.A, ex Carlo Gavazzi Space, con sedi a MIlano ed uffici a Roma e Benevento, dal 2017 è parte del gruppo tedesco Orbitale Ochtechnologie Bremen.
Fondata nel 1981, OHB Italia è uno dei maggiori sviluppatori di sistemi di integrazione satellitari e leader nazionale nell’Osservazione Terrestre, sviluppo satellitare, elettronica, meccanica e tecnologia spaziale più in generale. La società ha 210 dipendenti ed un alto livello di specializzazione all’interno dello staff, con il 78% di laureati. Le specializzazioni in questione partono dall’Ingegneria Aerospaziale, passando da Matematica e Fisica fino all’Ingegneria Elettronica. Tutte queste discipline si sono unite in uno sforzo congiunto con il Politecnico di Milano per la realizzazione di un sistema in grado di produrre acqua sulla Luna.
Produrre acqua sulla Luna e in futuro su Marte sarà di fondamentale importanza per la permanenza dell’essere umano in ambienti così ostili. Al contempo, questa tecnologia sarà importante per lasciare la superficie, in quanto estrarre ossigeno dalla regolite sarà fondamentale per produrre il propellente stesso per i vettori che riporteranno gli astronauti sulla Terra o che li porteranno su Marte. Con questo contributo, l’Italia “scende in campo” nell’ambito delle future missioni Artemis fornendo un componente fondamentale per la loro storica riuscita.
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