La Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), ha annunciato lo scorso 9 Aprile il vincitore del contratto relativo alla prima fase del programma DRACO, acronimo di Demonstration Rocket for Agile Cislunar Operations.
Questo interessante programma, relativo allo sviluppo di un piccolo reattore nucleare dedicato alla propulsione spaziale, è stato finanziato dal Dipartimento della Difesa statunitense con 22 milioni di dollari, ora a disposizione dell’azienda californiana General Atomics. Il Programma prevede anche un finanziamento di 2.9 milioni di dollari a Lockheed Martin e 2.5 milioni a Blue Origin. Queste due aziende saranno coinvolte solo nella seconda fase del progetto, che dovrebbe iniziare fra circa 18 mesi. Allora dovranno sviluppare dei concetti di navicella in modo indipendente.
La propulsione nucleare: un ottimo compromesso
La maggior parte dei propulsori attualmente in uso appartengono alla categoria dei motori chimici. Ne fanno parte, tra gli altri, il Raptor di Starship e l’RS-25 dell’SLS. Accanto a questo tipo di propulsori, che potremmo definire tradizionali, si sono aggiunti negli ultimi decenni i motori elettrici.
La differenza sostanziale tra i due risiede nel modo in cui viene utilizzato il propellente.
I chimici utilizzano molto propellente in ridotti lassi di tempo, generando spinte ragguardevoli (nell’ordine delle decine o centinaia di tonnellate) a fronte di un’efficienza piuttosto contenuta. Per contro, gli elettrici rimangono accesi a lungo durante la missione, a volte anche per mesi e mesi, durante i quali producono una spinta ridotta (nell’ordine delle decine o centinaia di grammi), ma con un’efficienza almeno un ordine di grandezza superiore ai chimici.
Per via delle loro caratteristiche, i motori elettrici trovano applicazione solo nello spazio, a supporto delle lunghe fasi di crociera interplanetaria. Ne sono esempi le missioni OSIRIS-REx o BepiColombo. Un propulsore nucleare si posizionerebbe idealmente a metà: con una spinta di tutto rispetto, accompagnata da un’efficienza da due a sette volte migliore rispetto ai cugini chimici.
Questo particolare connubio sarebbe reso possibile dal processo di fissione nucleare, qui impiegato per scaldare il propellente e successivamente farlo espandere in un ugello. Un’architettura molto simile a quella dei motori chimici, con l’unica differenza che il propellente non brucia in un’apposita camera di combustione.
Una rivisitazione di un vecchio progetto
Gli Stati Uniti non sono nuovi a tecnologie di questo tipo. Dal 1955 al 1973 hanno costruito e testato diversi motori spaziali nucleari, sebbene nessuno prese mai il volo. Il progetto di ricerca si interruppe nel 1973, quando il programma Shuttle prese la priorità.

Verso la Luna e oltre
Il progetto dimostrativo prevede un primo test in orbita terrestre entro il 2025. Se dovesse avere successo, questo tipo di motore potrebbe spalancare le porte verso la Luna, riducendone i tempi di accesso. Il naturale passo successivo sarebbe Marte. La propulsione nucleare permetterebbe di allargare la finestra di lancio – attualmente ridotta ad un mese ogni due anni – e, conseguentemente, estendere la durata delle prime missioni umane sul Pianeta Rosso.
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